Biodinamica sì, biodinamica no. Ma la legge non è uguale per tutti?

La questione “biodinamica” torna a far parlare di sé, perché l’8 febbraio la Camera dei deputati ha discusso una legge sull’agricoltura biologica che contiene anche norme sull’agricoltura biodinamica.

Motivo del contendere è il primo articolo della legge, dove troviamo scritto che: il metodo di agricoltura biodinamico, che prevede l’uso di preparati biodinamici e specifici applicato nel rispetto delle disposizioni dei regolamenti dell’Unione Europea in materia di agricoltura biologica, è equiparato al metodo di agricoltura biologica. Sull’argomento interviene con l’autorità del suo premio Nobile, Giorgio Parisi, che il 6 febbraio sull’ Haffinton Post scrive: dalla fine della caccia alle streghe in poi, la magia non è più entrata nell’ordinamento giuridicoEvitiamo un passo indietro di secoli. Quindi da una parte c’è il mondo scientifico ai massimi livelli che, giustamente, enumerando tutta una serie di regole inventate da Steiner, non fa fatica a parlare di stregoneria. Senza però soffermarsi sul risultato, sul prodotto. Dall’altra, c’è una fascia di consumatori che trascura o sorride di quelle regole e si ferma invece ad osservare i prodotti e i riflessi sull’ambiente e sul suolo. Chi ha ragione e chi ha torto? Probabilmente tutti e due, perché entrambi non entrano nel merito della legge in discussione alla Camera. Facciamo un passo indietro. La EU ha scelto la strada dei marchi di qualità, DOP, IGP, STG, biologico per mettere ordine in un settore in cui dominavano iniziative interessanti ed altre strampalate. Per incoraggiare i produttori a aderire a queste denominazioni emette periodicamente bandi per finanziamenti di vario genere a cui possono accedere solo i marchi riconosciuti. Quindi, se l’agricoltura biodinamica fosse riconosciuta, potrebbe accedere a questi bandi. Per poter ottenere il riconoscimento, un marchio qualsiasi dovrebbe avere un disciplinare e un ente di certificazione che ne controlli l’applicazione. Il biodinamico ha un disciplinare e anche un ente di certificazione, Demeter, che però è privato e lavoro in regime di esclusività.

 

 

Può e deve lo Stato sindacare il contenuto di un disciplinare? In Francia, che ha tradizioni centraliste, lo fa e come, basta vedere il dinamismo e la durezza con cui l’INAO, l’organismo che controlla i marchi, impone a gran parte dei Consorzi una revisione al ribasso, per ridurre i livelli produttivi degli animali e le rese per ettaro dei vegetali. In Italia tutto questo non succede e quando lo Stato interviene quasi mai va nella direzione dell’interesse collettivo ma solo verso l’interesse della parte in causa. La qualità dei prodotti a marchio comunitario sta lì a dimostrare che i disciplinari fanno acqua da tutte le parti.  Ma, in fondo, se ci pensiamo, non è un passaggio importante, perché saranno poi i consumatori i migliori giudici. Non a caso molti produttori, e non solo di vino, abbandonano le denominazioni di origine perché gran parte dei disciplinari sono troppo generici e dentro c’è di tutto.  Quindi il problema non è il disciplinare, bensì l’ente di certificazione. Per i marchi comunitari l’ente di Certificazione deve essere terzo, non deve avere rapporti con quel mondo della produzione e deve ufficialmente essere riconosciuto dallo Stato. Nel caso del biodinamico, Demeter, non è terzo, e soprattutto non è riconosciuto e comunque è l’unico ente a certificare. Invece, nel caso dei marchi comunitari, ogni produttore sceglie il suo ente di certificazione da un lungo elenco di strutture regolarmente autorizzate. Quindi il biodinamico può essere equiparato al biologico solo se i produttori sono liberi di scegliere il proprio ente di certificazione.

Ma c’è ancora un altro problema. Perché solo il biodinamico? O meglio, perché una legge deve entrare nel dettaglio del nome. La legge deve definire la regola, che deve valere per tutti coloro che hanno quei requisiti. Quindi non solo il biodinamico. Già al momento esistono altri marchi collettivi che potrebbero rientrare in questo regolamento, per esempio il marchio Meno (Metodo Nobile). Ma nel breve periodo altri ne sorgeranno perché il mondo dell’enogastronomia sta cambiando velocemente. Più logico sarebbe quindi scrivere che vengono equiparati al biologico tutti quei marchi collettivi e non privati che abbiano un disciplinare di produzione e la cui certificazione venga effettuata da enti riconosciuti e liberamente scelti dai produttori. Forse così, sia il biodinamico e sia gli altri marchi impareranno a fare meglio i disciplinari di produzione, con grande beneficio per tutti.

Di Roberto Rubino

 

 

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