I rigatoni co’ la pajata

pajata

La storia della pajata è legata a doppio filo con quella del “quinto quarto”, ossia i tagli meno pregiati e le interiora del bovino, più a buon mercato per le povere tasche dei popolani della capitale, in una città come la Roma papalina in cui, tradizionalmente, il consumo di carne fino al Settecento era comunque molto più alto rispetto alle altre città d’Italia e ad alcune capitali europee.

Allora, secondo una testimonianza riportata dalla storica Marina Formica, a Roma si mangiava “il doppio più carne e vino che consuma Napoli benché quella città sia il doppio più grande”.

La propensione della cucina romana al “quinto quarto” si deve, secondo alcuni storici, all’influenza della cucina ebraico-romana.

Le fortune delle interiora iniziarono però a declinare proprio alla fine del ‘700, quando cominciarono ad essere usate solo dalle classi più povere che vivevano vicino ai mattatoi, che nel frattempo le autorità tendevano ad allontanare dal centro per motivi igienici.

Per questo la tradizione della pajata, nell’Ottocento, si concentrerà prevalentemente al Testaccio.

L’edificio che oggi si può ammirare risale al 1888, ma già negli anni precedenti lì si erano concentrati “vaccinari” o “scortichini”, ossia coloro che avevano il compito di scuoiare i bovini. Questi operai venivano pagati in natura e non in moneta. E proprio col “quinto quarto”, magro compenso per il loro duro lavoro. 

Di questa storia se ne può più che gradevolmente leggere sul sito del giornalista Tommaso Farina (che vi invito a leggere con grande cura per l’elevata qualità dei contenuti) in un bellissimo articolo (QUI).

Secondo alcuni furono gli Ebrei, inoltre, a introdurre nella cucina romana l’utilizzo delle frattaglie, ossia il “quinto quarto” dei bovini macellati: cervello, animelle, trippa, milza e fegato.

Che gli Ebrei, prima di cucinare, arrostivano sulla graticola per togliere ogni traccia di sangue, cibo proibito dai loro precetti religiosi.

Negli archivi della comunità compaiono ricette come le animelle con i ceci, la trippa con l’agliata, lingue salmistrate, milze in padella con la salvia e agresto, creste di pollo con aceto e cannella. Sapori antichi oggi scomparsi, ma in qualche modo sopravvissuti nella vocazione della cucina romana – a partire dal Testaccio – per le frattaglie, dalla trippa alla pajata.

Per chi ancora oggi volesse gustare un rigatone con la pajata in pieno stile ebraico romanesco e non ha modo di recarsi da Nonna Betta che è uno dei locali più autentici di questa cucina, può, procuratisi gli ingredienti, replicare la ricetta seguendo quanto gelosamente custodito e donatoci dallo stesso storico locale.

Ingredienti per 4 persone

Rigatoni 320 g

Pajata di vitello 500 g

Passata di pomodoro 500 g

Cipolle bianche 60 g

Aglio 15 g

Vino bianco 200 g

Olio extravergine d'oliva 45 g

Sale grosso 10 g

Peperoncino in polvere 5 g

Per preparare i rigatoni con la pajata per prima cosa ci vuole un macellaio consenziente e di fiducia che non solo vi procurerà la preziosa materia prima che a Roma, tradizionalmente, fa parte del cosiddetto “quinto quarto” cioè le interiora e la coda.

Dopo aver fatto un cenno d’intesa al macellaio lui provvederà a legarla in piccole ciambelle per evitare che il contenuto fuoriesca durante la cottura.

Adesso passiamo al sugo che comincia con un classico soffritto di cipolle tritate il più finemente possibile che metterete in una casseruola capiente con dell’olio extravergine, se vi piace aggiungete anche uno spicchio d’aglio in camicia (cioè senza averlo privato della buccia).

Lasciate che insaporisca un po’ a fuoco basso e mescolate pensando alle cose belle della vita.

  1. Lavate la pajata facendo un po’ d’attenzione per non rischiare di romperla, aggiungetela nel tegame, lasciate soffriggere per una decina di minuti e poi sfumate con del vino bianco, lasciatela asciugare.

Togliete lo spicchio d’aglio (se ce lo avete messo).

Quando il liquido sarà completamente evaporato, aggiungete la passata di pomodoro, sale grosso e peperoncino e coprite con un coperchio.

Ci vogliono un paio d’ore a fuoco basso e mescolando di tanto in tanto; verso la fine – diciamo a un quarto d’ora dalla fine – versate i rigatoni nell’acqua bollente e salata, scolatela una volta al dente e versatela nel tegame dove la pajata li sta aspettando.

Servite ben caldo.

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