Carnevale. Elogio alla Fritola venexiana con tanto di ricetta!

Non c’è niente da fare, ogni volta che arriva carnevale a me prende il “trip” dei “galani” e delle frittelle o come le chiamiamo noi in Veneto “fritole”.
Le fritole mi riportano ai miei ricordi di quando ero bambina, e alla mia nonna che ogni anno a carnevale, provava una ricetta diversa, perché non riusciva a trovare quella che la soddisfacesse a pieno: “ghè resta sempre el pulsin dentro” diceva, ovvero “mi resta sempre cruda dentro”.
Povera nonna pensava che fosse la ricetta che non andava bene, invece era la temperatura dell’olio che non era corretta (l’ho capito pure io non molto tempo fa).
Avevano proprio ragione i veneziani a dire che l’arte di friggere non è da tutti!
Eh sì, la fritola: morbida nuvoletta, croccante fuori, soffice dentro, ricca di uvette gonfie di grappa (o anice come si usava un tempo) profumata di vaniglia, pinoli e cedrini canditi, è da sempre stato il dolce emblema del carnevale veneziano.
La sua ricetta, risale le sue origini intorno alla metà del 300, ed è custodita presso la Biblioteca Nazionale Canatense a Roma in uno dei documenti più vecchi di gastronomia veneziana; anche se la prima ricetta ufficiale viene attribuita a Bartolomeo Scappi, cuoco di Papa Pio VI, autore di trattati di gastronomia che hanno fatto la storia della cucina italiana.
Sicuramente questo semplice dolcino impreziosito da uvette, cedrini canditi e spezie risente dell’influsso dei viaggi in oriente di Marco Polo, oltre che degli insediamenti del popolo ebraico nella città di Venezia (per la festa di Purim, gli ebrei preparatno dei dolci fritti molto simili).
Non tutti però potevano cucinare il “boccon da poareti e da siori”(così veniva chiamata), solo i “fritoleri” avevano il permesso di friggere; i quali, quasi a sancire la loro ufficialità, nel 600 si costituirono in corporazione.
La Corporazione era formata da settanta fritoleri, e ad ognuno di essi venne assegnata una zona della città dove poter esercitare in esclusiva l’attività commerciale, e con la garanzia che a loro sarebbero potuti succedere solo i figli, tramandando quindi l’arte e l’attività in famiglia, di padre in figlio.
Nel 700, la fritola venne addirittura proclamato “dolce nazionale della Repubblica Serenissima” Della fritola e dei fritoleri ne parlarono i nobiluomini, gli storici ed i poeti, persino Carlo Goldoni la cita nella sua Commedia il Campiello scritta nel 1756.
Moro Lin, nobile veneziano, in una sua memoria ne descrive a suo modo la ricetta: “Composte da fior di farina di formento, rimpastate a lievito unito i pignoli e a zucchero, con uva che pendeva dai tralci delle viti calabre, vengono collocate nell’olio bollente.”
Uno dei più famosi fritoleri fu senza dubbio il famoso Zamaria, Giampiero Rorato racconta “Zamaria vendeva le fritole ai tempi dell’Austria, oltre centocinquant’anni fa.
Erano le migliori di Venezia…
Si scioglie il lievito la sera e si prepara la pasta con farina e acqua e il giorno dopo la pasta è già levata. Si versa dentro un bicchiere di grappa e dell’uva passa di Smirne, poi si lavora con molta forza e la si mette in un catino ben coperta. […] Poi ne prendi un pezzetto alla volta con un cucchiaio e la versi nell’olio bollente,[…] Un olio buono, come voleva Zamaria, caldissimo”.

Beh a questo punto, visto che a me è sempre rimasta questa fissa delle frittelle, stavolta mi sono voluta mettere alla prova le fritole venessiane di Zamaria.
La ricetta ve la trascrivo qui, cosi se vi viene voglia potete cimentarvi anche voi nel riprodurre questi deliziosi bocconcini…ah dimenticavo, io ho sostituito il lievito di birra con il lievito madre liquido.

INGREDIENTI
500 g di fior di farina
2 bicchieri di latte
2 uova
130 g di uva sultanina
50 g di cedrini canditi
50 g di pinoli
100 g di zucchero
20 g di lievito di birra (ho usato il lievito madre liquido, gr 150)
½ bicchiere di grappa (una volta usavano l’anice al posto della grappa)
La scorza grattugiata di un limone
1 bacca di vaniglia (la polpa interna)
1 pizzico di cannella (facoltativa, io non l’ho messa)
Sale q.b.
Abbondante olio di arachidi (una volta si friggeva nello strutto)
Zucchero semolato

PREPARAZIONE
1 Lavare l’uvetta e la lasciarla in ammollo in un po’ di grappa per circa mezz’ora.
2 Versare la farina in una scodella e incorporare il latte, le uova e lo zucchero, facendone un impasto abbastanza tenero.
3 Unire il lievito sciolto in un po’ di acqua tiepida, il sale, l’uvetta scolata e asciugata, i cedrini canditi.
4 Impastare con cura il composto in modo che tutti gli ingredienti si distribuiscano molto bene.
5 Mettere quinti l’impasto in un luogo tiepido e lasciarlo lievitare per un paio di ore, o finchè non è duplicato (se si usa il lievito madre potrebbero essere necessarie più ore di lievitazione).
6 Dopo la lievitazione mescolare ancora ed aggiungere latte se l’impasto dovesse risultare poco fluido.
7 Quindi versare il composto a piccole cucchiaiate in abbondante olio a 170° – 173° e friggere
8 Mettere le frìtoe su una carta assorbente per togliere loro l’olio in eccesso e farle rotolare ancora calde nello zucchero semolato.
9 gustarle ancora calde se possibile

di Monica Crescente
[slideshow_deploy id=’8361′]

Lascia un commento

Inizia a digitare per vedere i post che stai cercando.