“A capunata di millinciani”.

Non è facile dare una definizione esatta di questo piatto tradizionale, uno dei principali capolavori della cucina siciliana, conosciuto nel mondo gastronomico e non solo.
Trovarsi davanti a questo piatto policromatico che racchiude in sé l’incontro, tutto da assaporare, di gusti, odori e sapori caratteristici della cucina povera siciliana e della sua terra arida eppure così calda, è come rivivere in un attimo i millenni di storia che ci sovrastano.
La melanzana – “a millinciana” – fu introdotta in Sicilia dai saraceni con il suo nome originale: “badinjian” che nella antica lingua araba significa “dopo (badin) Giugno (Jian)” e fu subito adottata per le sue caratteristiche di pianta ben acclimatata e rigogliosa e per i suoi frutti molto grossi e sodi che rappresentavano un’ottima proteina e valida sostituzione della carne facendola divenire quasi immediatamente uno degli elementi più rappresentativi della cucina siciliana.
Un nome tra tutti, la sontuosa e universalmente conosciuta “pasta alla Norma”, ma anche la lussuosa “parmigiana di melanzane” e agli altri “millemila” modi con cui i cuochi siciliani si esprimono nel cucinarla.
Nel tempo divenne la regina di tutti gli ortaggi al punto che (come cita in un suo libro Gaetano Basile), non di rado, poeti e narratori l’hanno paragonata ad una bella donna: carnosa, soda e dalla pelle lucida….
L’agro-dolce, di origine persiana, arrivò in Sicilia grazie ai musulmani.
L’ origine del nome “caponata” si perde nella leggenda.
Come in ogni piatto della tradizione che ha radici storiche, esistono diverse scuole di pensiero.
Per alcuni, i marinai furono i primi a usare questa salsa che ammorbidiva le loro dure gallette che definivano “cappone di galera”; per i tavernieri, con il nome latino: cauponae.
Altri affermano che il nome ci è stato tramandato dai soliti Monsù, che usavano la salsetta per conservare per poco tempo la cacciagione, fra cui il cappone; ingrediente che definiva quelle preparazioni capponate.
Altri ancora riferiscono che questo agro-dolce serviva per condire la lampuga (in dialetto chiamata “capune”) tagliata a pezzi e fritta.
Al di la dell’etimologia, questa pietanza resta unica nel suo genere e richiede elementi essenziali come la melanzana violetto di Sicilia che, fra le sue caratteristiche, ha quella di essere compatta al punto giusto da non permettere l’assorbimento d’olio nella frittura, i capperi sotto sale, il sedano, le olive verdi e l’inconfondibile agro-dolce.
In alcune zone della Sicilia esistono le varianti, come in tutti i piatti che si rispettino, che vedono l’aggiunta di uva passa, di pinoli e di peperoni rossi dolci.
La ricetta che vi propongo è la classica ricetta tradizionale che si tramanda di padre in figlio (per le “femen” di madre in figlia) e che comunque costituisce la base per eventuali ed ulteriori aggiunte.

Ingredienti (per 6 persone)
5 melanzane violette di Sicilia
Olio per frittura (leggero, meglio se di semi di girasole)
1 grosso sedano
una cipolla bianca di Zafferana Etnea
300 grammi olive verdi schiacciate
3 cucchiai di capperi di Lampedusa o di Salina sotto sale
1,5 litri salsa di pomodoro fresco
Sale e pepe nero q. b.
1 bicchiere di aceto di vino bianco
2 cucchiai di zucchero grezzo

Procedimento
Dopo aver sciacquato le melanzane, togliere il picciolo assieme alla punta, tagliare soltanto una striscia di buccia praticando un taglio verticale che va da punta a punta.
A questo punto tagliare le melanzane a cubetti piuttosto grossi che non dovrete immergere in acqua e sale per lasciare intatto il gusto amarognolo.
Friggere i cubetti in abbondante olio di semi di girasole bollente e metterli a sgocciolare su carta assorbente o, in assenza, in un colapasta in acciaio.
Pulire il sedano eliminando tutte le foglie verdi, tagliarlo a pezzi e scottarlo in acqua salata.
Affettare la cipolla di Zafferana e passarla sotto l’acqua corrente per dividere gli anelli
In una padella (l’ideale sarebbe una larga padella in acciaio o in ceramica smaltata) mettere a soffriggere la cipolla affettata ad anelli.
Non appena gli anelli saranno imbionditi, aggiungere il sedano scottato, le olive snocciolate e tagliate a pezzi, i capperi dissalati e la salsa di pomodoro fresco.
Aggiustare di sale e di pepe e lasciare cuocere a tegame aperto per almeno 15 minuti.
A cottura quasi ultimata unire alla salsa le melanzane fritte e lasciare insaporire per qualche minuto. Nel frattempo sciogliere nell’aceto lo zucchero quindi versarlo nella salsa con le melanzane.
Fare sfumare bene l’aceto e terminare la cottura versando la caponata in un recipiente in terracotta o in pirex, resistente al calore, lasciandolo raffreddare a temperatura ambiente.
La caponata si apprezza meglio se consumata fredda e può essere utilizzata sia come contorno per piatti a base di pesce da taglio (merluzzo, pagaro, spada, gronco) sia anche come piatto unico nelle calde serate estive, servita sopra alcune fette di pane abbrustolito leggermente ed un filo di olio evo.
Accompagnare con vino Inzolia bianco a 12 gradi.

di Salvo Schiavone
Immagine presa dalla rete e rimovibile su semplice richiesta

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