Luca salvi la regina!

Fa la preziosa, la regina dell’alveare.
Anche se a chiedere udienza c’è nientemeno che  Luca Bonizzoni, la personificazione dell’apicoltura.

Paludati nelle tute di protezione, non solo lo osserviamo manipolare i telai pieni di api, cera e miele, ma qui a  Casteggio, nella sua terra, tra i suoi alveari, le uve e i salumi che riposano un sano sonno stagionatore, ci facciamo trasportare dalla sua espressività, tra la lezione e l’affabulazione, tra la correttezza scientifica e la teatralità, tra la dovizia di particolari e il guizzo geniale dell’uomo che sussurrava alle api.

Chi di noi oserebbe a faccia nuda accostare l’orecchio a un telaio che brulica di api, come lo si accosta a un citofono:  mi scusi, c’è mica la regina, qui?
Gli parla, Luca, alle sue piccole amiche, e aspetta anche la risposta, cosa ancora più importante, che solo i follemente innamorati – del proprio lavoro – sono capaci di fare fino in fondo.

Vero, le ha anche abbondantemente  affumicate, perché l’ape conserva una memoria atavica, nei suoi geni, che la porta a scappare dal suo nemico principale, il fuoco, capace di distruggere in un attimo le riserve di miele pazientemente messe da parte dalla comunità.

Per questo, quando il fumo le minaccia, loro volano di corsa a riempirsi di una quantità di miele equivalente al loro peso, per salvarlo, conservarlo, e riversarlo in una nuova casa.
Così, mentre sono intente a imbottirsi, le probabilità che pungano si riducono allo zero.
Che poi, anche sulla pericolosità delle api ci sarebbe molto da dire.

Quelle che si posano, sono le più docili, ci rassicura Luca,  perché l’ape che vuole pungere parte da lontano.

In ogni caso, tranne che per le  bottinatrici  che vanno in giro a prendere  pollinenettaremelataacqua  propoli, tutte le altre, impegnate in diversi lavori di casa nell’alveare  – dalle pulizie, al nutrimento, dall’immagazzinamento all’areazione delle celle – una volta uscite perché allarmate o costrette hanno l’istinto di tornare immediatamente all’interno.
E lo fanno dalla porticina principale, secondo un’abitudine che gli apicoltori sfruttano proprio per raccogliere il miele prodotto, come vedremo.

E la  regina?

Per trovarla, dobbiamo passare al setaccio tutti i telai, al di sotto dei  melari, ma a frotte le operaie, sue ancelle, la scortano, la mimetizzano, nonostante la goccia di smalto per identificarla.
Le regine vengono marcate con  cinque colori, azzurro, bianco, giallo, rosso e verde, che ruotano ogni  cinque anni  – la vita media di una regina – per conoscere sempre la loro età e stimare quella della comunità.
Contrariamente a tutte le sue suddite, che si adoperano in ogni mestiere, lei ha il solo, fondamentale compito di perpetuare la specie.
E lo fa con un meccanismo che ha dell’incredibile: si accoppia con una dozzina abbondante di  fuchi, poi conserva il loro sperma e nel corso degli anni feconda e deposita le uova.

Se diventa regina, è perché le operaie hanno nutrito la sua larva con la  pappa reale, che è una secrezione delle api operaie giovani, favorendo uno sviluppo e una maturazione sessuale completa.
Quindi, proprio lei, assisa sul trono di quest’incredibile società ultra organizzata,  non  si nutre di  miele.
Meglio per noi, perché forse, pur di proteggerne il nutrimento, le api renderebbero molto più pericolosa la sua sottrazione.
Il  miele, appunto, questo miracolo che le api fanno interamente senza alcun aiuto umano, è forse  l’alimento più sano, integro e naturale del pianeta.

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Allora, se fanno tutto le  api, come interviene l’apicoltore?
Qui Luca si esprime senza mezzi termini, e dice che con qualche  trucchetto  ciò che avviene è  un vero e proprio furto, e lui stesso si diverte ad autodefinirsi  uno che di mestiere ruba il miele alle api.

Del  primo trucchetto  abbiamo già parlato, il  fumo, la manovra di distrazione che consente la manipolazione delle arnie.

La parte superiore, il  melario, per le api è semplicemente un piano in più della loro casa, quindi, dopo aver costruito con la cera le celle nell’arnia sotto, esse continuano imperterrite a seguire il programma genetico, andando a stivare altro miele anche nell’attico  superiore.

Il  secondo trucchetto  dell’apicoltore è questa  grata, che divide l’arnia dal melario, con degli stretti interstizi che permettono alle api di passare ma tengono la regina   – più grossa delle sue figlie – bloccata al piano di sotto, di modo che nel momento del furto essa non venga coinvolta nella baraonda che di lì a poco si scatenerà.

Terzo e ultimo trucchetto, che Luca ci mostra in diretta: con  un soffiatore da giardino, le api vengono sospinte via dal melario, in modo che sui telai resti soltanto cera e miele.

Poiché le piccole fattrici hanno impresso dentro il comando di rientrare nell’arnia dalla porta, nessuna tornerà sui telai del melario, e pian piano tutte rincaseranno al piano di sotto.
A quel punto  il furto è compiuto: Luca carica sul camion il melario pieno –  ogni telaio vuoto pesa circa tre etti, ma pieno di miele arriva a tre chili!  – e lo sostituisce con un nuovo  attico  pronto da riempire.
Le dita scavano nella cera, a catturare il dolce bottino ancora tiepido, e una felicità autentica attraversa tutti noi, in questa dimensione che va oltre l’incanto e sconfina in una simbiosi con la natura.

Con un altro paio di manovre di fisica basilare,  cera e miele vengono separate con una centrifuga manuale  – come quella per asciugare l’insalata – e  gli eventuali residui saliranno a galla in un decantatore, mentre dal rubinetto sottostante si passa a far colare nei vasetti il tesoro delle api.

Luca Bonizzoni  gira con le sue arnie per tutto lo stivale italiano, riuscendo a produrre mieli con i quali si potrebbe raccontare la storia dei luoghi di provenienza: dalla  Sicilia  arrivano gli  agrumi  e l’eucalipto, dalla  Valsesia  il  rododendro  e il  tiglio, dal  lago d’Orta  il  castagno, dalla  Liguria  il  Riviera Ligure  e l’acacia, dal  Monte Rosa  la  flora alpina, e dallo stesso  Oltrepò  la  melata, l’erba medica  e il  millefiori.

E ora che abbiamo visto come si fa, arriva il momento di testarlo, assieme ad altre bontà che nella sua azienda vedono la luce.
Ogni piccolo assaggio di questa merenda  en plein air  diventa occasione per approfondire, sperimentare, animare e giocare.

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Luca Bonizzoni  in prima linea serve – assieme a tante leccornie – storie e aneddoti, curiosità scientifiche e ricordi familiari.
Ti aiuta, mentre i sensi sono invasi dalla bellezza delle colline vitate e di un sole benedetto, a vedere questa terra e ciò che produce con gli occhi giusti, spogliati da inutile modernità, come se tornassimo a un tempo nel quale produrre  mielevino  e salumi non era un vezzo da esteti del gusto, ma un modo per conservare beni per la  sopravvivenza.
Un vero e proprio  calendario del maiale  è quello che Luca illustra, mentre arrivano piatti e bicchieri capaci di incuriosire non poco.
Dall’uccisione del maiale nei mesi centrali dell’inverno, fino al compimento dei trecentosessantacinque giorni, ogni mese e ogni stagione trovano scansione precisa attraverso i tagli e le lavorazioni della carne suina, e così si comprende che certe differenze tra i prodotti non sono solo dettate dalla creatività dell’uomo ma spesso da necessità restrittive.

Intanto, assaggiamo esperimenti a base di  miele, con dei crostini sui quali il miele è sapientemente mescolato ora con  senape  noci  e ora con il  gorgonzola.
Non manca l’abbinamento canonico con i  formaggi, anzi, diventa occasione per fare un sondaggio sul gradimento delle accoppiate: da una parte il  caprino, il  pecorino  e il  gorgonzola piccante, dall’altro  miele d’acaciaagrumi  melata, e così scopriamo che l’intensità del sapore non è l’unico criterio possibile.
Senza dimenticare che il  miele  è prima di tutto un  dolcificante, forse il più salutare che abbiamo, la cui efficacia si dispiega tutta nell’arricchire una semplice  macedonia.

Discorso a parte meritano i  salumi, tutti fatti in azienda, secondo metodi tradizionali e senza alcun ricorso alla tecnologia.
Sulla collina antistante, infatti, c’è una profonda  cantina di stagionatura, nella quale si gioca e a volte si combatte con sbalzi di temperatura e umidità a colpi di segatura bagnata da aggiungere o togliere, finché le  coppe, le  pancette  e i  salami  non raggiungono il punto ideale di maturazione, senza fretta, nel rispetto della materia che sa dettare a chi la lavora il modo e i tempi.
Certo, siamo in  Oltrepò, e la fama di questa terra – che particolarissime condizioni morfo-geografiche continuano a preservare – è legata soprattutto all’uva  e al  vino.

Non c’è da nascondersi dietro a nessuno dito, la storia vitivinicola dell’Oltrepò  purtroppo è costellata anche di disavventure e vicende condannabili, ma il potenziale di questo territorio resta tra i più elevati d’Italia, e non è semplice sfruttarlo al massimo all’insegna della pura qualità.
Così,  Luca Bonizzoni, seguendo la naturale vocazione di questa terra, sin dall’apertura dell’azienda ha cominciato a lavorare alle vigne di  località Madonna, perché qui il vino s’è sempre fatto, costituendo un alimento imprescindibile, anch’esso capace di battere il ritmo dei mesi e delle stagioni.

Uve autoctone come  croatina  uva rara  si affiancano a  merlotpinotfreisa  barbera, e dal  2003  ai vigneti si aggiungono quelli di  Colle Mombrione, consentendo all’azienda di produrre una varietà di bottiglie sincere, sane –  vigne biologiche  sin dall’inizio, e  vinificazione biologica dal 2008  – che probabilmente negli anni a venire contribuiranno all’ulteriore crescita dell’Oltrepò  vitivinicolo.
In anteprima assoluta, un  rosato  a base di  pinot nero  che fa scrosciare applausi per quanto è equilibrato e piacevole, dal profumo delicato e con quella vivace acidità che gli permette di dialogare con i salumi alla grande.
Da  Mombrione  si ricavano anche due  riserve, il  rosso  e il  Casteggio  – recentissima  DOC  – che la produzione del tutto naturale fa venir su con grande potenza e che con una piccola messa a punto sul versante dell’alcolicità diventeranno pregevoli.
Una storia fatta di mani sporche di terra, di gambe che si sforzano sui sentieri, di sudore che imperla, di apiari caricati e scaricati per inseguire le fioriture migliori, di viaggi notturni pur di arrivare col giusto sole e permettere alle api di seguire al meglio il loro istinto.

Da più di trent’anni, nonostante barba e criniera foltissime, neanche un’ombra è riuscita a cancellare dal volto di  Luca Bonizzoni  quella prontezza nel cogliere il senso della vita, ossia cercare l’armonia con la natura, scoprire in lei una madre che cura e guida, e godere di tutta questa bellezza con risate sincere come il miele, il vino e i salumi che qui nascono e che da qui deliziano.
E il mondo non sta vivendo un momento positivo per le api, e per tutti gli altri impollinatori, con pesticidi e altre pessime trovate che, uccidendoli, non solo incidono sulla produzione del miele, ma indirettamente – e pesantemente, visto che si parla di più di quattromila colture differenti a rischio – su quasi il novanta per cento di quello che coltiviamo sulla Terra per nutrirci.

Casteggio  non c’è solo una grande e significativa azienda agricola, ma c’è il segreto per regalare ai bambini di oggi una casa vivibile per quando saranno uomini domani.
Verso  Casteggio, verso questa criniera e questa barba bianca che contorna la sua sana risata, l’augurio che  Luca Bonizzoni  continui, come fa ormai da trent’anni, a salvare la regina.

O Lord, our God, arise,
scatter her enemies,
and make them fall.
Confound their politics,
frustrate their knavish tricks,
on thee our hopes we fix,
God save us all.

Azienda Agricola Luca Bonizzoni
Strada Madonna 33
27045 Casteggio (PV)
tel. 0383 805452
Lun/Ven 8.30-18.00
Sab 8.30-13.00
Sab pomeriggio, Dom, festivi su appuntamento

Sergio Cima

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