Nicole Kidman e il Pecorino

vino pecorino

     No, nessun corpo contundente con la forma del saporito cacio. Voglio solamente raccontarvi di un vino, anzi, di un vitigno che con il formaggio ha in comune il nome, il Pecorino.

     Vitigno semisconosciuto al grande pubblico fino una ventina di anni fa, il Pecorino ha avuto una rinascita diventando popolare, e diciamocela tutta, un bel po’ “modaiolo”.

     Questo almeno nelle regioni dove tradizionalmente lo si alleva, vale a dire Marche e Abruzzo – però, vigne di Pecorino storicamente sono sempre state presenti (pur se con nomi diversi come Mosciolo, Dolcipappola, Luvino, Forconese, Moscianello, Trebbiano Vecio e molti altri ) anche nei territori di Lazio, Umbria e Puglia.

Il Pecorino in passato è sempre stato considerato dai viticoltori un vitigno rognoso.

vino pecorino

     A dispetto delle piacevoli note profumate e di una bella acidità, ci sono rese basse e mutevoli, e problemi di precoce maturazione. Anche nel corso della vinificazione bisogna andarci piano, tutto questo ha spinto molti viticoltori ad estirparlo per sostituirlo con altre uve, meno problematiche e dalle rese migliori.

     Poi… come in tutte le belle favole, quando il nostro “eroe” era quasi prossimo alla sparizione, ecco che magicamente arriva l’inversione di tendenza.

     Qualche vignaiolo coraggioso punta su questo vitigno, ci lavora un po’ in maniera moderna, ed ecco che dalla metà degli anni ’90 debuttano le prime bottiglie di Pecorino. Bene, molto bene, direte voi – un vitigno salvato dall’oblio – un patrimonio di gusto e biodiversità salvato, e qualcosa di nuovo e interessante da mettere nei calici.

     Invece…

     A questo punto inizia una storia per certi aspetti anche interessante, fatta di una inconcludente, mistificante e affannosa rincorsa al gusto di una certa fascia di consumatori.

     Partiamo da questo.

Anni ’90 del secolo scorso.

     Sui relitti dell’onda lunga lasciata nell’italico costume dalla cosiddetta “Milano da bere” di qualche anno addietro, una fascia di nuovi consumatori inizia a richiedere e apprezzare (chissà quanto consapevolmente…) vini… chiamiamoli “di facile beva” – in questo caso, bianchi dal colore tranquillizzante e dalle note aromatiche smisuratamente banali e floreali.

     Vini con sentori olfattivi e gustativi “furbetti” di frutta gialla e rossa, e dal grado alcolico non esagerato, ma non proprio  bassissimo.

Vini (vinelli?) buoni quasi per tutti.
Vini “facili”, vini buoni come aperitivo, ma anche per pasteggiare.
E… il Pecorino che c’entra con questo?

     Semplice, almeno nelle sue zone di origine è, ed è stato, l’alternativa a questi vini di cui dicevo prima, quasi tutti del nord Italia – alternativa bella e pronta sul territorio.

     E così, via con Pecorini d’ogni fatta, ma sempre e comunque olezzanti di mille inconcludenti ginestre e fiori di primavera – amabilissimi certo – Pecorini che, come le sirene con Ulisse, blandiscono, più o meno maliziosamente.

Così nasce un successo.

vino pecorino

Acquerello di William Trivelli

     Il Pecorino ri-nasce, si piantano nuove vigne, e chi anni prima lo aveva espiantato si strappa i capelli dalla rabbia, e di corsa scappa in cerca di qualche barbatella da mettere a dimora.

     A questo punto bisogna dare un occhio al sacro libro dei vitigni, o per far prima, molto più prosaicamente a Wikipedia che qui cito testualmente: «L’elaborazione dell’uva Pecorino porta alla creazione di vini dal colore giallo carico, con buona mineralità ed acidità, che vengono in parte nascoste dalla buona morbidezza. I profumi sono inconfondibili di pera William e anche al gusto abbiamo l’identico richiamo. Caratteristica del vino prodotto da questa uva è la piacevole nota leggermente amara che resta nella bocca.»

     Oddio…  qualcosa qui non torna!

     Vada per pera & morbidezza.
Vada per l’amaro persistente, ma nella maggioranza dei Pecorini in circolazione, floreale e frutte varie sono impudentemente invadenti – il colore è tutt’altro che carico, e nel calice sembra di bere acqua di colonia con il “bonus” delle note minerali e acide tenute sottotraccia, oppure del tutto assenti.

Stiamo… parlando dello stesso vino?

     Sì, purtroppo sì. Cosa è accaduto allora ? Semplice, molto semplice.

     La rinascita del Pecorino coincide temporalmente con il momento storico in cui i tecnici di cantina si sono affermati a scapito “del buon manico” dei vignaioli. In quegli anni gli Enologi (tutti grandi professionisti, come quelli contemporanei) si sono trasformati dai “dottori del vino” , cioè da chiamare solo quando c’è il sospetto o la certezza che qualcosa va storto, in quelli che letteralmente inventano i vini.

     Questi tecnici hanno preso il controllo di tutti i processi di vinificazione, anche e specialmente, tramite le innumerevoli sostanze legalmente ammesse nel processo di vinificazione… per chi è curioso, l’elenco completo di queste sostanze (anche per i disciplinari Bio ) lo trovate cliccando QUI.

     Silenziosamente e senza clamore, questi i tecnici di cantina (enologi etc etc) hanno avuto legalmente mano libera nel trasformare (e talvolta letteralmente trasfigurare) tante uve in quello che non sono naturalmente.

     Così, dopo qualche primo timido e incerto passo dove il nostro Pecorino regalava ancora vini che interpretavano verosimilmente le sue caratteristiche di base, piombano sul mercato improbabili Pecorini dai sentori smisuratamente ammiccanti.

Pecorini buoni per avvicinare al vino gli eno-neofiti, e quella parte del pubblico reverenzialmente intimorita da vini più compositi.

     Pecorini tecnicamente impeccabili, ma che hanno, in una sorta di “imprinting” segnato indelebilmente il gusto di quelli che ci si sono avvicinati, creando l’archetipo di un vino che ha ben poca se non nulla corrispondenza con il vitigno da cui proviene.

     Pecorini…  che con il loro vitigno di origine hanno lo stesso rapporto che ha la bravissima attrice Nicole Kidman con  il suo originario aspetto…

vino pecorino nicole kidman

     Guardate qua, e fate il paragone tra prima e dopo… è la stessa cosa con certi vini. Spesso, troppo spesso e senza accorgercene, beviamo vini che con il loro originale hanno ben poco a che fare, causa esagerato lavoro di makeup – oooops, cantina…

     I pochi lettori arrivati faticosamente a questo punto del post si chiederanno…

«Embè? Quindi… ci hai annoiato fin qui per raccontarci che tanti Pecorini sono in realtà una bufala, una mistificazione gigantesca?»

     Beh… non è proprio così, perché in mezzo a certi produttori che si sono buttati sull’onda di questo vino modaiolo super-amabile e super-profumato, ci sono stati e ci sono tutt’ora alcuni che hanno messo sul mercato delle bottiglie di Pecorino niente affatto disprezzabili, piacevoli, dai sentori più complessi, che ricordano un po’ di più il vitigno dal quali prendono il nome.

     Sono pochi, ma esistono! Meno male.

C’è speranza per il Pecorino…

     Ma c’è di più…

     Uscendo molto fuori dal coro (e meno male!) qualche produttore ha deciso di iniziare a vinificare il Pecorino semplicemente assecondandolo, come è buon uso di quelle cantine e di quei produttori che si fregiano dell’abusato aggettivo “naturale”, o che semplicemente hanno sempre fatto il vino senza alchimie ed equilibrismi da maghi Zurlì del vino.

     Io ne conosco due, e da poco se ne è aggiunta una terza. Se qualche lettore ne conosce qualche altra, ci scriva e saremo ben lieti di provarlo!

     Ora, giunti alla fine di tutta questa tiritera sul Pecorino un dubbio resta…

     Riuscirà il Pecorino (come altri vitigni) a scrollarsi di dosso tutto l’inutile mistificatorio belletto che lo ha trasformato in un qualcosa che non è mai stato?

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