La casualità domina l’agroalimentare, fatta eccezione per l’agricoltura biodinamica

Non si era mai visto un fuoco di fila di tale portata e contro un innocente, tutto sommato.

Inizia la Cattaneo al Senato ma, dopo un po’ di articoletti sulle varie testate giornalistiche, sabato 22 maggio 2021, Gramellini, nella sua trasmissione “le parole della settimana” fa una curiosa e improvvida domanda alla virologa Viola: che ne pensa dell’agricoltura biodinamica? La risposta è perentoria e senza appello: una truffa.

Ma non finisce qui. La domenica successiva, da Fazio, ci sono Burioni e la Cattaneo. Anche Fazio commette l’errore di chiedere ad un virologo e ad una farmacologa cosa ne pensino del biodinamico. Entrambi rispondono con tono sprezzante e definitivo.

A parte che i tre non avevano competenze per esprimere un parere che non andava nemmeno chiesto, ma uno scienziato, ad una domanda del genere, avrebbe dovuto rispondere: non conosco la materia, ma quello che posso dire è che, se i prodotti biodinamici hanno qualità, questa non è dovuta al corno o agli astri. Invece, tutti parlano solo del corno e riescono a dedurne che ci troviamo di fronte ad una truffa.

Ma torniamo alla questione principale: cosa si deve aspettare il consumatore da un prodotto biodinamico? O da qualsiasi prodotto?

Per rispondere alla domanda dobbiamo fare un passo indietro, dobbiamo condividere che cosa cerca il consumatore in un alimento e quale è il livello di affidabilità dei modelli in circolazione.

Il consumatore compra un prodotto o per motivi edonistici, perchè gli piace o perchè interessato al suo valore nutrizionale. Iniziamo dall’ultimo, ormai molto di moda.

I nutrizionisti e lo stesso mondo della ricerca coniugano ogni prodotto al singolare: il latte contiene colesterolo, la carne rossa fa male, quella bianca fa bene, il pesce azzurro fa bene, ecc. Insomma, tutto il grano è uguale, e così il latte e la carne.

Ma siccome così non è, anzi le differenze possono essere enormi, e ne vedremo qualcuna più avanti, allora, mi verrebbe da dire, il corno non è una esclusività dei biodinamici.

E allora parliamo del cibo come piacere, non a caso i romani parlavano di de gustibus. Di un alimento ci interessano l’aroma e il gusto, quello che in un inglese italianizzato si chiama flavor. Cosa dovremmo sapere di ogni alimento?

Noi ne dobbiamo conoscere la causa che ha determinato quella tale caratteristica, che è poi l’effetto e poi le molecole e i composti responsabili per poterla misurare e perchè l’effetto sia riproducibile, altrimenti tutto sarà casuale.

Cosa sappiamo del flavor? Da questa analisi escludiamo il vino e l’olio, gli unici due settori dove la ricerca è decisamente più avanti.

Dell’aroma sappiamo che è dovuto a composti volatili: acidi, esteri, aldeidi, chetoni, alcoli, terpeni. Quale è la causa, quale fattore ne determina il livello?

In generale se ne sa poco, o meglio la gran parte dei ricercatori si sta rifugiando sulle varietà e sulle razze, ma le ricerche sui fattori di produzione sono pochissime. L’unico settore dove è abbastanza chiara la relazione fra complessità aromatica e alimentazione degli animali è quello del latte e dei formaggi.

Molti studi hanno dimostrato che se l’animale è al pascolo o se mangia molta erba, il potenziale aromatico aumenta.

Ma non c’è condivisione su questo argomento nel mondo scientifico, conosco professori universitari che negano questa relazione, che viene invece attribuita al microbismo ruminale.

Quindi, dell’aroma si conoscono le molecole e i composti responsabili, ma delle cause si sa ancora poco. In merito alla razza a alle varietà, certo che un moscato è diverso da una malvasia, ma questo non vuol dire che uno sia superiore all’altro, perchè il livello qualitativo non può dipendere dalla razza o dalla varietà.

Quindi, se un alimento ha più o meno aroma, non ne conosciamo le cause che lo hanno determinato e, quindi, la sua presenza è casuale.

Ma il cibo ha anche un gusto, un sapore. Quali sono i composti implicati e quali i fattori? La bibliografia dice che il gusto è determinato da molecole fisse, visto che l’aroma dipende da molecole volatili. E si parla di acidi, di minerali, di amminoacidi.

Ma i conti non tornano. Se io prendo un gruppo di vacche e le alimento d’inverno con una razione intensiva a base di insilato e una quantità di mangime intorno al 60% del totale e poi mando quelle stesse vacche su un pascolo polifita e senza mangimi cosa cambierà in quei due latti?

Le macromolecole cambieranno poco. Il grasso, le proteine, i minerali subiranno una variazione ininfluente. Cambieranno molto invece i carotenoidi, che oltre a dare colore ai formaggi ne aumentano la capacità antiossidante; il loro contenuto può aumentare anche di 10 volte se gli animali mangiano solo erba.

Cambia e di molto il contenuto dei composti volatili e per coglierne appieno la differenza, basta odorare un formaggio d’alpeggio rispetto ad uno di una stalla intensiva. Cambia il rapporto omega6/omega3, che la FAO raccomanda di mantenerlo sotto 5 e che negli animali alla stalla arriva fino a 15 e in quelli al pascolo è sotto 1.

A proposito di valore nutrizionale del latte. E lo stesso vale per il Gradi di Protezione Antiossidante, parametro questo che ci dice di quanto il colesterolo sia protetto contro l’ossidazione e che negli animali alla stalla è quasi 20 mentre al pascolo e vicino allo zero.

Ma cambiano e di molto anche i polifenoli, molto studiati per il loro ruolo antiossidante. E cosa c’entrano con il gusto?

A leggere la bibliografia molto poco, sono responsabili solo dell’astringenza e dell’amaro. Invece secondo me sono molto coinvolti e non a caso più un cibo ha sapore e più il contenuto di polifenoli è alto.

Tanto per cogliere la differenza che può esistere, in generale il loro valore va da pochi milligrammi per chilo a oltre mille milligrammi. Una differenza enorme e questo in tutte le materie prime, Ma di questo ne parleremo in altri articoli, per adesso ci basta sapere che il gusto è un perfetto sconosciuto, non sappiamo come misurarlo e, ça va sans dire, non conosciamo i fattori che lo determinano. Tutto è casuale.

Chi è arrivato a leggere fino a questo punto si chiederà: ma come è possibile, abbiamo la migliore gastronomia del mondo, siamo i più bravi e invece la qualità è un fatto casuale. Ritorniamo al consumatore. Che strumenti ha per scegliere un alimento?

Facciamo una panoramica fra i prodotti più comuni. Siamo il paese del pane e della pasta. Le aziende pastaie si promuovono enfatizzando: trafilata in bronzo ed essiccata lentamente; il pane è con lievito madre e forno a legna.

Ma se il prezzo delle paste essiccate lentamente e trafilate in bronzo varia da 50 centesimi e 5 euro da cosa dipenderà tale differenza?

Dal grano, saremmo portati a pensare. Ma il prezzo del grano è tutto uguale, se proprio viene pagato a qualità, si tiene conto della proteina che, come abbiamo visto, non ha alcuna relazione con l’aroma e il gusto.

E comunque, se un grano con più proteina viene pagato a un prezzo più alto, come mai le paste che costano molto hanno un contenuto proteico basso e quelle che costo poco hanno un contenuto alto?

Quindi, il livello qualitativo è casuale.

E che dire della carne. Ogni macelleria ha sempre, parlo in generale, ovviamente, un solo animale, non c’è scelta e poi il prezzo è sempre lo stesso, tutto l’anno e in tutte le macellerie della città.

E se chiedi ad uno specialista o ad un industriale quali composti sono responsabili del sapore in coro rispondono che tutto dipende dal grasso. Come se il grasso avesse odore e sapore.

Basta vedere i lardi o i burri che girano nei supermercati.

Persino il mondo del prosciutto iberico è convinto che il livello qualitativo sia dovuto alla ghianda, come se la ghianda, ricca di amido, da sola potesse essere responsabile del gusto notevole della carne. E se non conosciamo i composti responsabili non sappiamo nemmeno quali fattori determinino la qualità. Anche in questo caso tutto è casuale.

E che dire del caffè, il cui prezzo è uguale in tutta la città e non puoi scegliere, o quello o cambia bar.

Ma la cartina di tornasole è il latte di Alta Qualità.

Nel 1989 gli allevatori si fanno approvare una legge sul latte alimentare per frenare le importazioni di latte.

Poiché il latte importato veniva pastorizzato due volte, alla partenza e all’arrivo, pensarono bene di sfruttare il fatto che loro pastorizzassero una sola volta, per frenarne l’uso come latte alimentare. E fin qui tutto bene.

Però decisero di chiamare il relativo latte “Alta Qualità”, utilizzando parametri come igiene, grasso e proteina per giustificarne la definizione. Da quel momento il latte dei sistemi intensivi è diventato per legge di “Alta qualità”.

Un ossimoro, una contraddizione in termini. Può un sistema intensivo produrre alta qualità?

Anzi, in genere è il contrario, come ho provato a dimostrare a proposito di rapporto omega6/omega3, GPA, polifenoli, note odorose, anche se non tutto quel latte è uguale.

Una truffa? No, perché è la legge che lo dice! Dov’è la scienza, dove sono i gastronomi, i maîtres a penser?

Quindi, in sintesi, la scienza ufficiale e, a cascata, tutti gli addetti, conoscono poco i fattori che determinano il livello qualitativo e i composti implicati.

Ora veniamo ai tre sistemi prevalenti: normale, biologico, biodinamico.

Nel primo caso la stragrande maggioranze delle aziende sono intensive. Una delle regole della natura è che se aumenti la quantità si ha una diluizione della qualità. Lo abbiamo visto nei formaggi, ma basta assaggiare una mela, una verdura, la carne, le uova ecc. Più alzi le rese e più si ha una diluizione dei composti.

Per la verità, tutto questo la scienza non lo ha dimostrato, ma basta assaggiare i relativi prodotti e alla cieca, per capire che le differenze esistono e che dipendono dalle rese. Ma non tutto è intensivo, ci sono alpeggi e animali al pascolo in tutta la penisola, grani a media e bassa resa in molte regioni, e così per le altre materie prime.

Ma comunque tutto è casuale e il prezzo quasi mai è legato al livello qualitativo.

Nel biologico l’approccio è quello di ridurre l’impatto ambientale.

Quindi, certamente i prodotti avranno avuto meno trattamenti, il suolo, l’aria e le acque, meno inquinanti.

Non c’è garanzia di un livello superiore di flavor, di aroma e gusto, perché nessun disciplinare ne tiene conto. Probabilmente questa tecnica ha un impatto sulle rese, per esempio per un minore apporto di concimi, ma non è un argomento che interessa il settore.

Quindi ci potrà essere un discreto livello qualitativo, ma è casuale e all’insaputa dei protagonisti.

E ora veniamo al biodinamico.

Io vivo al Sud dove è poco presente questo modello. Ma ho avuto modo di assaggiare diversi prodotti; pane, formaggi, vino, pomodori, ecc.

Tutti hanno una personalità spiccata, uno spessore che non passa inosservato. E tutto questo è spiegabile perché, al di là del corno e degli astri, i biodinamici hanno un rispetto per il benessere animale e per il suolo.

Non usano concimi di sintesi, è vietato il rame e alimentano bene gli animali, con l’erba e molte erbe. Io non so se sono convinti che dipenda dal corno, ma almeno questi, anche se fanno qualità a loro insaputa, però la fanno, altro che truffa.

Certo, non tutto il biodinamico sarà uguale, ci saranno anche da quelle parti chi ha livelli qualitativi più bassi, ma è nell’ordine delle cose.

Ma fra i tre, chi si avvicina di più ad un racconto credibile sono proprio loro e per noi consumatori le probabilità che i loro prodotti siano della qualità che ci aspettiamo sono alte.

Così come sono alte le probabilità che il livello qualitativo degli altri due sistemi sia basso e casuale.

In fondo tutto si tiene: questi rumors sono proprio l‘effetto di una cultura gastronomica e agricola ai minimi termini.

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