“Il salto dell’acciuga” di Nico Orengo: il pesce di montagna che racconta un altro mare

Valeria Castelli WildKitchen
Il salto dell'acciuga

“Il salto dell’acciuga” di Nico Orengo: il pesce di montagna che racconta un altro mare

C’è chi porta in spiaggia thriller e chi romanzi rosa. Poi ci sono quei libri sottili, perfetti da ombrellone, che riescono a farti guardare il mare con occhi diversi.

Il salto dell’acciuga di Nico Orengo è uno di questi.
In poco più di sessanta pagine, Orengo racconta la storia di come le acciughe sotto sale, partite dalla Liguria, siano diventate l’anima della bagna caöda piemontese, attraversando colline e confini ben prima dei camion frigo.

Il mare che descrive non è quello vacanziero, ma un confine incerto, a volte avaro, che regala pescate magre e fatica. È una storia di pescatori, contadini, contrabbandieri, mulattiere e fame. Il sale era un bene prezioso, gravato da dazi importanti, tanto che veniva “dissimulato” sotto strati di acciughe per eludere i controlli. Poi si scoprì che quelle acciughe, conservate sotto sale, erano un tesoro gastronomico, che divenne (insieme al tonno sott’olio) un lusso nelle famiglie contadine piemontesi.

Non è un saggio.
Orengo intreccia personaggi, storie e leggende con leggerezza e ritmo, trasformando le acciughe in protagoniste di un racconto che unisce il mondo marinaro a quello contadino, tra mercanti di sale, viaggi lenti e storie che sanno di aglio e olio.

E siccome ogni lettura estiva merita di chiudersi con un sapore, eccovi una ricetta da contadini piemontesi, cucinata sul putagé (la stufa a legna su cui si può anche cucinare), che rincuorava gli animi e scaldava le mani prima di affrontare il duro lavoro delle fredde giornate nei campi.

Bagna caöda sul putagé (ricetta di nonno Luigi)

Per dare un’idea della potenza del piatto: 100 g di acciughe sotto sale e una testa d’aglio a persona.

  • Dissalate e pulite le acciughe sotto sale, lavatele e lasciatele riposare un attimo in acqua e aceto per ridurre il sale.
  • In una pentola di coccio sul putagé versate un filo d’olio, aggiungete le acciughe e abbondante aglio a metà (rimuovere l’anima – cioè il germoglio verde interno).
  • Cuocete a fuoco lentissimo, poi schiacciate con una forchetta fino a ottenere una salsa morbida e profumata.
  • Intingetevi verdure di stagione crude o cotte: cardi, topinambur, cavoli, barbabietole, peperoni.

Normalmente viene accompagnata da una dose da cavallo di Barbera o Sangiovese.
Non era solo un piatto “di festa”. Era un piatto da preparare per essere condiviso. I contadini piemontesi di un tempo, prima di affrontare una giornata di lavoro al freddo, a volte la mangiavano persino a colazione, tanto l’alito non glielo controllava nessuno, né nei campi, né nella vigna, né nel bosco.

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Mi sono persa nel labirinto gastronomico circa vent’anni fa. Mi chiamo WildKitchen perché un giorno sono scappata. Ho cucinato per miliardari e per emarginati (credo in egual misura). Esploro la cucina olistica e la sostenibilità, cercando di far incontrare gli attori delle catene alimentari prima che diventino fantasmi. Scrivo di cibo perché cucinarlo e mangiarlo non mi basta. linkedin https://www.linkedin.com/in/valeria-wildkitchen
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