Carnevale di Tufara: sicc sicc, maccaruni e savuciccia!

carnevale di tufara

Tufara, Molise.

     Piccolo borgo a cavallo tra Molise, Puglia e Campania, ma nel medesimo tempo specchio di quell’unicum che è l’appenino e la sua cultura.

     Lo scrittore Paolo Rumiz profondo conoscitore dei limes nostrani, nel suo bel libro La leggenda dei monti naviganti, situa non lontano da Tufara (nella vicina Ripabottoni) il limes tra il centro e il sud Italia:

“Sera di vento sul lago del Fortore, nero come la pece, al confine con la Puglia. A Ovest, le luci di Pietracatella; un grumo di case attorno a una chiesa-fortezza. Ho lasciato il tratturo che va da Campobasso al Gargano; all’altezza della stazione di Ripabottoni (che nome!) ho visto luccicare a Sud, nel cielo di temporale, una sequenza di villaggi su un’onda lunga di alture viola, e ho preso quella strada. La seguirò a lungo, fino al Cilento. Il Sud comincia a Ripabottoni: sembra il titolo di un libro. Come i bivii della vita, anche la boa di un viaggio può essere un luogo minimale, fuori dal mondo” 

     Tufara è un presidio sugli sfumati confini dell’appenino, ma è anche un paese che ha trasformato una ricorrenza (Carnevale appunto) nella sua identità, anzi: nella sua ragion d’essere come comunità.

Tufara è il suo Carnevale

carnevale di tufara

     Per Carnevale torna in paese chi è emigrato in città o all’estero.
Per Carnevale si mobilitano tutti. Per carnevale sono coinvolti in un positivo “imprinting” anche i bambini, ai quali spetterà il compito di tramandare e mantenere vivo questo particolarissimo rito.

     Sì signori, il Carnevale di Tufara è uno dei pochissimi carnevali rimasti ancora intatti nella sua essenza nel senso pieno della parola (dal latino carnem levare (“eliminare la carne”), ad indicare il banchetto che si teneva l’ultimo giorno di Carnevale (Martedì grasso), subito prima del periodo di astinenza e digiuno della quaresima.

     Il Carnevale di Tufara, pur con qualche concessione a nuove tendenze, ancora resiste alla valanga di rassicuranti (e un po’ scialbe) profusioni di maschere e mascherine che hanno trasformato una festa quasi “sovversiva” dove l’ordine sociale veniva ribaltato, quale era il carnevale, in un qualcosa certamente colorato & colorito, ma innocuo per l’ordine costituito.

     Carnevale, andando alle origini, era anche la festa durante la quale gli schiavi erano liberi e potevano banchettare e concedersi ogni piacere, mentre si eseguivano sacrifici agli dei.

     Carnevale, riportato alle sue origini, è una festa “cattiva”, rivoluzionaria a suo modo. Il Carnevale aveva finalità liberatoria per la collettività e i singoli.

carnevale di tufara

     Una festa di ribellione all’ordine costituito, ma anche la festa in cui si provava a “regolare i conti” nella collettività, se possibile in maniera non cruenta, con lo sberleffo, o con il mascherarsi per incutere terrore. Un giorno all’anno, ma istituzionalizzato…

Il Carnevale di Tufara ha modalità di svolgimento ben diversi a quelli che siamo abituati

     Dal pomeriggio dell’ultimo giorno di Carnevale (appunto, martedì grasso), le strade del paese sono letteralmente invase da piccole brigate composte da un diavolo, raffigurato con una sua particolare maschera zoomorfa con tanto di corna e tridente, avvolto in una pelle di capra, (e… come odora!) preceduto da due figure di bianco vestite col volto infarinato, a rappresentare la morte, che minacciose agitano una falce sbattendola con fracasso per terra, importunando e minacciando chiunque capita a tiro, nel tentativo di trascinare con sé nuovi “clienti” negli inferi da dove provengono.

     Altri personaggi, abbigliati con tonache scure e volti anneriti, provano a trattenere il diavolo incatenato che si dimena provando a molestare i presenti. Invece, altre maschere più bonarie e goliardiche provocano, cercano ad ogni costo lo sberleffo coinvolgendo i presenti nella grande pantomima.

carnevale di tufara

     Non solo diavoli, appunto… ci sono tante maschere e personaggi in questo originale carnevale, ognuna con il proprio nome, come i folletti, la madre e il padre di carnevale, la giuria, U’ pisciatur…

     Così, dopo un pomeriggio movimentato che coinvolge ogni angolo del paese e chiunque di lì passi, e qualsiasi siano le condizioni climatiche, la manifestazione arriva al suo climax nel processo, dove dopo aver ascoltato le malefatte dell’imputato, testimoniate dai presenti, viene emessa la condanna a morte del fantoccio che rappresenta il Carnevale, fantoccio che dopo essere fucilato, viene scaraventato giù dagli spalti della antica fortezza longobarda tra le grida e le esternazioni dei diavoli e del pubblico.

C’è tutto Dioniso in questo: la maschera zoomorfa e il Dio della vegetazione, che muore e rinasce ogni anno…

     C’è il vero carnevale, altro che mascherine…Un bel carnevale, davvero.

carnevale di tufara

     Tornado a noi di gastrodelirio, qualche lettore si chiederà come mai scriviamo su queste pagine del Carnevale di Tufara.

C’è forse qualcosa di mangereccio?
Ci si spancia di chiacchiere, dolcetti & castagnole?
Forse forse in paese hanno una qualche ghiottoneria speciale per questo giorno?
C’è un vino del “diavolo”, oppure un liquore?
Si finisce tutti con una gran cena prima del mercoledì delle ceneri?

     No, semplicemente a ben guardare, e leggendo tra le pieghe di tutto il Carnevale di Tufara, c’è profusione di riferimenti e citazioni per cibo e vino.

Partiamo da questo: martedì grasso

     Non ancora mercoledì delle ceneri – fino a mezzanotte per la carne c’è ancora posto, non dimentichiamo questo…

     Tra i molti personaggi che fanno parte della pantomima, più d’uno gira letteralmente bardato di allusioni gastronomiche, o forse in questo caso è meglio dire gastro-apotropaiche, sotto la forma di pezzi di lardo, collane di salsicce, corone di peperoncini etc etc. E già qui ci sta tutto, ma quello che interessa più tutti noi di gastrodelirio è “U’ Pisciatur“, il personaggio che più di tutti rappresenta i vizi, l’allegria e l’affermazione del caos del carnevale sull’ordine costituito.

carnevale di tufara

     U’ Pisciatur  nel carnevale di Tufara è anche l’antitesi del gourmet. Un gastrodelirante al contrario.

     U’ pisciatur (in realtà più di uno) gironzolano per le vie del paese, provocatoriamente armati di pitali (per chi non lo sapesse, vasi da notte) pieni di pastasciutta o vino che “gentilmente” offrono in degustazione. Non è solo uno sberleffo vero e proprio, c’è di più.

     “Carnevale sicc sicc, maccaruni e savuciccia!” ed ecco che la carne ritorna…

     E’ questo il motto che si sente cantare tra le strade – il grado alcolico e l’adrenalina dei figuranti sale. C’è allegria. Diavoli di ogni età spuntano da ogni angolo, e i folletti gli aprono la strada falce alla mano. I giudici già consultano le loro pandette, discutono, e si preparano con un boccale di birra al processo che ci sarà dopo…

Ma è U’ Pisciatur che imperversa… non c’è scampo

     Diavoli e processo a parte, in mia modesta opinione, dopo il diavolo è lui il vero fil rouge del Carnevale di Tufara.

     Chi ha coraggio, in una sorta di goliardica iniziazione, assaggia una forchettata di pastasciutta (ormai fredda e scotta), chi come il sottoscritto ha fisime di igienismo si limita a un assaggio del vino, che poi è in due versioni, normale e con la gassosa (il famoso tre quarti e una gassosa…).

carnevale di tufara

     U’ Pisciatur è un personaggio dirompente, cattivo, è il vero ribaltare le posizioni.

     Il vino, uno dei liquidi “più nobili”, versato e bevuto da un vaso da notte… la pastasciutta, che un tempo non era mica il cibo di tutti i giorni, servita in un pitale…

     Ora possono apparire come goliardate, ma un tempo, quando l’autosufficienza alimentare era un miraggio, dovevano avere una forza simbolica dirompente, che nel nuovo millennio facciamo fatica a immaginare.

     Lo sberleffo, lo sberleffo antigastrodelirante.
Ma questo è il bello.

 

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