100 anni e non sentirli

lamponi e fiori

Solitamente quando sento la frase “sarò breve” un leggero formicolio mi prende la schiena e la tentazione di stringere i bulloni della mutanda in ghisa è fortissimo!!! Quindi affrontiamo le nostre paure e tagliamo corto ….

Nel 1914 nasceva la “Ditta Berardino Santarelli & Figli”, dal nome del fondatore mercante di vino. Con gli anni, i tre figli, trasferitisi a Roma aprono il primo di successivi 11 negozi “Vini e oli”. Il passaggio all’imbottigliamento di vini tipici laziale è dietro l’angolo…. In tre righe siamo arrivati al 1967, anno in cui Dino Santarelli dà origine al Casale del Giglio, in provincia di Latina, a sud della capitale, zona inesplorata per la coltura della vite. Vengono ceduti tutti i negozi, tranne il primo che da enoteca è stato tramutato in ristorante, ancora oggi proprietà della famiglia, in Piazza Capranica 99 e i Santarelli si concentrano nella ricerca, sperimentazione e produzione di vini.

Ecco!!! Ero terrorizzata dal racconto storico di tanti anni di personaggi che hanno il merito di aver creato un’azienda da zero, senza annoiare. Cento anni non sono uno scherzo; ci vuole dedizione, curiosità, passione e continuità per rincorrere un sogno e non si può certo dire che la famiglia Santarelli abbia bruciato tappe o abbia perso il mordente…

Nell’85 Dino, suo figlio Antonio e l’enologo trentino Paolo Tiefenthaler avvalendosi di ampelografi  e ricercatori universitari iniziano l’avventura, coltivando diversi vitigni. Nascono così i primi vini da monovitigno e/o da assemblaggio, che tengano conto di un buon rapporto qualità/prezzo. Avendo aperto la mia enoteca con questa stessa filosofia, mi sono sentita vicina al produttore ed ai suoi vini.

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Io ho potuto conoscere alcuni di questi prodotti in una delle mie serate di degustazione al Ristorante Il Fauno, a Cesano Maderno, al quale sono molto affezionata per la cortesia, professionalità e qualità del cibo che offre. Devo ringraziare Alessandro Vitiello, Sommelier, e Simone Toninato, Chef, i quali mi permettono di conoscere realtà vinicole come questa.

Abbiamo iniziato con un tartare di tonno, emulsione di olio di bergamotto e fiori di gelsomino cotto a bassa temparatura, abbinando un Viogner 2014, un vino di veloce maturazione e quindi di difficile lavorazione per evitare di mancanza di eleganza; ha una grande freschezza (mi ricorda molto le sensazioni che percepisco in un arneis), più da aperitivo, ma trovo una buona persistenza, con una grande mineralità che non lo disdegno con un antipasto come quello propostomi.

Proseguiamo con una frittata di germogli di papavero, cozze e ricci di mare (delicatissima) che degustiamo con il Sauvignon del Lazio 2014. Trattasi di un vino che arriva da un territorio caldo, quindi ci troviamo al cospetto di un prodotto con una profumazione di zolfo, pietra focaia; negli ultimi anni la sfogliatura ha permesso a questo vino di accentuare la sua acidità, esaltando mineralità e salinità… ricordiamoci che siamo vicini al mare e le correnti portano sui vitigni tutto il suo profumo.

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In abbinamento ai paccheri con scorfano, olivelle di Gaeta e polvere di capperi, spezziamo il ritmo con un Biancolella 2014 di Ponza … ebbene si, L’Isola di Ponza!!! E’ un’isola vulcanica, solforosa che non ha una propria storia vinicola. L’azienda ha stretto un contratto con i ponzesi : ha affitato e vinificato una piccola parte di terreno, affidando la lavorazione e la gestione delle viti agli isolani. Il Casale del Giglio non ha intenzione di colonizzare ma di valorizzare il territorio, tant’è che una parte del ricavato viene restituito all’Isola per il ripristino dei vitigni. Parlando di un piccolo appezzamento, stiamo assaggiando una chicca (le bottiglie sono davvero pochissime!!!). Il vino è di un giallo paglierino con riflessi verdognoli, fruttato con grande sapidità, dovuto al terreno sul quale viene prodotto.

Con il riso carnaroli mantecato alla carbonara (con una spruzzata di sale del Madagascar) con guanciale di Amatrice, ci viene versato nel bicchiere l’Antinoo 2013. E’ un blend di Viogner e chardonnay, affinato in tonneaux (botti da 500 litri) di acacia. Sembra di vedere una colata di oro limpido che scende nel vetro ed il profumo elegante e fine non riesce a nascondere la mineralità e la salinità di questo vino, arrotondate dal passaggio in legno.

Giungiamo al caciocavallo e ricciolo di “Tete de Moine” con confettura di pomodori verdi e caviale di ciliegie (Simone Toninato è un appassionato e grande interprete della cucina molecolare!!!) con il penultimo vino, il cavallo di battaglia del produttore, il Mater Matuta 2011, un syrah con una piccola percentuale di petit verdot, uve raccolte a maturità piena con leggero inizio di appassimento nel caso del primo, lavorate in modo diverso con affinamento in barriques per 22-24 mesi, che ne arrotondano ulteriormente i tannini dolci e la profumazione intensa, nonché un ulteriore affinamento in bottiglia per circa un anno. Prima di essere messa in commercio una bottiglia di Mater Matuta passano 3 anni e si tratta di una particolare bordolese più alta del solito

Terminiamo la serata con una piccola torta di frolla biscottata, formaggio fresco e lamponi frozen e l’Aphoridisium, un passito composto da Petit Manseng, Viogner, Greco e Fiano. La sua lavorazione prevede una resa del 30%, in una concentrazione freschissima di fiori, frutta e miele, smorzato dalla nota minerale che toglie stucchevolezza.

Eccetto il Mater Matuta, che ha un costo di €.30.00, abbiamo apprezzato tutti vini di grande qualità e di ottimo prezzo, parliamo di importi che spaziano da €. 8.50 ai 15.00 euro e posso aggiungere che nessuno di essi  mi ha deluso, anzi semmai ne sono stata sorpresa, avvolta e coinvolta.

Complimenti al Casale del Giglio, che non ha mai smesso di rincorrere il suo sogno trascinandoci, come per magia, nel suo mondo!!!

Isabella monguzzi

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