Cascà ’25: 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 cous cous di Carloforte
“Il profumo del Cous Cous deve impregnare l’aria dell’intera isola per dare valore a un prodotto che accomuna e unisce così tanti
popoli”

Dopo il successo degli ultimi anni, con migliaia di visitatori, l’𝟭𝟭 𝗲 𝟭𝟮 𝐨𝐭𝐭𝐨𝐛𝐫𝐞 torna a Carloforte il 𝐅𝐞𝐬𝐭𝐢𝐯𝐚𝐥 𝐈𝐧𝐭𝐞𝐫𝐧𝐚𝐳𝐢𝐨𝐧𝐚𝐥𝐞 𝐝𝐞𝐥 𝐂𝐚𝐬𝐜𝐚̀, il cous cous di Carloforte, piatto tipico di un’isola dalle profonde radici tabarchine.
Lo annuncia l’associazione “C.I.A.O. Carloforte” che intende realizzare un evento capace di valorizzare le potenzialità enogastronomiche carlofortine, partendo proprio dal suo piatto principe il “Cascà”[4], nome con cui qui viene chiamato il cous cous, piatto che trova corrispondenze in tutto il Mediterraneo.

Gli organizzatori intendono far confluire nell’isola di San Pietro cuochi provenienti da tutti i Paesi nei quali il Cous Cous viene consumato: dalla Sicilia al Maghreb, dal Marocco alla Tunisia e naturalmente dalla Sardegna per dar vita a laboratori e scambi culturali, eventi enogastronomici, esposizioni di utensili e prodotti legati a questa particolare specialità.
L’organizzazione si è impegnata per ospitare al meglio i visitatori e mostrare tutta la bellezza di un’isola che in questo periodo autunnale è ancora più suggestiva.
Il Consorzio Arcobaleno Carloforte è un insieme di operatori commerciali, artigianali e di servizi che operano in modo comune ed organizzato per il miglioramento delle loro attività valorizzandole e riqualificandole.
Una delle finalità è quella di rivitalizzare il centro urbano e l’Isola di San Pietro per migliorarne l’accoglienza in un contesto di sostenibilità ambientale.
Commercializza prodotti di eccellenza del territorio come il tonno rosso di qualità.
Per poter comprendere a pieno l’origine e le motivazioni della presenza di questo piatto nell’isola è interessante conoscere un pò di più della sua storia e delle sue tradizioni gastronomiche.
Un pò di storia

“I tabarchini non sono sardi, sono anche sardi. Non sono genovesi, sono anche genovesi. E non sono tunisini, sono anche tunisini”. Bruno Rombi, poeta e scrittore
La comunità “Tabarchina” di Carloforte collocata sull’Isola di san Pietro, detta in lingua carlofortina “Uiza de San Pé” o più sempliceme “l’Uiza”, prende origine da un gruppo di pescatori e commercianti di Pegli.
Originariamente, per conto della nobile famiglia Lomellini, costoro si erano insediati nel XVI secolo nell’isola di Tabarka in Tunisia praticando la raccolta del corallo.

Particolarmente vivo nella comunità resta il patrimonio culturale ligure originario, evidente nella loro lingua ma anche nelle loro abitudini, usanze, tradizioni, architetture, arti e mestieri, specialità gastronomiche.

In realtà, anche se un pò più sbiadita, resta anche la memoria della permanenza africana da cui derivano alcune specialità, quale ad esempio il cascà, oppure alcuni toponimi come il quartiere di Casséba, derivato dall’arabo Qasba.
Tra le attività peculiari dell’isola, derivate dallo spirito di “marineria” ligure, la pesca, in particolare quella del tonno, e l’attitudine al viaggio.
Proprio in relazione al legame così presente con la Liguria, nel 2004 Carloforte è stato riconosciuto comune onorario dalla Provincia di Genova gemellato con Pegli, di cui mantiene la specifica variante dell’idioma ligure.

Gli antichi progenitori degli attuali tabarchini vissero nell’isola tunisina per lunghissimo tempo, fino al sopraggiunto esaurimento dei banchi di corallo con conseguente declino delle loro attività commerciali e deterioramento delle relazioni con le autorità locali.

A seguito di questo evento nel 1738 alcune famiglie tabarchine, guidate da Agostino Tagliafico, si rivolsero a Carlo Emanuele III di Savoia al fine di ottenere l’assegnazione di un territorio in cui fondare la loro base per nuovi commerci.
La richiesta fu accolta dal re che concesse con un regolare atto di infeudazione l’attuale Isola di san Pietro.
Ne scaturì così una nuova migrazione “di ritorno”:100 famiglie giunsero da Tabarca e altre 26 giunsero dalla Liguria per popolare questa terra.
Il paese acquisì quindi il nome di Carloforte in onore di colui che aveva concesso loro questo territorio.
Il periodo successivo all’insediamento fu molto complesso: varie epidemie colpirono i coloni e fu quindi necessaria una bonifica delle paludi.
Tra le aree bonificate fu di rilievo quella delle saline, attività che avrebbe assunto particolare rilevanza nell’economia dell’isola negli anni successivi.

La dominazione francese
Nel 1793, in seguito alla rottura dei rapporti diplomatici con il regno piemontese i Francesi sbarcarono sull’isola.
Il rivoluzionario Filippo Buonarroti assieme ai carlofortini redasse quella che fu la prima costituzione repubblicana comparsa sul territorio italiano.
La presenza francese durò tuttavia poco tempo e si giunse così ad un periodo di disordini e conflitti.
Passati pochi anni da questi episodi una nuova avversità colpì la comunità: nella notte fra il 2 e 3 settembre 1798 l’isola venne messa a ferro e fuoco dall’invasione dei pirati barbareschi.

Dopo due giorni gli aggressori, completato il saccheggio della città, ripartirono portando con loro 950 carlofortini.
Per cinque anni costoro dovettero rimanere schiavi in Tunisia mentre complesse trattative erano in corso per poterne ottenerne la liberazione.
L’intervento di Napoleone costrinse nel 1799 il Bey di Tunisi a liberare gli schiavi: questi tornarono finalmente in patria portando con loro un simulacro detto della “Madonna dello Schiavo”, custodita nell’omonimo oratorio.

Una giovane leggendaria carlofortina fu anch’essa rapita ma ebbe un destino assai particolare.
Francesca Rosso con il suo fascino e la sua bellezza, pare avesse incantato gli invasori arabi e le più alte rappresentanze diplomatiche americane.
Francesca finì schiava del Bey di Tunisi Il cui fratello minore si innamorò di lei perdutamente pur non essendo corrisposto.
Si dice che Francesca si rivolse all’uomo proponendo di accettare il suo amore se solo avesse rinunciato alla poligamia.
Si ritrovò moglie del Bey nel 1806 con il nuovo nome di Lella Jenet Beia.
Da questa unione nacque un figlio maschio, Sidi Hamed Bey detto “il sardo”.
Francesca, che venne descritta come una influente e stimata donna d’affari, morì nel 1860.
All’inizio dell’800 alcune novità interessarono il territorio: Re Vittorio Emanuele I accordò alla popolazione dell’isola lo status ed i privilegi di città.

Alla metà del secolo numerose compagnie minerarie avviarono lo sfruttamento dei giacimenti del vicino Sulcis facendo assumere al porto di Carloforte una notevole importanza per il trasporto dei minerali, la galena ad esempio, donandole floridezza economica.
Nella seconda metà dell’Ottocento, a Carloforte avevano sede 13 consolati e 4 banche.
Sull’isola, divenuta crocevia di un fiorente commercio marittimo che riguardava soprattutto le sue saline e la pesca del tonno, erano sorti numerosi cantieri navali.
All’inizio del ‘900 Carloforte risultava il secondo scalo della Sardegna per traffico marittimo.
Si aggiunse poi lo sfruttamento dei giacimenti di ocra e manganese presenti sull’isola il cui periodo di sfruttamento durò fino al dopoguerra arrivando poi, alla fine degli anni ’40, ad un progressivo esaurimento con conseguente chiusura delle attività estrattive.
Oggi, Carloforte è soprattutto una meta turistica.
Le saline sono rifugio per la grande varietà di uccelli che vi nidificano e il mare, con le spiagge e le scogliere, è vissuto e apprezzato non solo dagli abitanti del posto.
La tonnara è uno dei pochissimi luoghi in cui si pratica una pesca del tonno sostenibile.
La lingua

La lingua tabarchina è assimilabile alla lingua in uso tra i pegliesi nel XVI secolo, antenati diretti dei carlofortini.
Alla matrice originaria, nel corso della storia, si sono aggiunti prestiti dall’arabo, dal siciliano, dal francese.
Per chi volesse ascoltarla a questo link è possibile trovare una bellissima poesia in tabarchino dal titolo “Stasàia” della poetessa Margherita Crasto.
https://youtube.com/shorts/gaOIFy5f8XQ?si=RyjBLqbGUl9jODqe
La cucina: cosa mangiare a Carloforte?
La cucina carlofortina deve senza dubbio i suoi caratteri più marcati alla propria ascendenza genovese, a tratti sfumata di Maghreb e di Sardegna.
L’impronta ligure traspare immediatamente nella semplicità della tavola quotidiana: negli ingredienti freschi strappati alla poca terra intorno e al tanto mare davanti; nel particolare tipo di preparazioni; nel caratteristico utilizzo degli aromi.
Va poi sottolineato che Carloforte e Calasetta (collocata sulla contigua Isola di sant’Antioco), pur avendo la stessa origine, sono due comunità ben distinte con sostanziali differenze anche dal punto di vista gastronomico.
Gli antipasti
La capunadda

Si tratta di un’insalata di tonno composta da gallette e “salumi” di tonno: tonnina (tonno salato); cuore di tonno; musciame” (filetto di tonno salato ed essiccato); scagliette di buzzonaglia (tipo particolare di tonno sott’olio).
I pescatori usavano consumarla in barca grazie alla conservabilità degli ingredienti, oggi tutti i ristoranti dell’isola propongono nei loro menu, spesso tra gli antipasti.
Composta da gallette inumidite unite a pomodori, “facussa” e vari tipi di tonno, condito con olio, aceto, pepe e basilico.
La facussa carlofortina è un cetriolo sottile, allungato e ritorto tipico del Maghreb.
I suoi semi furono portati dai coloni tabarchini a Carloforte e trapiantati negli orti isolani.
Ha un sapore fresco e delicato, è un comune ingrediente delle insalate estive soprattutto a base di tonno ma mangiato anche da solo.
“siaule pin-e” la cipolla di Carloforte

Grande orgoglio carlofortino viene servita tra i piatti di antipasti misti, è buonissima e saporita. Si tratta di cipolle col ripieno di pane grattugiato, patate, formaggio e uova.
I piatti della tradizione
Il cascà

Il cascà carlofortino non è altro che una versione locale del cuscus africano, piatto tipico che rivela le origini e le contaminazioni acquisite dalle popolazioni durante le storiche vicissitudini.
A differenza del piatto africano prevede in genere solamente la versione vegetariana.
Si tratta di semola di grano duro, inumidita con acqua leggermente salata, con aggiunta di poco olio, lavorata su un caratteristico “coccio”con movimento rotatorio del palmo della mano, fino a ottenere dei granuli uniformi e abbasta piccoli.

Condito poi con le verdure dell’orto che cambiano a seconda della stagione. Differenti sono le tradizioni familiari e le interpretazioni personali del piatto.

La Bobba

Altro piatto tipico, si tratta di una sorta di passato di verdure cremoso composto con fave secche e altre verdure.
È il piatto della memoria, una minestra povera che si cucinava per essere gustata dai marinai dopo una lunga giornata di pesca.
La si trova molto spesso nella carta dei ristoranti dove viene servita con orgoglio a testimoniare tradizione e storia.
I primi piatti
Cassulli, Macaruni e Curzetti

Sono i tipici formati della pasta fresca carlofortina: composti da semola e acqua, differiscono per la forma e per l’umidità dell’impasto.
I più tipici sono i Cassulli, una sorta di malloreddus un po’ più grandi, in genere conditi con la salsa tipica cioè pomodoro e qualche cucchiaino di salsa al pesto fresco.
I Maccaruni ricordano invece le trofie mentre i Curzetti sono una sorta di orecchiette.
Queste tre varietà di pasta possono essere cotte insieme oppure combinate a due a due.
Il condimento più tipico è il pesto carlofortino con pomodori e tonno, come ad esempio avviene nel “pastissu” alla carlofortina.
Tra i condimenti anche il “tuccu”: sugo preparato da un pezzo unico di carne fatto cuocere a lungo come uno stracotto che insaporisce senza sfaldarsi ed è l’emblema della domenica tabarchina
Da ricordare anche i pansoti, una pasta ripiena che viene tradizionalmente condita con pesto di noci oppure con pomodori, olive, capperi e basilico fresco.
Il pesto carlofortino:
Gli ingredienti sono basilico, pecorino, olio extravergine e aglio.
Ci sono anche testimonianze dell’uso del “piacentino”, un antenato del grana padano che da Genova arrivava anche a Carloforte (e prima a Tabarca) ove veniva tradizionalmente impiegato in varie preparazioni culinarie.
Nonostante fosse un po’ più costoso del pecorino, rendeva la preparazione del pesto più delicata.
I panificati
“a fainò “

Non ha bisogno di presentazioni e rivela pienamente le tradizioni liguri di questa.
La fainò, come la farinata ligure, è composta di farina di ceci, acqua e olio cotti poi in forno teglie basse di rame stagnato.
Se ne ottiene una specialità gustosissima che viene poi frazionata in piccoli quadratini che possono essere gustati nella loro versione essenziale oppure conditi ad esempio con un cucchiaino di stracchino e un pezzo di pomodorino.
La panissa

Questa è una sorta di polenta di farina di ceci fatta solidificare, tagliata a cubetti e poi fritta.
Può essere un eccellente accompagnamento delle pietanze in umido.
Le focacce liguri

La “fügassa” è una delle specialità carlofortine più note ed è compagna di innumerevoli occasioni conviviali.
Può avere varie forme e farciture: tonda, quadrata, tagliata a “tascélli”, condita con un buon olio extravergine.
E’ perfetta anche nella sua semplicità oppure condita alla mediterranea, alle cipolle, con salumi e formaggi o affettati di tonno.
Preparata con farine particolari può essere infornata due volte per renderla croccante.
Scandisce le giornate sull’isola: ed è consumata anche a colazione con una tazza di caffellatte.
Le gallette

Le gallette nascono dall’esigenza dei pescatori di sostentarsi durante la permanenza lontana dalla terraferma.
Quelle di un tempo erano durissime e occorreva ammollare nell’acqua di mare per poterle mangiare.
Quelle odierne hanno una consistenza più friabile e vengono usate come ingrediente per vari piatti quali la capunada oppure nella bobba come crostini.
La cassolla

Un piatto antico e povero: una zuppa fatta di pesce non pregiato, di molluschi e qualche crostaceo avanzati dopo aver venduto il frutto della pesca giornaliera, mescolati con pomodoro, prezzemolo e aglio.
Ricorda tanto – sia nel nome e nella mescolanza degli ingredienti – la “casòela” lombarda, che si fa però con le parti povere del maiale e con le verze.
Il Tonno

ll pregiato tonno rosso Carloforte è noto per la sua carne saporita e ricca e viene definito “tonno di corsa”.
La sua pesca è una tradizione secolare, che si ripete intatta dal XVII secolo, un evento molto atteso che coinvolge l’intera comunità e attrae visitatori da tutto il mondo.
Si tratta di una “tonnara fissa” che garantisce il rispetto per il mare e le sue creature.
La “tonnara” è un sistema di pesca di antichissima tradizione araba.
L’insieme delle reti è denominato “isola”: i tonni convergono in un’area dove avviene la mattanza che negli anni è andata affinandosi con l’intento di renderla sempre meno cruenta.
Che cosa vuol dire “Tonno di Corsa”?
Il termine “tonno di corsa” si riferisce a un periodo specifico della vita del tonno rosso, quello in cui migra attraverso il Mediterraneo per la riproduzione.
Questo avviene tra la primavera e l’estate ed è conosciuto come “corsa del tonno”.
Durante questo periodo, i tonni sono particolarmente attivi e in forma e ciò rende la loro carne particolarmente pregiata e ricca di sapore, con una consistenza e gusto unico.
Tagli principali e loro caratteristiche:

- Ventresca: È la parte più pregiata e grassa, situata nella pancia. E’molto tenera e saporita, ideale sia per il consumo crudo che per piatti cotti.
- Tarantello: Si trova tra la dorsale e la ventresca. Ha una consistenza più soda e un gusto meno grasso, perfetto per essere cucinato alla griglia.
- Filetto: La parte dorsale alta e più magra del tonno. Ha un sapore meno intenso, ottimo per preparazioni crude come tartare e carpaccio, ma anche per il sushi e sashimi.
- Buzzonaglia: sono i pezzi più piccoli e irregolari di muscolo che si ottengono durante la lavorazione.E’ molto apprezzato pur non essendo un taglio nobile: ha un sapore deciso e viene spesso utilizzato per sughi e condimenti.
I dolci

Tra i dolci tradizionali ci sono la cassata di ricotta e maraschino in pasta margherita, le turtétte di sfoglia al miele e cuore di ricotta, i panétti cue fighe (panetti coi fichi) arricchiti di mandorle, zibibbo e sapa, saporito succo di mosto d’uva stracotto ed in fine i famosi i friabili canestrélli innevati di glassa sottile.
Costituiti da un impasto di farina, strutto, zucchero, tuorlo d’uova, lievito e vanillina, i canestrelli hanno una forma di ciambella, e si cuociono al forno.
Al termine della cottura si spalmano di una glassa a base di albume d’uovo montato e si cospargono di diavoletti o semenzine che dir si voglia.
Il nome sembrerebbe derivare dal gergo marinaro: da un anello in legno usato nell’armatura delle vele.
Hanno una discreta durata e spesso vengono accompagnati da vino o moscato.
Con lo stesso impasto dei canestrelli si confezionano tutti i dolci della tradizione per i ragazzi: la luña, per la domenica delle Palme, i cavagnetti per Pasqua, i pe de porcu per Ognissanti e la fantiña per Natale.
La ricetta: Cascà tabarkin

Ingredienti:
1 kg di semola grossa di grano duro
300 g di ceci da ammollare
1 cavolo verza
4 grosse carote
1 costa sedano
2 zucchine
1 cipolle
2 spicchi aglio
finocchietto selvatico
spezie miste – in polvere (coriandolo, cannella, chiodi di garofano, anice stellato)
2 l di brodo vegetale
olio extra vergine di oliva
sale
Procedimento:
Mettete a bollire l’acqua per cuocere a vapore il cous cous.
Per preparare il cous cous tenete a portata di mano una ciotola di acqua tiepida, un po’ di sale e mezza tazza d’olio e lavorate la semola con i polpastrelli.
Aggiungete 2 o 3 pizzichi di sale; spruzzate l’acqua con le dita e lavorate sempre nello stesso senso per almeno 10 minuti, tenendo presente che il cous cous deve raddoppiare il proprio volume.
Terminata l’acqua, continuate con l’olio, sempre spruzzato con le dita, per altri 10-15 minuti.
Quando la semola è pronta si presenta gonfia e morbida.
A questo punto, mettete il cous cous preparato nella cuscussiera, che è simile ad un colapasta in terracotta e cuocete a vapore il cous cous.
Controllatelo e mescolatelo ogni tanto.
Nel frattempo preparate le verdure.
Scolate i ceci messi a bagno dal giorno prima e cuoceteli in acqua salata con un po’ di finocchietto selvatico per circa un’ora e mezza.
Preparate il soffritto di olio, aglio e cipolla, aggiungete il cavolo verza (che può essere precedentemente scottato), le carote, le zucchine e la costa di sedano.
Aggiungete brodo fino a coprire le verdure e poi ancora, dopo una cottura di circa 40 minuti; alla fine, aggiungete qualche pizzico della polvere di spezie.
Ogni tanto controllate la semola, rimestate e aggiungete 2 o 3 mestoli di brodo.
Il cous cous è pronto dopo almeno 2 ore di cottura; a questo punto, versate la semola in una ciotola molto capiente, aggiungete 2 o 3 mestoli di brodo e ancora qualche pizzico di spezie in polvere.
Unite le verdure stufate e i ceci.
Lasciate raffreddare il tutto coperto, mescolando ogni tanto, stando attenti che non si asciughi e servite.
Per informazioni sull’evento:
Consorzio Arcobaleno.
Corso Cavour 35, 09014
Carloforte (SU)
Telefono 0781/855298
Mail consorzioarcobaleno@tiscali.it





