Andiamo a berci un calice a Vienna

Da quando c’è il trattato di Schengen non ci sono più quelle odiose barriere biancorosse ai confini, segate via senza tanti complimenti in una notte di fuochi d’artificio che sarà difficile da scordare.

Basta code al confine per mostrare il passaporto e spesso il bagagliaio. Fine di un’epoca. Europa libera. Europa vera. Adesso si va dove cavolo si vuole, quando si vuole e come si vuole. Come i più anziani dei miei amici e compagni milanesi si ricorderanno perfettamente, ai nostri tempi per passare una notte diversa bastava saltare in macchina e andare ”a berci un caffè a Genova”. Per me che adesso abito in Polonia adesso la stessa cosa avviene con Vienna.

Perciò mi piace scendere spesso in tre ore nella valle del Danubio attraversando quel fiabesco paesaggio del Weinviertel che è veramente stupendo, fatto di dolcissime colline fra campi modernamente coltivati e di boschi d’intensissimo verde del Leiser Berge e di Schwarzwald, dove vivono liberi cervi e daini che d’inverno si spingono a cercare da mangiare fino alle case dei contadini ed è perciò facile incontrarli anche sulle tranquille strade di campagna.

Appena attraversato quello che era il confine posso bearmi la vista con uno sguardo sui soleggiatissimi vigneti austriaci in un paradiso di dossi particolarmente vocati alla coltivazione della vite, da dove vengono degli ottimi vini bianchi e rossi che i locali bevono molto più volentieri della birra. Grandi trasparenze e luminosità nel bicchiere, profumi delicati e grande armonia di sapori testimoniano di un microclima veramente dotato. Nelle trattorie si possono gustare con estremo piacere, perché sono assolutamente tipici e ben si abbinano alle pietanze calde che ristorano i viandanti.

Vienna è soltanto a una sessantina di km e Stockerau a una quarantina, ma il Weinviertel è tutto un altro mondo, l’ambiente qui è molto protetto e vale la pena goderne in pieno anche per un solo attimo. Chi guida dovrà fare molta attenzione ai cervi che sbucano improvvisamente sulle strade, specialmente di notte, non siamo in Italia e qui è pieno di animali selvatici che sono attratti proprio dalle luci dei fari e non sono ancora abituati a… dare la precedenza. Ma anche di giorno è meglio godersi il paesaggio a velocità limitata. Chi lavora fra i campi coltivati e le vigne è spesso tanto sudato e sfinito che non riesce proprio a prestare la dovuta attenzione al movimento degli altri mezzi nemmeno su quei lunghi e ingannevoli rettilinei che invitano lo sguardo a perdersi tra le dolci colline e le foreste che le circondano.

Un viaggio in macchina a Vienna è un eccellente pretesto per misurarsi con gli stereotipi, i cliché, i luoghi comuni. E con il mito di questa città dalla freddezza impressionante, con dei posti che a molti fanno anche schifo, eppure è così piena di paradossi e di contrasti e, cosa importante, di vini veramente buoni. Qui si respira il concetto stesso di Mitteleuropa, di cui si parla anche nell’ambito dei vini, degli usi e costumi, della storia e delle aspettative comuni. In ognuno di noi ogni tanto sicuramente si risveglia, più forte o più debole, la voglia di far parte di una determinata comunità. La sensazione di parlare in tanti con una voce sola, quella di essere fiancheggiati da un gruppo, da un’idea, da una storia.

Andando a Vienna dalla Polonia, però, attraverso ancora una serie di stereotipi in successione. La solita paura dei conducenti di trovarsi di fronte alla proverbiale cattiveria della Polizia della Repubblica Ceca e, appena superato il confine austriaco, le infinite trappole della Stradale austriaca,la serie dei cartelli stradali rivolti agli ”invasori” che arrivano dai Paesi oltre l’abbattuta ormai ”cortina di ferro”, con degli ordini che non sembrano proprio dei modelli di gentilezza, come il ripetuto ”Tieni la destra!”.

Ma in che cavolo di altro modo credono che siamo abituati a guidare? Nonostante questo, però vale sempre la pena di rallentare, di fermarsi. E di comprare il vino. Poysdorf è la capitale del grüner veltliner di questa regione, ma non si ferma nessuno. È un po’ un peccato, perché ogni automobilista deve transitare comunque per il centro di questa cittadina e deve quindi passare proprio davanti a un grande portone sotto la scritta ”Weinmarkt”. Basterebbe scendere dall’auto ed entrare lì dentro per rimanere impressionati dall’ampiezza dell’offerta e dalla convenienza.

A questi vini manca la profondità, la varietà e forse anche la grandezza delle etichette della Kremstal, della Kamptal o della Wachau, ma chi se ne importa? A dire la verità vale davvero la pena di assaggiarli lo stesso, perché sono vivaci, puliti e autentici (e non cari). Una cosa davvero curiosa è anche il fatto che una parte dei ripiani di questo mercato è dedicata ai vini della vicina Repubblica Ceca. Si può dedurre da tutto questo che il concetto di un’idealistica Europa dalle origini comuni non cova soltanto nelle allucinazioni dei sognatori, degli appassionati della storia, dei poeti della cultura? Non lo so. Di fianco al portone si può trovare un’informazione turistica ottimamente dotata di una moltitudine di segnalazioni su dove dormire, dove mangiare e dove andare in bicicletta, a cavallo o in passeggiata.

Anche questo è importante: andare in campagna e guardare dove e come nasce il vino. Il che è senz’altro piacevole come i numerosi sgabbiotti würstelstanden lungo la strada e nei sobborghi in cui si possono gustare dei favolosi bratwürsten, il cui nome esteso sarebbe “salsicce St. Galler Bratwürst IGP”, originarie della città di San Gallo in Svizzera, e già nel 1438 menzionate negli statuti della Corporazione dei Macellai di quella città. Prodotte con carne di maiale, carne di vitello, latte e un mix di spezie (sale, pepe, ecc..). L’impasto è tritato molto finemente per renderlo omogeneo e poi inserito in un budello di maiale. Prima di essere grigliate vengono bollite.

Si vedono le vecchiette che vendono per strada le cipolle e il vino fatto in casa e le rumene che invitano alla camporella. Come se il tempo si fosse fermato. Niente fa capire che si sta per entrare in una metropoli dell’Europa ultramoderna, ma finalmente ci si arriva a quella Schönbrunn della la principessa Sissy e di Cecco Beppe. Poi a quella follia di un architetto nella Hundertwasserhaus, ai gustosi panini imbottiti da Trześniewski e siamo di nuovo agli stereotipi. Questa è una città goduriosa, benestante, ben organizzata. Dove si può bere un ottimo riesling di Alzinger nei calici dei wine-bar della rete Wein & Co. oppure si possono gustare le ghiottonerie di Julius Meinl come ci si può annoiare a degustare vini di Saint-Estèphe a bicchiere per pochi euro.

Bizzarrie. Per un riequilibrio spirituale vale la pena immergersi nell’isola toscana della Cantinetta Antinori in una viuzza aperta da un negozio di cristallerie che incanta la vista e poi passeggiare nel passaggio sotterraneo verso l’Opera, dove si nascondono al mondo quelli che si sentono esclusi. Quelli che a qualsiasi ora del giorno e della notte guardano, ma non vedono. Si trasferiscono con la mente su altri mondi e in altri spazi. Raccomando anche la lettura del libro di Gerhard Roth intitolato ”Viaggio all’interno di Vienna”. Lì si possono trovare molte più immagini del vero volto di questa città. Viene sempre un inizio di malinconia quando è il momento di fermarsi. Le indecisioni esistenziali sarebbe invece meglio annegarle di sera in una delle tipiche ”heuriger”, le taverne di Hietzing e del bosco viennese. Ordinate un pesce e ve lo serviranno dritto dalla padella con un litro di vino bianco freschissimo in caraffa.

Qui, dove il tempo si è fermato e gli ospiti si accomodano su sedie che stanno lì da almeno mezzo secolo, dove un musicante prima ci degnerà di un commovente ritornello tipicamente popolare per poi combattere con le indimenticabili disarmonie di Jimi Hendrix. Quando si spengono le luci e bisogna proseguire il viaggio, viene la voglia di andare verso Budapest o forse più in là, a sud verso Trieste o Lubiana. Questa sì che sarebbe una bella gita. Specialmente a settembre, quando l’afa è già passata. Ma forse è meglio tornare indietro. A Cracovia.

Prima però mi diverto come sempre a saltar dentro a uno sgangherato ascensore paternoster. C’è scritto ascensore sulla targhetta, ma è un particolare tipo di montacarichi a funzionamento continuo, è un anello in continuo movimento a velocità costante al quale sono legate tramite catene delle cabine apposite per il trasporto o di persone o di oggetti che scorrono su due colonne affiancate di senso inverso, una che sale e l’altra che scende, e permette alle persone di entrare a volo nelle cabine e cambiare piano. Questo è svizzero, della ditta Schleiren. Ne curava la manutenzione l’ingegnere Stefan Sowitsch che cento anni fa lavorava a Wienerberggasse nel sedicesimo distretto di Vienna, Ottakring, più noto per la birra Ottakringer, favolosa quella naturtrübe. Con quella, l’estate non finisce nemmeno quando comincia l’autunno. E la prossima volta parliamo di birre che è meglio!

 

Mario Crosta

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