Guardia e la Valle Telesina, la Guardiense, Cotarella
Guardia Sanframondi, la Valle Telesina, il Monte Titerno, il fiume Calore, stanno lì da migliaia di anni, muti ma non immutati nel corso dei secoli, silenziosi teatri delle attività umane; tra queste l’agricoltura, ovviamente, e la viticoltura. Niente di qualitativamente notevole, e neanche troppo remunerativo, fin quando nel 1960 due maestri, tre medici e 28 contadini fondamentalmente d’uva – il termine viticoltori, di fatto, neanche esisteva – pensano di associarsi per cercare di diventare padroni del loro futuro, come ricorda il sito web aziendale.

La storia
Passano gli anni e le vendemmie e il 1976 è un anno di svolta: la Cantina Sociale La Guardiense riceve il premio Bacchus Prix International. E’ una conferma alla convinzione, quasi una fede, che i soci avevano: riuscire, grazie al lavoro attento e alla qualità del territorio (anche terroir era un concetto di là da venire), a fare vini molto buoni e che i sacrifici, l’applicazione in vigna e in cantina, e le scelte che privilegiavano la qualità a scapito delle quantità fossero la strada migliore per tutti.
1997 e 2007 sono altri anni di svolta: prima viene eletto Presidente Domizio Pigna, agronomo con una grande visione anche innovativa. Poi a curare alcuni progetti speciali, le linee di vini distintivi, viene chiamato Riccardo Cotarella. Arriva, dunque, a Guardia Sanframondi un metodo assolutamente scientifico e, anche, totale di fare il vino: conoscere, sperimentare, rilevare, capire, applicare.

I nuovi progetti
Vengono alla luce i nuovi progetti enologici, Janare in primis, linea che nel nome e nel mood richiama la tradizione. Si avvale del metodo Cotarella per tutto quello che è zonazione, analisi delle vigne, comprensione delle uve, esame dei mosti, cura del vino. E lunedì 23 giugno sono state presentate proprio le nuove annate dei bianchi Janare (anche in confronto con annate meno recenti, per rendere evidenti le capacità evolutive dei vini) e il nuovo vino Biancolume.
«La Falanghina del Sannio ha vissuto decenni di commercio privo di dignità, e invece sappiamo tutti di quanto sia capace di vini eccellenti, e di essere versatile e generosa»
Così, prima di iniziare la degustazione, ha sintetizzato l’enologo umbro il periodo triste dell’uva bianca regina in Campania e assoluta dominatrice nel Sannio.
Luciano Pignataro ha moderato la discussione e guidato la degustazione, insistendo sulla necessità, per i bianchi regionali, di evolvere, di arricchirsi e di completarsi, non solo di smussarsi, e nel commentare la indefinibile complessità e dinamicità dei bianchi campani ha pronunciato un aforisma che avrebbe fatto contento certamente Bernardino Telesio, ma forse anche i sensisti inglesi: «I sensi sono più complessi del linguaggio»; le nostre percezioni di un vino, quasi mai trovano compiutezza descrittiva in quello che diciamo.
La degustazione (di cui do conto alla fine, amalgamando note dei relatori e mie personali) è stata poi seguita da una gustosissima cena preparata dalle signore del gruppo di supporto della cooperativa, che abitualmente cucinano anche per i gruppi di enoturismo accolti in azienda.
La conclusione non poteva non essere di Riccardo Cotarella:«Sono riconoscente alla Guardiense perché, qui, in una cooperativa, ho imparato l’orgoglio misto all’umiltà e alla dignità».
La degustazione
- Senete Falanghina del Sannio Doc 2024: profumatissimo, fruttato con note tropicali, intenso. Assai sapido e fresco, termina con una nota amara di affumicatura, retaggio dell’ignimbrite campana eruttata dai Campi Flegrei.
- Biancolume Falanghina del Sannio Doc 2022: il 15% della massa fa un passaggio in barrique. Il risultato è un vino assai complesso ed equilibrato, sia al naso, sia al palato. Frutta matura, sentori erbacei e balsamici, frutta a guscio. In bocca è fresco e sapido, assai dinamico, anch’esso fumè nel finale, «…non finirà mai di evolvere», sentenzia Cotarella.
- Senete Falanghina del Sannio Doc 2016: dorato e prezioso, frutta gialla in confettura e idrocarburi eleganti. Quasi carezzevole all’assaggio con un finale che vibra di acidità.
- Colle di Tilio Sannio Doc Fiano 2024: fiori bianchi, spruzzate di susina, un’eco balsamica appena accennata. È giovanissimo (perché anche i vini maturano ciascuno con i propri tempi) e irruente all’assaggio, massivo, ma piacevole.
- Colle di Tilio Sannio Doc Fiano 2016: più evoluto della Falanghina coeva, cedro candito e marmellata, una grande ed elegante scia di idrocarburi («…è la Campania», chiosa Pignataro compiaciuto), un assaggio completo, lungo, denso.
- Pietralata Sannio Doc Greco 2024: erbaceo al primo sniff, e poi nespola, agrumi (mandarino, quello autentico), nota affumicata. Definire l’assaggio è, paradossalmente facile: completo; fresco, sapido, caldo, equilibrato, non molto lungo (ma si farà, opinione di chi scrive).
Photo Credit: La Guardiense