Mieli, vegani e api-cultori

mieli

“Complimenti all’autrice di queste ottime righe. Ben scritte, chiare, ben organizzate. Da anni mi chiedo perché nessuno abbia mai pensato di proporre la canna da zucchero, matura e ricolma di buono, in forma surgelata. Sarebbe l’unico modo per poter  gustare il paradiso che la sua polpa contiene. Ma forse  vi sono problemi logistici ancora insuperabili. Attendiamo il futuro, ah ah ah.” Cosí iniziava un mio post scritto tempo fa sulla bacheca dell’amico Giustino Catalano.

Detto questo veniamo però al miele che era uno degli zuccheri di cui il pezzo trattava.

     Prendo spunto infatti da questo recente articolo sugli zuccheri e sulle varie bufale su di loro costruite, uscito su Di Testa e di Gola per dire la mia.

    Tanti oggi, troppi, parlano e scrivono di alimentazione e salute dopo aver letto tre righe su qualche improbabile blog salutista e  spesso senza averne nessun titolo. Nessuna forma di umiltà oggi è di moda, solo presunzione e supponenza, che non sono certo doti e che non sono nemmeno propedeutiche alla Sapienza di cui vi é immenso bisogno. Ma arriviamo alle righe lette, in particolare a quelle che si riferiscono, come dicevo, al miele e a come certi gruppi di pseudo esperti lo descrivono o ne parlano.

     Premetto che nel pezzo a cui mi riferisco apparso su Di Testa e di Gola le cose lette sul miele scritte dall’autrice erano tutte correttissime.

Puntualizzo solo che io non avrei usato il termine “rigurgito” collegato ai mieli.

     Correttissimo scientificamente, sia chiaro, ma evocante in molti di noi consistenze e sapori lontani dal… buono e gustoso. Il termine tecnicamente corretto coinvolge diciamo, troppo da vicino, espressioni “digestive” e nel caso dell’ape siamo invece di fronte ad una semplice suzione che porta il nettare in una speciale sacca chiamata ingluvie, ben separata dallo stomaco vero e proprio, perciò lontana da peripezie digestive, nella quale il nettare inizia la propria trasformazione in miele entrando in contatto con enzimi come l’invertasi, che possiede proprietà di idrolizzare il saccarosio in glucosio e fruttosio.

     Avrei preferito il termine “trabocco”, rende meglio in questo caso, secondo me. Un sostanziale riversamento da una coppa  naturale, ingluvie,  in altre coppe naturali. Ma sono sottigliezze di un amante di api, perdonatemi.

     Ma vorrei arrivare a chi fa circolare, purtroppo, certe imprecisioni dettate  spesso da buona fede, cioè agli amici vegani e le loro idee su api e mieli che il pezzo sottolinea.

La mia posizione sul veganismo é nota.

     La sintetizzo in poche parole che derivano però da centinaia di pagine di studi e ricerche scientifiche, tutte leggibili.  Intendiamoci, salvo rari casi estremistici, i fratelli e le sorelle vegane sono in genere tutte persone in buona fede. Purtroppo però dotate spesso di scarse conoscenze scientifiche sui cicli vitali del nostro piccolo pianeta e, per questo,  a loro insaputa, dannose al pianeta. Certamente in buona fede, ma purtroppo comunque dannose. Potrei fornire un elenco di testi se qualcuno fosse interessato al mio punto di vista. Per ora e in queste righe, che devono per forza  comunque rispettare spazi, preferisco usare una metafora. O meglio alcune metafore.

     Tutti sanno che il vino é un alimento vegetale. Esiste da poco una certificazione Vegan per il vino, rilasciata dall’Icea di Bologna che, dopo un lungo iter procedurale, ha definito un disciplinare molto preciso che prevede l’eliminazione di ogni sostanza di origine animale nella lavorazione del vino. Il disciplinare voluto da Icea è molto puntuale anche sulle indicazioni da riportare in etichetta, compreso il divieto a ogni riferimento ad abbinamenti con carni, formaggi e uova.

     Ora, tutti sanno, spero, che sulla nostra pelle esistono popolazioni batteriche specifiche, nonché secrezioni, decisamente animali. Sono quelle che entrano in relazione con la pasta madre, ad esempio, la quale vive in amicizia con la pelle del proprio manipolatore abituale.

Ora seguitemi.

     Se io facessi un ottimo vino vegano e se decidessi che questo venisse pigiato, come  si faceva un tempo,  da 10 ragazzi e ragazze giovanissimi, i loro venti santi piedi, insieme ai loro  venti santi e sacri polpacci sarebbero immersi  nel mosto,  non é vero?

     Ecco, in quel mosto sarebbero anche fatalmente presenti le infinitesime secrezioni della pelle “sacra” di quelle 10 meraviglie giovani della natura umana. Con questa presenza animale il vino potrebbe essere definito prodotto animale?  Rimarrebbe vegano o no?

     Chi legge rifletta e si dia la risposta.

     Bene, nello stesso modo e con la stessa infinitesima presenza sta la fisicità o animalità dell’ape nei mieli che purtroppo per la legge italiana vengono, secondo me sbagliando, inseriti nell’elenco dei prodotti animali.

     I mieli, seguendo invece la logica del vino detta sopra, sono infatti come i vini pigiati con i piedi, prodotti vegetali. Non cambiano la loro natura. Punto. Non vado oltre. Non ne ho voglia. Se  ci pensate si potrebbe dire la stessa cosa per il pane impastato dal fornaio a mano e cotto nel fatidico forno a legna. Vi invito ad una riflessione su questo.

     Vengo ora al secondo tema trattato nel pezzo e che mi interessa chiarire, sempre in riferimento a  notizie circolanti sui mieli e sulle api.

Il prelievo dell’apicoltore.

     Vero. L’apicoltura razionale prevede un recupero quasi totale del miele – scorte-  prodotto dalle numerose bottinature della stagione mellifera, di diversa durata nelle diverse zone climatiche. La scorta viene poi ricreata, dall’apicoltore stesso, nutrendo le api prima dell’inverno o prima della stagione del fermo dell’alveare; anche questa più o meno lunga a seconda delle zone. In alcuni casi quasi inesistente- estremo sud- ad esempio.

     È più che comprensibile e giustificabile per chi (meno male che esistono gli apicoltori professionali) voglia fare della propria collaborazione con le api una professione da reddito. Va detto e ridetto che le api senza gli apicoltori professionali, oggi come oggi,  sarebbero in via di estinzione sicura rischiando molto di più di ciò che rischiano già oggi a livello mondiale con le immense problematiche che le colpiscono nei vari territori.

     Senza l’apicoltura razionale il miele sparirebbe dalla normale distribuzione e sarebbe alimento per pochi, pochissimi direi. Con la sparizione del miele disponibile ai più  sparirebbero gran parte anche delle api oggi in circolazione, che tali rimangono perché curate e accudite costantemente dagli apicoltori che di miele vivono.

     Perciò diamo a Cesare quel che é di Cesare, viva l’apicoltura anche intensiva, ma onesta e tecnicamente preparata, e con essa le api.

Vi sono poi però anche altre tipologie di apicoltori che sposano in larga parte altre idee, altre filosofie apistiche.

     Si tratta di nuove figure, sempre più presenti in campo apistico, anche tra i profi, che si muovono diversamente. Si tratta degli api-cultori.

     Questi strani “curatori di api” lasciano sempre buona parte di miele vero, da nettari o linfe, alle api; cercando di nutrirle lo stretto indispensabile e se possibile non nutrirle affatto. In questa ultima categoria vi é poi il cosiddetto api-cultore puro e talebano, un imbecille sognatore utopico sostanzialmente. Come sono io ad esempio, che lascio alle mie api  sempre il 50% del loro miele. Ma ripeto: trattasi di imbecille sognatore utopico.

     Io lo posso fare non avendo, ripeto NON AVENDO, fini di reddito attraverso i mieli. Io vivo con le mie api, ma non vivo di mieli e mi posso  permettere questo regalo che faccio ogni anno alle mie ragazze ronzanti. Vivo fortunatamente d’altro introito in questo mondo dominato dall’energia denaro recuperando quest’ultimo da altre attività. Io lascio perciò alle mie ragazze ronzanti il 50%  dei mieli da loro faticosamente prodotti e, secondo me, tutti coloro i quali amano le ragazze ronzanti e NON VIVONO DELLA VENDITA DEI MIELI, e sono parecchi, dovrebbero – dico dovrebbero, sia chiaro –  fare lo stesso.

Chiaramente, ognuno però faccia come crede e a tutti loro va il mio rispetto comunque.

     A questo punto qualcuno potrebbe dire giustamente: “ma perché, allora, con un grande atto d’amore, non lasciare tutto il miele che  le tue api producono a loro stesse?”

     Purtroppo, con le genetiche apistiche presenti oggi in gran parte dei paesi leader nel campo dei mieli di alta qualità e relativi studi, si è visto – ricerche alla mano – che questo non procurerebbe alle api  più benessere. Anzi.

     Chi ama le api  domestiche perciò, quelle accudite per intenderci, deve recuperare comunque un po’ di  miele anche se non vive di mieli. Come chi ama le vacche da latte, che pascolano tutto l’anno libere, é obbligato a mungerle e a recuperare  il latte. Anche se ha una sola vacca e non vive di latte venduto, se vuole un po’ di latte per se stesso e gli amici la deve tener munta e farle fare vitelli.

     Sono stato chiaro? Spero di sì.

     Chiudo dicendo cose che dico da sempre e che rimangono fondamentali. Adottate, se potete, sempre un apicoltore o più apicoltori  di fiducia – razionali grandi professionisti o piccoli visionari e appassionati che siano –  . Persone  comunque che  potrete conoscere, incontrare, a cui dare la mano. Con cui parlare e poter capire. Dove, come e perché lavorano con le proprie api? Questa è l’azione base per aiutare le api, gli apicoltori o cultori che siano, e il pianeta. Consumate i  mieli come alimenti sacri, buoni, paradisiaci in certi casi. Mai come medicine; anche se possono recitare da medicinale se vorrete, ma non é il loro ruolo sul palcoscenico della vita. Il loro ruolo é nella alimentazione dell’essere umano, quando questo sia sano e senza problemi con il metabolismo degli zuccheri, sia chiaro.

     Buoni mieli a tutti.

La foto in evidenza è stata reperita in internet e non è di nostra proprietà.
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