Il kulig: musica, baldoria e… naturalmente tanto vino

Il kulig: musica, baldoria e… naturalmente tanto vino

 

Una corsa in slitta folle e godereccia nella fredda notte polacca. È notte. In un cielo blu profondo e cosparso di stelle, la vecchia lanterna della luna diffonde una luce trasparente e il suo freddo chiarore si disperde nel buio sulle vastissime campagne coperte di neve. In questo splendido silenzio notturno irrompe da lontano l’allegra musichetta di un’orchestrina che si avvicina sempre di più. Dal bosco schizza fuori un corteo di fiammelle che avanza velocemente, sono le torce fiammeggianti di una slitta che vola sulla neve trainata dai cavalli e si sentono vigorosi campagnoli e spavaldi ragazzotti sopraffare la quiete con cannonate di grida e di risate. Questo è il ”kulig”. Galoppa da un podere all’altro e invade con l’impeto del gioco tutte le fattorie dove piomba all’improvviso a svegliare tutti.

È nato centinaia di anni fa, cominciava la penultima settimana di Carnevale e durava fino alla Quaresima, ma non era così allegro come si potrebbe pensare. Immaginiamoci due o tre corpulenti ubriaconi (e a quei tempi non ne mancavano) che si mettevano d’accordo su dove andare a innaffiare la gola e decidevano di caricare tutti, mogli, figli, figlie, servitori, tutto quello che di adulto c’era in casa sulle slitte e, se la neve non arrivava alle ginocchia, anche su carri e cavalli per andare a trovare di notte il vicinato. Senza preavviso, si capisce, casomai questi si nascondessero chissà dove o ne fuggissero. Ai padroni di casa, colti di sorpresa, chiedevano da mangiare e da bere (soprattutto questo), come un’armata che si ferma e si acquartiera, perché lo scopo del gioco era inondare le gole finché ce n’è.

E quando gli scrocconi ubriachi avevano prosciugato tutto quello che c’era in cantina, prendevano l’infelice padrone di casa con tutta la sua famiglia e via… a ripetere il nobile gesto dalla prossima ben rifornita vittima! Fatta piazza pulita in successione di tutte le scorte dei poderi vicini, finalmente il kulig tornava da chi l’aveva cominciato, perché neanche quelle scorte sfuggissero alla regola. Il gioco era iniziato proprio per svuotare dispense e cantine, con la scusa delle antiche usanze e tradizioni.

L’animata compagnia beveva, si divertiva e ballava, accontentandosi di un violino raccolto, volente o nolente, in qualche taverna, ma poteva capitare che qualche più agiato vicino procurasse l’orchestrina dalla città. Per la verità si divertivano certamente di più a combinare risse, bastava che qualcuno non potesse più bere oltre misura e l’allegro kulig finiva per far scorrere il sangue. Ma sicuramente scorrevano tanta birra e tanto vino, molto più vino di quanto non se ne beva oggi.

Quando nacque il kulig, nel medioevo, in Polonia c’erano infatti parecchie vigne e si produceva regolarmente il vino. Nella miniera di sale di Wieliczka, aperta al turismo e molto interessante, sono state trovate viti risalenti al miocene, ma la coltivazione della vite vinifera è stata introdotta nelle pianure che vanno verso il Baltico e fino in Lituania dall’espansione del cristianesimo, se ne occupavano principalmente le monache e i frati. Nei dintorni di Poznań, Wrocław e Gniezno, dovunque ci fossero curie e badie c’erano delle strade e delle località note con nomi derivati dalla vite o dal vino. Ai tempi di Casimiro il Grande si coltivava la vite sulle rive della Vistola e secondo testimonianze storiche nel XV e XVI secolo si esportava addirittura il vino.

Però nei secoli XVII e XVIII, in conseguenza del peggioramento delle condizioni climatiche (quel periodo è chiamato piccola era glaciale) e del miglioramento delle comunicazioni commerciali che favorivano l’importazione dei vini qualitativamente superiori dall’area mediterranea, la vitivinicoltura polacca cominciò a divenire non più remunerativa e iniziò ad essere sempre più trascurata. In quei secoli si susseguirono quindi dei lunghi periodi di astinenza dal vino, determinata anche dalla caccia spietata agli alcoolici che i turchi, per motivi religiosi, conducevano nei Balcani da essi assoggettati fino quasi alle porte di Vienna. In queste regioni le orde islamiche arrivarono perfino ad espiantare le viti vinifere e a trapiantare vitigni più dolci, destinati a produrre uva da tavola e acini da appassire.

Anche le abitudini dei contadini cambiarono di conseguenza e il kulig diventò molto più distinto, con le slitte decorate da intarsi e sculture, aquile, pellicani, orsi, negri dai costumi esotici oppure, tanto per cambiare, dei frati bernardini nel loro saio. Questo si chiamava kulig dei bernardini, tintinnavano le campanelle al suono dei tamburelli e dello schioccare delle fruste, era tutta musica. In gran pompa e con vivace fantasia attraversava i cancelli spalancati fra il latrare dei cani e veniva accolto sulla soglia dal benvenuto dei padroni di casa. Con grande ospitalità e amicizia, fra parole infiorettate e inchini si aprivano le porte di casa e in mezzo a tante effusioni si invitavano i convenuti ovviamente a tavola.

Dopo i primi brindisi, dei quali non si poteva fare a meno, cominciavano le danze, specialmente se in casa c’erano delle signorine. Il gioco durava almeno fino al mattino seguente, quando non erano due giorni, poi si prendevano gli adulti sulle slitte, magari soltanto le mogli e le figlie, e si andava da un’altra parte. Si beveva senz’altro in meno occasioni, ma forse più di prima, perché il vino era diventato un prodotto sempre più di lusso però anche più buono.

Nascevano i primi vigneti appoggiati sui lati meridionali di alte muraglie costruite apposta, secondo il costume dei Francesi, di cui restano le tracce a Thomery vicino a Fontainebleau, dove un vigneto di 125 ettari si sviluppa su 250 km di muretti. Si mettevano a dimora anche vigneti in serra, sotto spesse lastre di vetro, secondo la moda inglese, belga e olandese, per esempio quello più famoso nacque a Gołuchów nel 1878 con uve di Malaga, Alicante nero, Moscato di Alessandria, Trebbiano e altre, allevate con i sistemi scritti da Kubaszewski nel 1902.

Poi arrivarono le malattie della vite dall’America (oidio, plasmopara, fillossera) e iniziarono le devastazioni. In Polonia non furono tanto le malattie a determinare l’abbandono dei vigneti, quanto le guerre che spolparono più volte il Paese e soprattutto l’impropria coltivazione di varietà non più adatte al clima che si era nel frattempo irrigidito di molto. Fino alla seconda guerra mondiale intorno a Zielona Góra si coltivavano ancora viti di Gamay, Pinot Noir, Riesling, Traminer, Veltliner, Moscato, Sylvaner, Cabernet Sauvignon, tutte varietà che maturavano troppo tardi e consegnavano perciò alle cantine delle uve sempre più acide.

La birra cominciò a sostituire sia il vino che l’acqua come bevanda, e le antiche tradizioni dovettero adeguarsi al mutare della materia prima da bere, che era lo scopo principale del divertimento del kulig. La birra però non genera la stessa gioiosità e vivacità. Se le ubriacature da vino in genere sono allegre, quelle da birra in genere sono aggressive e tristi. In questo modo il kulig è arrivato fino quasi ai nostri giorni, asceso alla gloria come gioco di costume e senza più tante pretese. Necessariamente di costume, perché il divertimento preferito dalle ragazze era sfoggiare i propri costumi, che una volta erano molto costosi. Stranamente le donne amavano guadagnarsi il rispetto in questo modo, travestendosi di vera bigiotteria.

Gli uomini invece, che non erano affezionati a questi pesi da indossare, a volte brontolavano e si lamentavano di queste spese non necessarie, ricordando con nostalgia i bei tempi della semplicità tradizionale. Tuttavia hanno dovuto cedere, e i partecipanti ai kulig hanno dovuto indossare i costumi popolari, molto belli e colorati, per poter vistosamente manifestare il patriottismo, specialmente quando gli Austriaci o i Russi soggiogarono intere regioni della Polonia. Ci si vestiva in costume apposta per dare alla cosa un significato politico, quando si piombava con il kulig nelle sale da ballo, dove le prede più ambite erano i nobili vini importati dagli occupanti in piccole bottiglie dalla Francia, dall’Austria e dalla Germania. Gli stranieri, stupiti da tanto folclore e allegria, non potevano fare altro che buon viso a cattivo gioco e le loro cantine, svuotandosi, riempivano di gioia le slitte che tornavano a fare partecipare al bottino anche le donne e gli anziani rimasti nei villaggi a bocca asciutta.

Ma si era già persa la spontaneità del divertimento. Si sceglievano con maggiore oculatezza i percorsi nella neve e il kulig era ormai cambiato molto dalla sua origine di semplici pantagruelici bagordi fra confinanti che rischiavano altrimenti il letargo negli inverni molto lunghi delle campagne polacche. Nacque un ruolo nuovo ed estremamente importante, quello del capo, lo starosta, che era il conduttore del gioco e delle danze, pronunciava i discorsi spiritosi, se necessario cantava improvvisando pensieri che nascevano dall’animo stesso dei partecipanti, e la festa diventò meno selvatica.

Il kulig attuale invece si è spento, spesso è diventato una semplice gita in slitta e sopravvive più per i turisti che impazzano nelle sfrenate corse notturne sulla neve al chiaro di luna e delle torce, avvolti in pellicce e coperte sotto le quali riscoprire i piaceri della gioventù. In molte zone si è fatto anche diurno e perfino estivo per affascinare e divertire anche i bambini. Oppure resiste ancora nella variante del gioco per combinare dei finti matrimoni sottoposti ad un’autorità malandrina che sceglie le coppie per tutte le slitte, specialmente e mai casualmente quella dei giovani sposi. È capitato che qualche coppia si sia poi sposata sul serio e il gioco lo ha continuato in proprio, matrimoni durevoli che sono nati però su una slitta, di notte, in mezzo alla neve e durante il carnevale, con il coro delle ugole che intonava le stupende canzoni ”czerwone wino” (vino rosso), una melodia che non manca mai a nessuna festa d’amore, e ultimamente anche “prawe do lewego” (da destra a sinistra) di Goran Bregović cantata da Kayah.

 

Rolando Marcodini

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