Il Parlamento Europeo è ostaggio delle Multinazionali. Da anni gli misura anche la banana!

Nota introduttiva alla lettura: Tutte le parole che andrebbero in maiuscolo sono volutamente scritte  in minuscolo per scarso rispetto nei confronti degli organismi o persone citate.

“La madre del cretino è sempre incinta!”

Chi non conosce questo antico detto tanto vero e quotidianamente comprovabile?

Eppure da tempo sento di potervi aggiungere un’estensione che suona così “… e la madre del venduto è sua sorella gemella”.

Tale ultima affermazione trova, però, una sua ridotta applicazione solo ai palazzi del potere e a limitate cerchie di persone e ciò perché la madre del “cretino venduto” è, rispetto a quella del solo cretino, per nostra fortuna, di morigerati costumi sessuali.

Da giorni, ma anche mesi, circola in rete, tra l’indifferenza di molti, una notizia riguardante una proposta di Legge avanzata presso il parlamento europeo dove si vorrebbe che chiunque coltiva un ortaggio o un prodotto della terra lo faccia con semi “legalizzati”, ossia riconosciuti da un apposito organismo (del quale ancora non si fa menzione) e registrati.

La legge (il minuscolo è sempre voluto) comporterebbe come immediata conseguenza il commercio legale di soli semi e cultivar brevettati e/o registrati mettendo al bando, con la previsione di multe, sanzioni e processi chiunque coltivasse semi o varietà non riconosciute o classificate, giungendo, persino, a prevedere la “criminalizzazione e/o contrabbando” di scambi e uso dei semi “illegali”.

Il controllo denunzia, in pieno stile da delazione “Stasi” o “Gestapo”, spetterebbe soprattutto ai titolari di brevetti e registrazioni.

La ratio di tale normativa la si vorrebbe ricondurre sotto la bandiera del controllo e della sicurezza alimentare. Ma la realtà, come vedremo insieme in un’articolata disamina della questione, è ben altra.

Ovviamente la notizia è tutt’altro che una bufala benchè alcuni buonisti vogliano farla passare per tale, essendo ammantata, attualmente da un carattere di “permissivismo” nei confronti di chi autoproduce. Né deve tantomeno stupirci che vi siano soggetti che preferiscono turarsi il naso piuttosto che inserire la spina del cervello.

Ma andiamo per gradi.

La comunità europea e il suo parlamento è tutt’altro che “tirato di mano” sulle Direttive alimentari, che nella maggior parte dei casi hanno contribuito sempre ad arricchire qualcuno potente e ad impoverire i piccoli produttori.

Ciò è potuto accadere perché in molti casi le cd. direttive e regolamenti hanno inciso in una sfera del nostro pianeta molto distante da noi. E della quale abbiamo sempre meno notizia.

Ma facciamo un esempio su tutti.

Un grande esempio è il Regolamento n.228/2006 del 09/02/2006 recante modifica del regolamento (CE) n. 2257/94 che stabilisce norme di qualità per le banane.

Con tale regolamento, obbligatorio per tutti gli stati membri, la commissione europea, dopo un alacre lavoro stabilì che: “La presente norma si applica alle banane delle varietà (cultivar) del genere Musa (AAA) spp., sottogruppi Cavendish e Gros Michel, compresi gli ibridi, menzionate nell’allegato II, destinate ad essere fornite allo stato fresco al consumatore, previo condizionamento e imballaggio. Essa non si applica alle banane da cuocere, né alle banane destinate alla trasformazione industriale, né alle banane-fico”.

Soggiungendo: “In deroga al precedente comma, le banane prodotte nelle regioni di Madera, delle Azzorre, dell’Algarve, di Creta, della Laconia e di Cipro aventi una lunghezza inferiore a 14 cm possono essere commercializzate nella Comunità, ma vanno classificate nella categoria II”.

Fin qui tutto bene apparentemente. Il legislatore comunitario ha voluto che mangiassimo banane di prima scelta e soprattutto di lunghezza non inferiore a 14 centimetri!

Ed io che le avevo sempre mangiate a morsi e mai intere!

Ma a ben guardare, alcuni, inclusi il sottoscritto, si sono chiesti perché fosse così importante specificare la varietà e la lunghezza minima. Ed ecco svelato l’arcano.

La Cavendish o Dwarf cavendish è diventata dagli anni ottanta il sostituto della Gros Michel che proprio nel 1980 fu attaccata da una terribile malattia fungina chiamata “Malattia di Panama”.

La sua buccia più spessa e resistente ha fatto sì che sino al 2008 risultasse immune alla “peste” di Panama. Dico fino al 2008 perché da quella data in poi Dio si è arrabbiato e ha colpito anche la Cavendish…..e sia fatta la volontà di Dio!

Ma questa è altra storia.

All’indomani della malattia di Panama, tutte le multinazionali di banane furono costrette a ripiegare sulla Cavendish per garantirsi produzione e business.

E questa è la storia in breve della Cavendish, e ci fa capire che la commissione europea ha forse (uso la forma dubitativa perché solo il cretino ha la certezza in tasca!) voluto aiutare le multinazionali che commercializzano banane sul mercato mondiale.

Ma perché (sebbene con piccole deroghe su produzioni già esigue e insignificanti per estensione territoriale delle stesse aree geografiche di produzione) preoccuparsi di una misura minima quale quella dei 14 cm.?

Riguarderà un maggior apporto di sostanze nutraceiche che si sviluppa dopo tale misura?

Avranno un quantitativo di zuccheri o vitamine maggiore?

Nulla di tutto ciò! Serviva solo ad escludere le altre centinaia di varietà che quando non sono ancora mature non raggiungono tale lunghezza minima (e a volte neanche da mature!).

La Cavendish, per sua natura, già da verde, in prossimità della sua maturazione, va dai 15 (QUINDICI) ai 24 centimetri.

Che sorga il dubbio che la commissione abbia voluto creare un mercato esclusivo per le multinazionali dei vari “bollini” affossando economie che sino ad allora sopravvivevano grazie all’esportazione è più che legittimo pensarlo.

Del resto la stessa Efsa (a mio parere organismo inutile ed esprimo un libero pensiero) ha nicchiato sulla questione e ha taciuto sui trattamenti al piombo che vanno effettuati sulle banane che arrivano sulle nostre tavole (spesso non comunicati al consumatore in alcun modo). Le stesse banane che molte poco attente mamme danno ai propri figli piccoli ancora con la buccia, trattandoli come simpatiche scimmiette nella foresta.

E questo è un chiaro esempio di come si lavora a Bruxelles con i nostri voti e soldi.

Potrei aggiungere che nell’ampio salone ogni anno si tiene la “Giornata dell’alimentazione europea” dove è immancabile lo stand di Mc Donald’s (ma è europeo????) o la genialata di quel 1% di prodotti OGM consentito nei prodotti biologici o la possibilità (per il momento non come norma cogente per tutti gli stati) di coltivare semi OGM per ridurre la fame (…in Europa?), o della mirabile trovata di quel gran competente di John Dalli – Presidente Commissione UE Salute e Politiche dei Consumatori – con l’introduzione della patata OGM, a marchio BASF, dal suggestivo nome AMFLORA, utilizzata nell’alimentazione animale, la quale ha la caratteristica di essere resistente agli antibiotici e, pertanto, nel lungo periodo  renderà intere generazioni (attraverso il processo di filiera animale – uomo) immuni agli effetti degli stessi.

Ma credo che l’esempio del regolamento sulle banane sia più che sufficiente a chiarire le condizioni di base.

Fatta questa doverosa premessa torniamo alla proposta di legge sulle sementi brevettate e/o registrate.

La stessa non è una novità!

Proviene dal lontano 1994, quando aziende come la monsanto e la dupont cominciavano ad affacciarsi sul mercato europeo dopo aver sbancato e globalizzato quello americano.

Infatti nel 1994 la commissione emanò il Regolamento n.2100/94 il quale pose le prime basi verso il problema che sta presentandosi in questi giorni.

Il regolamento composto da ben 118 articoli (con tanto di previsioni di ricorso, tempi per il suo espletamento, questioni formali e sostanziali, ecc.- una vera e propria bozza di legge in sostanza) ha subìto nel corso degli ultimi 19 anni molte modifiche ed integrazioni, senza però perdere il suo carattere e , soprattutto, la sua finalità.

Ossia quella di governare il mondo attraverso il governo del cibo.

Perché principalmente la questione di fondo è proprio la Sovranità alimentare dei popoli e la loro possibilità di autoprodursi il cibo liberamente. E non in una previsione immediata, si badi, ma con un occhio al futuro.

In pratica, si vorrebbe regolamentare, un diritto plurimillenario dell’umanità per darlo in gestione a pochi.

Va detto che il web è in pieno fermento sulla questione e tra tanti scenari rappresentati, personalmente ne vedo di peggiori. Che non sono quello di contadini che contrabbandano il seme “Illegale” del broccolo a foglia di ulivo o quello della zucchina San Pasquale, ma piuttosto quello di un lento restringimento di quel finto “permessivismo” verso i piccoli produttori sino a rendere uniche commercializzabili le specie registrate.

Del resto è paradossale che si possa in prima istanza pensare che si vieti tout court la produzione con i propri semi. Ve lo vedete voi un contadino del meridione d’Italia (cito aree come il Sannio, l’agro Silano o quello Ennese solo per dare un esempio su tutte) che si lascia multare da un ispettorino impettito della dupont?

Già l’immagine delle randellate date “alla cieca” ci lascia sorridere.

L’autodifesa di un popolo però non può essere che l’estrema ratio. Le questioni vanno sempre risolte nelle opportune sedi e nei tempi giusti e non quando le modifiche significano scontrarsi con veri e propri muri di gomma.

E la sede principale è quel teatrino che è diventato il parlamento europeo dove, pur essendo alleati dei tedeschi (giusto per citare uno stato favorevole alla legge in questione) ci dimentichiamo, troppo spesso, del loro ruolo di Competitors sul mercato comunitario.

Non è possibile un’alleanza con chi vorrebbe che tutti mangiassimo i suoi pomodori olandesi perché legalizzati!

Né è tantomeno pensabile che un piccolo contadino vada a registrarsi la varietà che la sua famiglia preserva da generazioni.

Meglio la nostra italietta fatta di broccoli fiolari, limoni femminiello del Gargano e fragoline di Ribera.

Un’europa così non interessa né a noi né, tantomeno, ai nostri figli e nipoti!

Che vengano nel nostro paese, nel calore della nostra proverbiale accoglienza e allegria, a gustare dei nostri sapori e delle nostre bellezze.

E sarebbe anche ora che chi fa il naturalista si mettesse d’accordo con se stesso evitando il Kamut…è registrato anche quello! O da una parte o dall’altra. A metà non si può stare.

A fronte di chi teme lo scenario poc’anzi rappresentato vi sono altre frange che con toni più rassicuranti cercano di spiegare che la normativa presentata in data 6 maggio con il nome “Plant Reproductive Material Law” non vieta assolutamente lo scambio e l’utilizzo di semi per le produzioni casalinghe. Se ciò è vero lo è a metà. Poichè il vietare la vendita o il declassare “potenzialmente” un seme in luogo di un altro registrato è una via stretta che porta solo al predominio di chi regola il mercato.

E vale poco dire che la registrazione è gratuita se poi, fatta la legge, dopo cominci con il restringerne la portata. Il cibo è patrimonio di tutti e non registrabile. Questa è l’unica regola che deve valere. Non ve ne sono altre.

E chiudo con la frase più orrida del citato regolamento dal quale prende le mosse la legge al vaglio del parlamento perché sia di ripensamento e riflessione per tutti, anche di chi sta prono a bruxelles, affinchè ci si renda conto che siamo nuovamente tornati agli “esperimenti mengeliani” nella sfrenata ricerca di una perfezione che risiede solo nella diversità.

“Una varietà si considera omogenea se, fatta salva la variazione che si può prevedere dai particolari caratteri della sua moltiplicazione, è sufficientemente omogenea nell’espressione dei caratteri compresi nell’esame della distinzione, nonché di altri caratteri usati per la descrizione della varietà.

Una varietà si considera stabile se l’espressione dei caratteri compresi nell’esame della distinzione nonché di altri usati per la descrizione della varietà, rimane invariata dopo ripetute moltiplicazioni o, nel caso di uno specifico ciclo di moltiplicazione, al termine di ciascun ciclo.”

Questa la sintesi della tecnocrazia pan-europea, questo il nazismo tassonomico dei misuratori di banane altrui.

Le leggi sulla razza partirono da piccole e apparentemente insignificanti modifiche alla vita quotidiana, senza impedire ma limitando, per poi esplodere, anni dopo in quello che tutti conosciamo. Esagero? Può darsi. Ma, personalmente, preferisco esagerare piuttosto che sottovalutare.

Non ho mai misurato la lunghezza delle banane e non intendo cominciare a farlo a 50 anni.

di Giustino Catalano

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