90 anni e non sentirli..

L’Italia è piena zeppa di tanti vini interessanti che sono snobbati dal grande pubblico (e anche da tanti degustatori affermati….) per motivi in fondo banali: provincialismo, comodità degli stereotipi, scarsa apertura. Tra i tanti, un caso da manuale è il Sangiovese di Romagna o meglio, Romagna Sangiovese come vuole la riformulazione della DOP.

Spesso visto come il “cugino povero” dei vari Sangiovesi toscani – o, come si diceva in ambito Slowfood “Figlio di un Bacco Minore” – è in realtà un vino che ha nella generosità la sua dote principale; nelle migliori espressioni è infatti un vino che si concede con sicurezza e larghezza sincera, ha beva appagante unita a quella che i Francesi definiscono una profonda “vocazione gastronomica”, caratteristica questa che forse non lo fa talvolta brillare nelle commissioni d’assaggio ma che, a tavola, fa un sicuro effetto vista la velocità con cui vengono prosciugate le bottiglie.

Da diverso tempo un numero crescente di bravi produttori sta lavorando sull’accrescimento dell’eleganza espressiva – quasi a voler sbugiardare quel clichè di rusticità che il nostro si porta da sempre dietro – e tra questi c’è anche chi ha ricercato e recuperato con impegno e fatica una vecchia vigna ad alberello, oramai costituita da pochi ceppi contorti e spargoli che danno poca uva ma di grande qualità. E’ il caso, di fatto un unicum, di Torre San Martino (il nuovo nome di Tenimenti San Martino in Monte) azienda di proprietà romana ma di salda competenza romagnola (la gestione tecnica è in mano alla famiglia Bordini) e del suo “Vigna 1992”, un Signor Sangiovese figlio di una vigna di oltre 90 anni sita a Modigliana, sull’Appennino Tosco Romagnolo, appoggiata su terreni d’arenaria d’origine marina ad un’altitudine di 300 mt. Mezzo chilo di uva per pianta, una scrupolosa attenzione agronomica ed enologica, poche bottiglie (3.000 all’anno) per forza di cose, reperibili anche contattando direttamente l’azienda.

Ho avuto l’occasione di compiere una verticale di questo eccellente vino (annate 2002-2007 e 2010) che vi invito a non lasciarvi sfuggire non per snobismo, quanto per il suo valore territoriale, quasi “testimoniale” di quello che un grande Sangiovese può dare in Romagna. E, soprattutto, è buonissimo.
Ecco un breve resoconto degli assaggi del “Vigna 1922” sperando di avervi incuriositi almeno un po’.

2002 – E’ stata un’annata disgraziata, fredda e piovosa ovunque e lo è stata anche qui sull’Appennino. Difficile attendersi grandi cose di fronte a queste gravi difficoltà, eppure a distanza di un decennio pieno questa bottiglia, frutto di un’annata difficilissima, tiene botta ancora con grande dignità. I sentori sono maturi ma non certo decaduti. Il frutto è pieno e largamente terziario (confettura di frutta rossa, prugna secca e liquerizia dolce); non ha davanti molto tempo, ma potessimo averne di vini buoni come questo da vendemmie sfortunate! Sorprendente.

2003 e 2007 – Annate accomunate dal gran caldo, che ha favorito un’espressione davvero carnosa di questi vini, esuberanti nel tannino e nella frutta, potenti nell’alcol e sostanziosi all’assaggio. Il 2003 è giustamente più avanti ed è connotato da evidenti cenni balsamici; il 2007 ha invece timbri più confetturati uniti ai primi cenni di terziarizzazione (il goudron inizia a farsi sentire). In entrambi tannino deciso (quasi da addentare nel 2007) e carattere senz’altro imperioso. Facendo un paragone automobilistico, non hanno forse la progressione fluida di un diesel, ma c’è tutto il rombo di un motore sportivo a benzina. Due annate muscolose.

2005 – Un’annata anch’essa fredda e piovosa, meno difficile del 2002 ma comunque tutt’altro che facile, testimoniata nel vino da un corpo un po’ più sottile e da un’evidenza delle componenti dure, soprattutto un’acidità ancora vibrante e spunti gustativi “ferrosi”. Il naso può spiazzare perché note erbacee e cenni catramosi incontrano una frutta, in questo caso meno prorompente. E’ un vino forse meno appariscente per questo suo fascino freddo e una certa rigidità che però – ci scommetterei – gli donerà resistenza al tempo. Austero, ma affidabile.

2004 e 2006 – Queste sono due annate bellissime e classicissime. I vini hanno tutto: freschezza succosa, tannino levigato, estratti, alcol in equilibrio, riconoscimenti fruttati, balsamici e una terziarietà ancora da sviluppare. Tutte le componenti strutturali sono integrate, con solo qualche giovanile croccantezza nel 2006 che promette comunque lunga vita. Coniugano generosità ed eleganza espressiva e guadagneranno probabilmente ancora ulteriore profondità e complessità negli anni a venire. Appaganti e pericolosamente beverini pur nella loro ampia articolazione.

2010 – Denuncia tutta la sua gioventù perché le spinte esuberanti dei tre pilastri (alcol, tannino, acidità) lo rendono in questa fase difficilmente affrontabile. Dietro però questa fase giovanile che il tempo assesterà, si intravede facilmente che questo “bel bambino” sarà un campione di nitidezza e rigore geometrico, senza però tradire la generosità propria della tipologia; fa pensare a come potesse essere stato il 2006 appena uscito. Da comprare con sicurezza e dimenticare per qualche anno in cantina. La fiducia sarà senz’altro ripagata.

Un ringraziamento all’amico Fabio Magnani, giornalista ed esperto degustatore, per avere messo a disposizione queste bellissime bottiglie.

di Edoardo Duccio Armenio
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