Biodiversità in cucina: storie di semi, sapori e zucchine dimenticate
La biodiversità
Parlare di biodiversità significa raccontare la varietà della vita sulla Terra, ma anche la sua fragilità. In agricoltura come in cucina, la biodiversità è l’insieme di tutte le specie vegetali e animali che nel tempo hanno nutrito popoli, territori e culture. È ciò che ha permesso all’umanità di adattarsi, di coltivare, di cucinare secondo clima, stagione e necessità. È un patrimonio silenzioso, spesso dato per scontato, che oggi rischia di andare perduto.
La perdita della biodiversità
Negli ultimi decenni, la progressiva industrializzazione dell’agricoltura ha favorito l’omologazione delle colture. Si è passati da una moltitudine di varietà locali — adattate ai microclimi, alla sapienza contadina e alla storia gastronomica di ogni luogo — a poche coltivazioni selezionate per resa, uniformità estetica e resistenza ai trasporti. Secondo la FAO, nel corso del XX secolo abbiamo perso circa il 75% della diversità genetica delle colture agricole, perché molte varietà tradizionali sono state progressivamente abbandonate (FAO, The State of the World’s Biodiversity for Food and Agriculture, 2019). Oggi, oltre il 60% delle calorie consumate globalmente proviene da tre sole colture: grano, mais e riso. Questo squilibrio rende il sistema alimentare più vulnerabile ai cambiamenti climatici, alle malattie delle piante, alla crisi delle risorse (FAO, 2021). La biodiversità, quindi, non è solo una questione ambientale: è un tema che riguarda la sicurezza alimentare, la salute e l’autonomia dei territori. A questa visione si affiancano anche letture culturali e politiche, come quelle proposte da Vandana Shiva e dalla fondazione Navdanya, che da anni denunciano l’erosione delle varietà locali come una forma di perdita di sovranità, conoscenza e memoria agricola.
La perdita di biodiversità ha anche un impatto diretto sul nostro modo di cucinare. Una dieta basata su pochi ingredienti impoverisce i sapori, appiattisce le stagioni, riduce la creatività. Al contrario, riscoprire varietà dimenticate significa allargare il nostro repertorio gastronomico, rafforzare la resilienza dei sistemi locali, e aprire nuove possibilità espressive in cucina. Ogni seme racconta una storia. Ogni ortaggio dimenticato porta con sé un gusto che non abbiamo più l’abitudine di riconoscere. In questo senso, cucinare può diventare un gesto di tutela. Chi coltiva e chi cucina possono contribuire insieme a mantenere viva la diversità, facendola passare dai campi ai piatti.
Un esempio emblematico? Le zucchine.
Spesso ridotte a una sola forma — lunga, verde, dalla pelle liscia — le zucchine sono in realtà una delle famiglie orticole più varie. Ne esistono centinaia di varietà, appartenenti a diverse specie di Cucurbita, coltivate da secoli in tutto il mondo. In Italia troviamo le zucchine striate romanesche, le tonde di Nizza o di Piacenza, le lunghe napoletane, le gialle del Veneto, le “trombette” liguri. Nel mondo, le varietà si moltiplicano: zucchine bianche, a buccia rugosa, serpentiformi, perfino zucchine rampicanti usate nei piatti dell’Asia meridionale.
Riscoprire queste varietà significa allargare l’immaginario culinario. Le zucchine tonde sono perfette da riempire, quelle romanesche si gustano crude o appena scottate, mentre le varietà più acquose si prestano a zuppe e curry. Alcune hanno un sapore dolce e delicato, altre sono più erbacee o aromatiche. Non tutte si comportano allo stesso modo in cottura: alcune reggono la griglia, altre si sfaldano con facilità. Ogni varietà è una possibilità. Coltivarle — o anche solo sceglierle al mercato — è un modo concreto di sostenere la biodiversità. Non serve un grande orto, ma uno sguardo curioso e una cucina aperta. Bastano una ricetta da reinventare, un sapore nuovo da ascoltare. Preservare la biodiversità non è un compito da delegare a grandi enti: comincia con una zucchina. E con un po’ di attenzione quando si fa la spesa e si sceglie cosa mettere nel piatto.
Pasta di lenticchie rosse con zucchina gialla e ravanelli saltati
Un piatto colorato, leggero e naturalmente privo di glutine, ideale per esaltare ortaggi estivi poco comuni ma ricchissimi di sapore.
Ingredienti (per 2 persone): 160 g di pasta di lenticchie rosse (tipo sedanini o penne); 1 zucchina gialla tipo crookneck o yellow summer squash; 4–5 ravanelli freschi; 1 scalogno piccolo; 1 cucchiaino di olio extravergine d’oliva; un rametto di timo fresco (o maggiorana); 1 cucchiaio di semi di zucca (per guarnire); sale marino integrale q.b.; pepe nero macinato fresco (facoltativo)
Procedimento:
- Lava e affetta sottilmente la zucchina gialla e i ravanelli, mantenendo la buccia per conservare consistenza e colore.
- Trita lo scalogno e fallo appassire in padella con l’olio extravergine per 2–3 minuti.
- Aggiungi le zucchine e i ravanelli, un pizzico di sale e il timo sfogliato. Cuoci a fuoco medio-alto per circa 5 minuti, finché le verdure sono morbide ma ancora croccanti.
- Nel frattempo, cuoci la pasta di lenticchie in abbondante acqua salata secondo le istruzioni (solitamente bastano 6–8 minuti).
- Scola la pasta, tenendo da parte un cucchiaio di acqua di cottura, e uniscila alle verdure in padella.
- Salta tutto insieme per un minuto, aggiungendo l’acqua tenuta da parte per amalgamare meglio.
- Servi subito, completando con una manciata di semi di zucca tostati e, se gradito, una macinata di pepe nero.
Un primo piatto veloce, ricco di proteine vegetali, fibre e colori. Perfetto per valorizzare zucchine “alternative” e ortaggi spesso relegati al crudo, come i ravanelli, che qui rivelano una dolcezza inattesa.
Photo Credit: Francesca Luise.



