Fermentazioni senza tregua: la cucina di Marco Ambrosino

Pino Coletti
Sustanza

Fermentazioni senza tregua: la cucina di Marco Ambrosino

Marco Ambrosino nasce professionalmente al Melograno di Ischia dove impara la cucina alberghiera, ma è al Noma di Copenhagen, durante uno stage di 2 mesi, che sviluppa il suo approccio innovativo verso la valorizzazione delle materie prime povere, tecniche che sperimenterà a Milano, prima al Pastificio Buongusto e poi, come chef, al ristorante 28 Posti della stessa proprietà del pastificio, dove porterà avanti una sua linea di cucina facendosi notare da molti gourmand.

A giugno 2023 torna a Napoli alla stanza di sopra (su-stanza?) dello ScottoJonno, caffè letterario contemporaneo con biblioteca, bistrot e cocktail bar seguito da Dom Carella, un progetto di riqualificazione urbana all’interno della Galleria Principe di Napoli, ex sede degli uffici della Tesoreria del Comune.

Il nome del ristorante “Sustanza lascia intendere una cucina di “sostanza” che parte dall’Italia ma ha come confine il Mediterraneo, dove l’origine delle materie prime è secondario (fuori dal vincolo delle origini – recita il menù) rispetto a quello che diventa nel piatto dopo essere stato processato con maestria dallo chef. Una totale contaminazione che spinge forte verso antiche tecniche di conservazione come le maturazioni, ma soprattutto le fermentazioni, prevalentemente acetiche.

Sono 3 i percorsi di degustazione a cui affidarsi per scoprire Sustanza:  Piccolo cabotaggio – 5 portate 100€,  Medio raggio – 8 portate 130€,  Lungo corso – 10 portate 160€. Disponibile anche un wine-pairing abbinato al numero di portate dei tre percorsi.

3 sono anche i piatti che difficilmente dimenticherò:

1) Carciofo alla brace, ragù di gambi di carciofo ed olive, bitter contadino, brodo di tartufo nero, noce moscata e maggiorana.

carciofo alla brace
carciofo alla brace

2) Ostrica alla brace

ostrica alla brace
ostrica alla brace

3) Minestra di pasta e pane macerato, cipresso, sgombro marinato, moretum di mandorle e olio argan. Davvero spaziali.

minestra di pasta e pane
minestra di pasta e pane

La cucina

La cucina di Marco Ambrosino è difficile da incasellare in una precisa categoria. Volendola definire con 3 parole direi: coraggiosa, contemporanea, acida.

A descrivere benissimo lo chef procidano, ci ha pensato la Guida di Identità Golose ai Ristoranti d’autore 2025 che gli ha assegnato il premio di “Miglior chef” con la seguente motivazione: “Quasi due anni fa ha preso la regia di un progetto importante in un’incantevole galleria nel cuore di Napoli, la sua provincia natale. Lo premiamo per l’identità molto forte che esprime in ogni dettaglio, soprattutto nel menu, un viaggio appassionato nelle tradizioni del Mediterraneo, fuori da ogni stereotipo”.

L’identità

La parola chiave è “identità”, ovvero quel complesso di caratteristiche che definiscono uno stile che ne contraddistingue l’identificazione univoca. Come spesso accade agli attori che interpretano sempre lo stesso tipo di personaggio, il rischio di restarne intrappolati è molto alto. E quando lo stile è così marcato, come nel caso di Marco Ambrosino, si rischia di essere amato oppure odiato. Generalmente in questi casi il successo di un ristorante è dato dal numero di clienti che ti amano e che ritornano. Non essendo a New York, Londra o Parigi non puoi pensare di “campare” sempre con nuovi clienti.

La fermentazione

Al Sustanza la fermentazione non è una tecnica d’appoggio ma un linguaggio dominante. Dall’aperitivo al “dolce”, ogni piatto è attraversato da una tensione acida costante, vibrante, a volte amara, che stimola il palato senza mai concedergli riposo. Maturazioni e fermentazioni acetiche si rincorrono in una linea coerente ma implacabile. La cucina di Ambrosino diventa così un esercizio di intensità, dove l’equilibrio non sta nell’alternanza ma nella sovrapposizione: tutto è acido, ma ogni acidità è diversa.

Questo stile crea un’esperienza gastronomica affilata, a tratti estrema, pensata per chi cerca non il conforto ma la provocazione gustativa. La tecnica dell’asprezza, dove il sapore non si riposa mai — e nemmeno il commensale.

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Pino Coletti, ingegnere napoletano, esperto di tecnologia & food da oltre 20 anni, dopo una brillante carriera internazionale che lo porta a ricoprire ruoli manageriali in importanti multinazionali hi-tech, da IBM ad Apple, torna a Napoli e fonda Authentico, una startup che aiuta i consumatori a riconoscere il vero cibo italiano e supporta le aziende agroalimentari nell'intraprendere percorsi di trasparenza delle materie prime utilizzate con la tecnologia blockchain. Gli amici lo definiscono un “bon vivant” per la sua ricerca spasmodica del buono. Per lavoro e per passione ha girato i 7 continenti mangiando e bevendo praticamente ovunque, dai baracchini dello street food dei peggiori mercatini asiatici ai ristoranti stellati delle grandi capitali. È diplomato sommelier AIS dal 2003, ha seguito numerosi corsi di degustazione di oli, formaggi e caffè, ed è sempre più convinto di non sapere.
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