La Panissa alla Vercellese

di Fabio Villa ( chef de “L’Osteria del Vecchio Asilo” di Tricerro -Vc ) su gentile autorizzazione esclusiva del gruppo “Ghetto School

La Panissa alla vercellese è un piatto a base di riso (ma non chiamatelo risotto! Si chiama Panissa!) salm d’là duja, fagioli di Saluggia (ma van bene anche quelli della Villata), lardo, cotenna di maiale e vino rosso, possibilmente barbera.

Questi sono gli ingredienti di base. Il piatto ha radici profonde nel tempo e nella storia , la panissa infatti veniva preparata ben prima dell’introduzione del riso in italia (che avveniva intorno al XV secolo) e anche prima dell’arrivo delle attuali varietà di fagiolo, tutti incroci di varietà provenienti dal nuovo mondo. La panissa si cucinava utilizzando miglio (panigo) e fagioli dell’occhio che erano autoctoni della zona. Il piatto si è poi diffuso in tutta la zona risicola piemontese e in parte di quella lombarda, soprattutto nel lodigiano fino ad arrivare in Valsesia, a Varallo, ai piedi del Monte Rosa.

Ricetta per  2 kg di riso.

Partiamo dal brodo di fagioli sufficienti per i 2 kg di riso:

Fagioli di Saluggia gr 250

Cipolla nr 1

Cotenna di Maiale gr 200

Olio Extra Vergine di Oliva QB

per il soffritto

Sale QB

Alloro nr 2 foglie.

I fagioli vanno, come sempre ammollati per tutta la notte, trascorso questo tempo, scolateli e sciacquateli bene. Tritate la cipolla e con questa e dell’olio EVO preparate un soffritto dentro a una pentola da brodo, quindi bordi alti, aggiungete i fagioli, la cotenna, le foglie di alloro, rosolato il tutto aggiungete 5 litri d’acqua, salate e fate bollire. Quando i fagioli saranno al dente toglieteli dal brodo e lasciateli raffreddare.

Passiamo al riso: Carnaroli 2 Kg (ma vanno bene anche Baldo, e Roma) Salam d’là Duja nr 4 già sgrassati e spellati Lardo 200 gr Cipolla Nr 2 Olio Extra Vergine di Oliva QB (ma ne serve davvero poco) Vino Rosso (barbera) 1 Litro Conserva nr 2 cucchiai abbondanti. Procediamo come per un risotto classico, tritiamo la cipolla e iniziamo a farla soffriggere con poco olio EVO, aggiungiamo lardo precedentemente tritato, lasciamo rosolare ancora un po’, poi è la volta del salam d’là duja, tritato anche lui e via a rosolare a fuoco lento ancora qualche minuto. A questo punto aggiungiamo i due cucchiai di conserva e metà del vino, dovremo lasciar andare quasi come fosse un ragù, fino a che il vino non si riassorbe.

A questo punto aggiungiamo il riso e facciamo”tostare” con il soffritto. Il riso dovrà assorbire quel concentrato di ben di Dio e quando sarà tutto bello asciutto aggiungeremo l’altra metà del vino e faremo sfumare definitivamente.

Ed ora la Panissa!

A questo punto inizieremo a bagnare la nostra base con il brodo di fagioli precedentemente preparato, procederemo come per un classico risotto. A metà cottura aggiungeremo i fagioli e, scolandola dal brodo la cotenna, che taglieremo in piccoli pezzi aggiungendola così alla nostra preparaione. Arrivati a cottura aggiungeremo un pezzettino di burro, ma non troppo, qualche bella manciata di parmigiano e una generosa grattata di pepe. Le vostre coronarie ringrazieranno per la fiducia e voi sarete donne e uomini davvero felici. PS: Il cucchiaio sta dritto se la panissa è della giusta consistenza!!!!

Alcuni appunti: A Novara fanno la Paniscia, piatto che differisce dalla Panissa per l’aggiunta di verdure come la verza e le carote e per una consistenza più “cremosa” A Varallo Sesia fanno la Paniccia, simile a quella novarese ma praticamente brodosa. La Panissa genovese/ligure non c’entra nulla, è una preparazione fritta a base di farina di ceci, come le Panelle siciliane e anche questa uno street food. La Panissa vercellese è un piatto 4 stagioni, da me i clienti la richiedono e la consumano anche a ferragosto (facendola seguire dal fritto misto alla piemontese!!!), con i condizionatori fissi a 16° riescono comunque a sudare come i cavalli che han corso il Palio di Siena, è una scena che va vista almeno una volta nella vita! Il Salam d’là Duja è salame che viene conservato sotto grasso e non ha nulla a che vedere con la ‘Nduja (errata corrige, chiedo perdono agli amici calabresi) calabrese. Prende il nome dal contenitore di terracotta utilizzato per l’operazione, la Duja appunto (ma anche Doja o Ula in alcune zone della lomellina). Il clima umido della bassa, che è una via di mezzo fra quello della foresta amazzonica e quello indiano durante il monsone, mal si sposa con la stagionatura dei salumi. I salami nel grasso nascono quindi dalla necessità di aver disponibile il prodotto durante tutto l’arco dell’anno. I salami vengono lasciati leggermente asciugare e poi annegati nello strutto, questo raffreddando si solidifica e crea un cappotto che li preserverà a lungo. I salami più invecchiano, più diventan buoni.

 

 

 

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