Funcia i carrua: il fungo di carrubo con ricetta tradizionale

     Scovarlo, mentre si è faticosamente impegnati a raccogliere mandorle sotto il cocente sole di Agosto, dà già una prima, violenta e incontenibile emozione.

     Un battito che non diminuisce, anzi che aumenta inesorabilmente, se poi si ha la fortuna di trovarselo proprio sotto il naso mentre ci si sposta da un albero all’altro trascinandosi in spalla reti e canne e sacchi già pieni di mandorle, arrancando faticosamente sotto il loro peso e cercando un minimo di refrigerio sotto l’ombra di un carrubo.

     Ed eccola, quella macchia chiara, con sfumature che vanno dal giallo paglierino all’arancione acceso, che spicca sul tronco del carrubo, quasi fosse una enorme frittata spiaccicata sulla corteccia.

     Il fungo di carrubo è infatti abbastanza raro da trovare e lo si trova principalmente su alberi isolati, possibilmente lontani da altri alberi di diverso cultivar, ma costituisce un’autentica prelibatezza gastronomica, una rarità assoluta.

Lo è sempre, ma lo è, soprattutto, se incontrato in piena estate d’agosto.

“Se la pioggia caduta a maggio, fresca e inaspettata, tanto da avere fatto risvegliare i sapori primaverili della terra, ci mette ancora sulle rotte delle erbe buone da mangiare, come amareddi, lassane, finocchietti, cardi – cita il critico enogastronomico Salvatore Piccitto per un raccoglitore appassionato potersi imbattere ad agosto nel fungo di carrubo è come avere scovato un vero tesoro”.

     Il fungo di carrubo merita di essere annoverato come alimento “principe” della cucina no-global e salubre degli Iblei. Inoltre conserva altri storici e antichi rimandi con il suo terroir di provenienza. E’ sicuramente parte integrante del territorio degli Iblei, emblema stesso dell’architettura rurale del ragusano, proprio perché è un tesoro gastronomico da incontrare tra muretti a secco, masserie e ovviamente tra i carrubi che stanno ormai diventando sempre più rari, minacciati dalla cementificazione selvaggia, dall’abbandono delle campagne e dalla loro distruzione a causa di incendi sempre più frequenti, non sempre per auto combustione.

Il fungo del carrubo deve però essere raccolto solo dopo aver verificato attentamente che nelle immediate vicinanze non ci siano alberi di ulivo e che in tutto il tronco dove esso è abbarbicato, non siano stati piantati chiodi di alcun genere.

Pare, infatti, accertato che la vicinanza delle radici degli ulivi con il carrubo, creino una specifica tossina che, pur non essendo velenosa, provoca disturbi gastrointestinali fastidiosissimi.

La presenza di chiodi sul tronco, invece, rende decisamente tossico il fungo quindi se risulta anche solo un chiodo (e in campagna non è poi così difficile) piantato nel fusto di carrubo, meglio raccogliere il fungo e distruggerlo, anche se questa azione può provocare forti emozioni, amarezza contrita e depressione per la delusione.

Qualcuno si chiederà cosa ci faccia un chiodo in un albero di carrubo, ma la risposta è semplicissima: dal momento che le carrube tendono a cadere facilmente appena mature, i preziosi frutti vengono raccolti posizionando dei teli al di sotto della chioma, assicurando gli angoli intorno alla pianta con alcuni chiodi per evitare che il vento le sposti.

In dialetto siciliano il fungo acquisisce un appellativo particolare, molto ironico ma che rappresenta esattamente l’insieme: “a funcia di a carrua” ovvero la funcia (quel pronunciamento delle labbra umane) che qua viene invece interpretato per la definizione di fungo che sporge proprio dal tronco come fosse una funcia di disapprovazione per evitare che si colga.

Quanto alla preparazione di “a funcia di a carrua“, occorre affidarsi unicamente alla tradizione e alle antiche ricette tramandate dalle donne di Sicilia.
L’incommensurabile piacere di mangiare il fungo di carrubo dopo averlo scovato, beh… su questo non ci sono dubbi di alcun genere.

Un gusto straordinario, perché diverso da quello degli altri funghi, conferisce al prodotto una posizione di sicuro rango elevato nella scala dei sapori dimenticati.
La cottura di questi funghi è assai semplice.
Tanto meno elaborazioni si applicano, tanto più si riesce a tenere vivo il sapore ed il profumo.
Per la cottura del fungo di carrubo è comunque indispensabile il tegame di coccio.
Questo piatto è un ottimo secondo se consumato da solo, ma lo si può usare anche come condimento per la pasta o per il risotto.

La ricetta principe della tradizione siciliana, comunque, resta sempre la classica e mai tramontata “ghiotta”, un aggettivo usato spesso in cucina ed in gastronomia, chiaramente siciliane, per indicare una composizione decisamente ricca di sapori e di ingredienti, “a agghiotta”, appunto.
La «gghiotta» è sostanzialmente una sorta di caponata di verdure.
In questa prevale il gusto del fungo di carrubo.

Ingredienti:

  • 1 fungo di carrubo di circa 500 grammi
  • 1 cipolla bianca non troppo grande (preferibilmente cipolla di Zafferana Etnea)
  • 1 peperone rosso o verde corno di toro
  • 1 patata a pasta gialla (le cultivar spunta sono le migliori per questo piatto)
  • 4 pomodori maturi ricci tipo klausee (ottimi pomodori da salsa)
  • 1 cucchiaio di estratto concentrato di pomodoro
  • 1 bicchiere d’acqua
  • ½ bicchiere di aceto di vino rosso
  • 1 spicchio di aglio
  • 1 mazzetto di prezzemolo
  • 1 foglia di alloro
  • Olio extravergine d’oliva (è preferibile usare olio evo dei monti Iblei, meglio se biologico)
  • 1 peperoncino
  • Sale q. b.

Preparazione

Per prima cosa pulite con un panno umido la superficie del fungo ed eliminate la parte legnosa che stava attaccata al tronco del carrubo.
Tagliate ora i peperoni a tocchetti privandoli dei filamenti bianchi e dei semi interni.
Teneteli da parte.
Lavate e sbucciate la patata e tagliatela a tocchetti piccoli.
Tritate sottilmente la cipolla per un solo verso in modo che vengano fuori dei filamenti.
Poi pelate i pomodori, privateli dei semi interni e tagliateli a tocchetti.
Tagliate ora il fungo a filetti.
Fate rosolare la cipolla in un tegame di coccio con 2 cucchiai d’olio evo ed appena comincerà ad imbiondire, unite prima le patate e poi, dopo qualche minuto, i peperoni.
Versate l’aceto di vino rosso e lasciate sfumare.
Fate cuocere per circa 10-12 minuti, quindi unite i funghi ed il concentrato di pomodoro.
Fate sciogliere bene il concentrato ed insaporire il tutto per qualche istante; quindi unite la polpa dei pomodori ed il prezzemolo tritato.
Aggiustate di sale e di pepe nero macinato al momento ed unite al tutto ½ bicchiere d’acqua precedentemente riscaldata, ma non bollente.
Far cuocere a fuoco lento non più di 30 minuti e comunque fino a quando il sugo non si sia ristretto.
Il piatto è praticamente pronto e potrete servirlo in tavola appena si intiepidisce leggermente.
Il suggerimento è di servirlo su due fette di pane casareccio leggermente abbrustolito, su cui verserete un filo di olio evo.

Variante:

Dopo aver pulito il fungo lo si affetta a pezzi grossi.
In un tegame rigorosamente di coccio, versate olio extra vergine d’oliva, aglio, abbondante prezzemolo tritato e fate soffriggere per pochi minuti,
Aggiungete i pezzi d fungo, poco sale e lasciate cuocere con fuoco lento ed a tegame coperto.
Dopo circa mezzora, a cottura quasi completa, togliete il coperchio e bagnate con ½ bicchiere di vino rosso – rigorosamente nero d’Avola.
Fate evaporare e restringere il sughetto per qualche minuto.

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