Ci vuole un fisico bestiale. 30 piatti per i quali ci vuole stomaco o naso forte.

Prima di iniziare un doveroso avviso ai deboli di stomaco: Non continuate a leggere!
Fatto questo doveroso avviso direi di fare delle premesse.
Non esiste il cibo buono e il cibo che fa schifo. Il cibo è il prodotto di tradizioni, abitudini alimentari, cultura e condizioni di adattamento ai luoghi nei quali si vive e alle risorse presenti.
Spesso sorrido nel sentire la gente che parlando della cucina cinese storce il naso o, nella peggiore delle ipotesi ne dice di tutti i colori. Una delle frasi più ricorrenti è “mangiano i vermi”. Aggiungerei “mica solo quelli!”.
La verità è che nel guardare il cibo degli altri, troppo spesso, dimentichiamo di immaginare come gli altri guarderebbero il nostro.
La pajata (intestini non puliti di agnellino lattante) con i quali a Roma di condisce la pasta in un abbinamento a dir poco da urlo, gli gnmariedd (o ammugliatielli o mugliatielli, ecc) che altro non sono che involtini arrotolati con intestini di agnello cotti sulla brace, il “per e muss” napoletano (piede e muso di vacca lesso e condito con sale e limone), il panino con il lampredotto (quarto stomaco del vitello), il pani ca meuza (pane con la milza) e tanto altro ancora, agli occhi di un “civilizzato americano medio” potrebbero risultare cibi da uomini delle caverne.
La verità, in buona sostanza, è che ogni singolo popolo, nel corso della propria storia ha sviluppato delle abitudini alimentari legate alle necessità di sopravvivenza sviluppando propensione positiva verso questi alimenti che ha saputo anche cucinare.
Letto così questo post assume un “diverso sapore” (mi si perdoni il gioco di parole) e sopratutto una chiave di lettura verso le abitudini degli altri.
Se poi, a seguito di questa premessa, c’è ancora qualche scettico è pregato di leggere fino alla fine e osservare come noi europei (italiani inclusi) non siamo scevri da tali considerazioni.
Per comodità il post è suddiviso per continenti precisando che vi sarebbero molti altri cibi che non sono riportati solo perchè o non noti a chi scrive o perchè mai assaggiati come alcuni di quelli presenti in questo elenco. Gli aggettivi adoperati per descrivere i singoli cibi sono solo un lessico per meglio comprenderci tra noi e non intendono esprimere in alcun modo un giudizio su quanto viene descritto.
Buon Appetito a tutti! 😀
Oceania
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Larve di Suri (Papua e Nuova Guinea) – sono delle corpose larve che crescono nei tronchi di palma. Vengono considerate una vera leccornia dalle popolazioni di Papua e Nuova Guinea dove si consumano o vive mentre sguazzano allegramente in un piatto dove è stata aggiunta la sola salsa di soia o, private dell’intestino (come si fa per i gamberi quando li consumiamo crudi o cotti), infilzati su degli spiedini e arrostiti.
Le larve di suri sono consumate abitualmente anche da alcune popolazioni del Sud America dove, una volta pulite, vengono soffritte in aglio e olio assieme a fette di plantano (una sorta di banana che si consuma cotta).
Nord America
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Ikura Don (Alaska) – A chi non piace il caviale di salmone? A questa domanda sono certo che risponderanno in maniera negativa in pochi. In Alaska, però, le uova di salmone sono anche consumate con un’antica preparazione in voga tra le popolazioni locali che porta il nome di Ikura Don. Non si tratta di altro che le stesse uova che una volta pronte vengono chiuse in un barattolo di vetro e lasciate imputridire per 3 mesi al sole. Il risultato è un caviale di salmone dal sapore forte e pungente e dall’odore nauseabondo.
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Bibite al cibo (USA) – Qui gli americani si sono decisamente superati. Nessun cibo tradizionale ma l’estro, mi si permetta di dire malsano, di qualche imprenditore che ha ben pensato di racchiudere in delle bevande, prevalentemente a base di soda, gusti quali il cetriolo, la salsa barbecue o il bacon!
Se vi va di dissetarvi con una bella fetta di pancetta di maiale arrostita basta che entriate in uno dei tanti empori americani e vi serviate al banco frigo. Dubito che la sete passi…
 
Sud America e Centro America
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Locust (Caraibi) – Benché la robinia (nota come spino di Giuda o Spinacristi) sia una pianta originaria del Nord America il consumo dei semi dei suoi baccelli è molto diffuso tra le popolazioni caraibiche dove quando i lunghi baccelli (circa 20 cm) sono ancora acerbi si consumano i semi. Al gusto risultano piuttosto pastosi e molto dolci. Tale peculiarità gli vale anche il nome di Locust Honey. Unica controindicazione è che puzzano. Da consumarsi o dopo essersi abituati o a naso tappato.
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Escamoles (Messico) – Le escamoles sono le larve dell’Agave blu, la pianta grassa dalla quale si ricava la Tequila. Si consumano ne più e ne meno come il riso. Si lessano e si condiscono a piacimento, in genere con verdure. Hanno la peculiarità di essere altamente proteiche.
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Birra dei morti (Perù) – Qui ci troviamo di fronte a un cibo rituale più che a un cibo di consumo. Si tratta di un’antichissima tradizione degli indigeni Ocomo del Perù con la quale si fanno fermentare le ossa dei propri morti e se ne ricava una birra che si consuma tra i familiari stretti del defunto. Un rituale attraverso il quale si tiene il morto con se e lo si tiene in un immaginario collettivo ancora in famiglia. Difficile da capire per noi occidentali.
Asia
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Fagioli Petai (Asia in generale) – Si tratta di un cibo diffuso in tutta l’Asia e nel nord dell’India. Composto da baccelli molto lunghi che vengono lessati o cotti (un pò come le nostre taccole) e accompagnano le pietanze. Oltre ad un alto potere nutraceico hanno la caratteristica di puzzare moltissimo.
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Kopi Luwac (Malesia) – Prendiamoci un caffè! Magari qualcuno lo rifiuta e non a causa della caffeina. Si tratta di un caffè che viene prodotto (la parola va intesa in senso lato) in Malesia. A darlo è un singolare processo messo in atto da madre natura attraverso un simpatico animaletto dal nome Luwac che altro non è che lo Zibetto asiatico. Il simpatico carnivoro è molto ghiotto delle bacche di caffè delle quali gradisce la sola polpa esterna e non il seme (che è quello dal quale noi ricaviamo il caffè). Le ingerisce e poi si libera dei semi defecandoli. Il “prodotto” di tale digestione viene poi ripulito e immesso in commercio. Il caffè che si ottiene ha la forza di una robusta ma la gentilezza al gusto di un’arabica. Il suo costo è a dir poco vertiginoso. 500 euro al chilogrammo!.. e che nessuno si azzardi a dire che è un caffè di merda!
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Sannakji (Corea) – Più che di un prodotto si tratta di una tradizione, peraltro anche molto pericolosa e che registra almeno 6 morti l’anno per soffocamento. Si tratta dell’ingestione dei tentacoli del polpo vivo conditi solo con semi di sesamo e salsa di soia. Una pratica tradizionale molto in voga tra i coreani che così facendo ne apprezzano maggiormente la freschezza. Qui gli amici baresi e pugliesi perdono e mi spiace. Loro lo consumano crudo ma non vivo. Da non ripetere assolutamente a casa!
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Paniki (Nord Sulawesi – Malesia) – I pipistrelli. Non quelli piccoli europei ma quelli belli grandi asiatici, quelli, per intenderci con un’apertura alare che può tranquillamente superare il metro. In quest’area dell’Indonesia tra le popolazioni locali è una pietanza comunissima. Non è infatti difficile trovare nei mercati locali chioschi nei quali si vendono crudi da cucinare a casa o si possono consumare in loco già cotti. Le cotture con le quali sono proposti sono molteplici. Si va dalla brace a zuppe di ogni sorta e tipo. Nessun timore per i turisti. Non esistono pietanze nelle quali non sia visibile poiché ai locali piace molto che l’animale sia ben visibile nel piatto. Si dice che sappia di pollo ma è una considerazione che non prendo in parola atteso che chi mi diceva che la rana aveva il sapore di pollo è stato da me disatteso al primo assaggio. La rana sa di rana. Ergo il pipistrello sa di pipistrello.
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Snake Liquor (Vietnam) – un bel digestivo ci torna momentaneamente utile. Siamo in Vietnam e i liquori che vedete sono ottenuti dall’estrazione per soluzione alcolica da serpenti e scorpioni velenosi. La medicina tradizionale locale li consiglia in quanto sostiene che il loro consumo fortifichi e prevenga da alcune malattie. Una sorta di cura mitridatica. I serpenti e altri animali velenosi sono lasciati all’interno delle singole bottiglie per dare reale prova del loro uso nella preparazione di questi liquori. Una volta terminato il liquore, a differenza del noto mescal, non si consumano gli animali all’interno della bottiglia.
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Stinky Tofu (Taiwan) – Chi conosce l’inglese ha già capito che si è in presenza di una pietanza estremamente puzzolente (in inglese Stink = puzza). Si tratta di tofu (un formaggio di soia adoperatissimo in tutto il sud est asiatico lasciato fermentare per 3-4 mesi e poi mangiato tal quale. Oltre ad un fortissimo odore ha anche un sapore difficile da superare. Decisamente per stomaci forti.
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Pasta di gamberetti (Cina) – Qui molti potrebbero esclamare “buona!”. Peccato però che tale pasta si ottenga da enormi distese di piccoli gamberetti lasciati fermentare 3 mesi al sole e poi passati. Si adopera per varie preparazioni tradizionali che non si reperiscono comunemente in commercio nella stessa Cina. Il sapore e l’odore vengono definiti da molti che l’hanno provato “inaccostabile”. Per meglio capire quanto possa essere complesso ingerirlo vi consiglio di reperire in rete un video dove c’è un americano che prova tutti questi cibi “particolari” che non riesce a reggere all’impatto con una punta di cucchiaino di questa pasta.
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Uova centenarie (Cina) – Questa è una preparazione tradizionale cinese millenaria. Si tratta di uova di anatra prima trattate con acqua, carbone e calcio dove restano per 3 mesi e poi sotterrate dove vengono lasciate “maturare” per circa un anno. Il risultato è una sorta di uovo sodo dove il bianco ha un colore ambra trasparente e il rosso ha tinte che vanno dal verde scuro al nero. Il sapore è buono e particolare. Almeno così afferma chi lo ha provato. Va superata l’idea che si tratta di un uovo lasciato per oltre un anno in quelle particolari condizioni.
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Nongeo (Cina) – Il nongeo è una preparazione tradizionale della Cina meridionale alla quale vengono sottoposti i pesci. Si tratta di una fermentazione degli stessi al sole dove vengono lasciati fermentare. Il prodotto che si ottiene viene consumato tal quale senza nessuna cottura preventiva. Il sapore e l’odore sono a dir poco pungenti.
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Balut (Thailandia) – La foto già la dice lunga. E’ una leccornia tradizionale thailandese sulla quale non ci soffermiamo più di tanto. Si tratta di un feto di anatra ancora nel suo guscio. Il suo consumo è crudo e particolarmente apprezzato. Ha costi notevoli ed è riservato o a fasce molto abbienti o a chi ha come riprodurlo in maniera casalinga.
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Durian (Tahilandia e Malesia) – E’ il frutto che fa impazzire i thailandesi e i malesi! Dal sapore molto dolce e particolarmente dissetante viene venduto per strada dove nei numerosi chioschi che lo propongono viene aperto, tagliato, porzionato e venduto in vaschetta a prezzi molto popolari. Ha una sola controindicazione. Puzza in maniera talmente incredibile che il Governo thailandese ne ha vietato con sonore multe (fino a 5000 bat – circa 130 euro con stipendi che non superano i 25 euro mese) , il suo consumo in luoghi chiusi e mezzi pubblici.
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Kusaya (Giappone) – Preparazione tradizionale giapponese a base di pesce. La particolarità è che si tratta di pesce fermentato in una salamoia ultracentenaria che gli conferirebbe un gusto e un sapore unico. Sempre in rete reperite un video di due donne americane che ricevono questo particolare cadeau da amici giapponesi e nell’aprire poco ci manca che svengano. Si consuma tal quale.
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Natto (Giappone) – La soia è alla base dell’alimentazione di molti popoli orientali. Tra i suoi vari impieghi ve ne uno molto particolare e legato alle tradizioni giapponesi. E’ la soia fermentata, ossia una soia che viene lasciata a fermentare per svariati mesi in condizioni climatiche particolari. Il prodotto che si ottiene è la stessa soia impastata con i suoi liquidi di fermentazione che hanno acquisito una consistenza filamentosa. Al gusto pare sia fortemente acidula con note dolciastre. Giusto per avere un’idea basti immaginare dei fagioli messi a fermentare per mesi…
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Ika no Shiokara (Giappone) – Altra delizia della cucina tradizionale giapponese sono le interiora di calamaro fermentate. Orami molto in disuso tra le nuove generazioni conserva una sua sacca di resistenza presso alcune aree del sol levante dove si accompagna tal quale con del riso bollito. Chi l’ha provata afferma che ha un gusto molto forte e pungente e un odore nauseabondo.
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Placenta Jelly Drink (Giappone) – Non rientra nelle preparazioni tradizionali ma è uno degli ultimi ritrovati giapponesi. A questa bevanda che è a base di placenta di maiale ed ha una consistenza gelatinosa viene attribuita la capacità di mantenere il corpo giovane e in salute, nonchè di aiutare nel mantenimento della bellezza della pelle e cellulare. I produttori asseriscano che abbia un profumo e gusto di pesca (benchè non sia addizionato con tale frutto), ma chi l’ha provata sostiene di non avervi reperito assolutamente tale flavour, anzi che puzzerebbe e avrebbe una consistenza anche molto viscida e fastidiosa. Sta di fatto che se una cosa ha un buon sapore non fa bene…e penso ai peperoni ripieni di mammà!
Europa
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Rakfisk (Norvegia) –  Se siete rimasti inorriditi dinanzi ai piatti tradizionali giapponesi e cinesi qui resterete stupefatti . Nella vecchia Europa non ci batte nessuno decisamente! Il Rakfisk è un piatto tradizionale norvegese composto da trota fermentata nei suoi liquidi per 2-3 mesi. Una volta che la putrefazione è giunta ad uno stadio molto elevato viene sciacquato e tagliato a filetti per essere consumato così come è. Il fetore è indescrivibile e il sapore decisamente forte, sino al punto da stimolare i conati. I norvegesi lo accompagnano con abbondanti dosi di vodka che dicono serva ad uccidere i batteri…ogni scusa è buona!
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Hakarl (Islanda) – Se in Norvegia ci danno dentro in Islanda non stanno di sicuro a guardare. L’hakarl è la carne di squalo putrefatto per 3 – 6 mesi. Anche qui il suo consumo è da crudo e il germicida adoperato per cautelarsi da infezioni è sempre di gradazione alcolica molto elevata e in dosi massicce. Pare che il Rakfisk rispetto all’Hakarl profumi di fiorellini di campo.
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Surströming (Svezia) – Preparazione tradizionale svedese che pare risalga sino ai tempi dei Vichinghi. Sono aringhe fermentate nel loro liquido per oltre un anno e poi inscatolate sempre con il loro liquido. Nelle preparazioni casalinghe vengono addirittura chiuse in una pasta di pane e poi inscatolate. L’olezzo è inimmaginabile e il sapore terribile. Una quindicina di anni or sono una donna svedese residente in Germania per il Natale apri una di queste scatole casalinghe. La palazzina venne evacuata e il tribunale condannò la donna al risarcimento dei danni verso tutti i condomini. Ci sono video in rete dove all’apertura delle scatolette ci sono persone che si coprono il naso con disgusto che sono distanti anche 20 metri.
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Canard a la presse (Francia) – E andiamo in Francia. Qui nella patria della nouvelle cuisine sopravvive un piatto da veri gourmander. Le Canard a la presse che alla lettera significa l’anatra alla pressa. Consiste in un anatra cotta di tutto punto irrorata pochi secondi prima di essere servita con il succo ottenuto dalla spremitura di anatre crude. Una sorta di salsetta sanguinolenta abbastanza densa con la quale viene irrorata l’anatra. Ai più curiosi e coraggiosi va precisato che il piatto, servito in pochissimi ristoranti francesi, ha un costo di 1000 euro. Si avete capito benissimo. Proprio 1.000 euro al piatto.
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Harzer Roller (Germania) – Da qui in poi ci spostiamo tra i formaggi dove una prima sorpresa ci arriva dal nord della germania con l’Harzer Roller che alla lettera significa rotolo del Monte Harz. Il formaggio si presenta come lo stick di un deodorante, ha un colore giallo trasparente con l’aggiunta di cumino dei prati. L’odore è quello dei calzini di un tennista adoperati più volte senza lavarli. In compenso al gusto è particolarmente interessante.
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Limburger (Germania) – Sempre tedesco è considerato tra i 3 formaggi più puzzolenti al mondo. Niente a che vedere con il nostro puzzone di Moena che al confronto è un bouquet di roselline appena sbocciate. La puzza è decisamente quella di piedi. Quasi insostenibile, al punto tale che se avete in mente di acquistarlo per portarlo a casa è meglio che troviate un sistema in base al quale sia impossibile risalire a voi o rischierete di passare per persone poco amiche dell’acqua.
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Stinking Bishop (Inghilterra) – Inghilterra  e il nome la dice decisamente lunga! Alla lettera significa il “Vescovo puzzolente”. Anche questo è tra i tre formaggi più fetidi al mondo. Formaggio molto antico e tradizionale ha un gustosissimo sapore di latte. La grande difficoltà sta nel non rendere partecipe il naso alla degustazione ne nel portarlo alla bocca ne tanto meno durante la masticazione.
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Vieux Boulogne (Francia) – Ritorniamo dai nostri cugini per conferirgli la Palma del formaggio più puzzolente al mondo. Loro il primato in questa sezione dove tra puzze di piedi e calzini il Vieux Boulogne, formaggio plurisecolare, stacca tutti in una volata che lo vede inarrivabile. Personalmente a me piace ma riconosco che nel campo dei formaggi ho una predilezione per quelli dagli odori molto spiccati.
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Casu Marzu (Italia) – Potevamo mancare? Decisamente no con un gioiello del genere. Era il formaggio che mio nonno tirava fuori per le grandi occasioni. Il formaggio che a casa dei sardi si apre per dare il massimo dell’ospitalità e in questo la Sardegna è imbattibile. Il casu marzu altro non è che un pecorino di ottima qualità colonizzato dai vermi che vivendo al suo interno ne assumono il colore e il sapore. E’ buonissimo ma richiede il coraggio di mangiarlo senza fare caso ai vermi che si agitano su o tentano di uscire dalla bocca camminando sulle labbra. A me piace…e questo anche per dire che i vermi non li mangiano solo i cinesi.
di Giustino Catalano
Foto reperite dalla rete senza che fosse possibile risalire agli autori che qui, anche se ignoti, si ringraziano. Su richiesta le stesse sono rimovibili o è gradita citarne la fonte.
 
 
 
 
 
 
 
 

2 thoughts on “Ci vuole un fisico bestiale. 30 piatti per i quali ci vuole stomaco o naso forte.

  1. gix ha detto:

    …io Personalmente ho provato lo Snake Liquor nello Yunnan, ai confini con il vietnam. E’ davvero buono, molto particolare. I cinesi del sud gli conferiscono poteri medicinali. Il vero nome è “shéjiǔ”, fa impressione sicuramente, ma vi assicuro che il Topo del Bambu….. 🙂
    Un amico invece ha mangiato in islanda l’hakarl, la carne di squalo: mi faceva notare che gli squali non hanno un sistema urinario, di conseguenza la pipi trasuda attraverso la pelle…… 🙂

    1. diTesta&diGola ha detto:

      Il topo del bambù mi interessa particolarmente. Raccontacene ti prego.
      Per l’Hakarl so avere un odore e sapore allucinante!

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