“La poetica dell’equilibrio: una sera da D’O con Davide Oldani”
“Se lei non ha capito un piatto il problema è nostro, non suo. Lei viene da D’O per trascorrere un’esperienza culinaria non per interpretare le nostre creazioni. Evidentemente non siamo riusciti a trasmettere le nostre intenzioni o semplicemente abbiamo commesso un errore”.
È bastata questa risposta per realizzare che Davide Oldani è davvero uno chef di un altro pianeta. In occasioni simili, altrove, mi sono sentito rispondere, nell’ordine: 1- che dire? E’ il primo che si è lamentato, 2 – strano, è il nostro piatto più richiesto, 3 mah, sarà una questione di gusti…
Davide Oldani, cuoco milanese, classe ’67, avrebbe potuto fare con successo qualsiasi altra professione manageriale, ed invece, grazie a Dio e buon per noi, interrotta prematuramente la carriera di calciatore a causa di un infortuno alla tibia, sceglie la cucina, allievo in quella di Gualtiero Marchesi, che sarà il suo gran mastro, e poi Alain Ducasse e Albert Roux. Come imparare a fare il meccanico in Ferrari, Lamborghini e Bugatti.
Oldani ha inventato la cucina “pop”, che di popolare aveva il concetto filosofico di sdoganare l’utilizzo di materie prime “umili” nell’alta cucina per realizzare creazioni uniche, con un ottimo rapporto qualità/prezzo, come la mitica “cipolla caramellata”, equilibrio magistrale tra i contrasti morbido/croccante, caldo/freddo, salato/dolce, che per assaggiarla devi attendere, se ti va bene, dai 3 ai 6 mesi di prenotazione.

Scrittore, speaker radiofonico, design di stoviglieria, nel 2003, scommette sulla provincia di Milano, Cornaredo, dove apre il D’O, che oggi si affaccia sul borghetto (restaurato a sue spese) della chiesetta di San Pietro all’Olmo, in compagnia di altre due sue strutture, il ristorante Olmo e un Laboratorio.
L’ingresso al D’O – due stelle Michelin, meriterebbe la terza se i francesi ci trattassero con maggior rispetto – sorprende per sobrietà. L’ambiente è chiaro, geometrico, con linee pulite e materiali naturali. Un’eleganza silenziosa che si riflette anche nel servizio: discreto ma presente, misurato e gentile, guidato con rigore da una sala preparata, mai invadente.
Veniamo al cibo. Come si mangia al D’O? Spoiler: si mangia magnificamente bene!

L’Executive Chef Alessandro Procopio è alla guida della brigata, mentre in sala c’è il Sommelier Manuele Pirovano.

Quattro sono i menù degustazione:
- Esattezza € 170 – 5 portate – Vini in abbinamento € 85
- Armonia € 190 – 7 portate – Vini in abbinamento € 130
- Leggerezza € 210 – vegano/vegetariano – Vini in abbinamento € 150
- Molteplicità € 210 – 10 portate – Vini in abbinamento € 150
Ogni piatto è un micro-racconto, con radici saldamente ancorate alla tradizione lombarda, ma sviluppato con la grazia intellettuale di chi conosce le regole del gusto e sa romperle con precisione.

La carta dei vini è digitale, su tablet, che rende comoda la consultazione con filtri e ordinamenti. La selezione è centrata sull’Italia, con escursioni ben ponderate in Francia e resto del mondo. Il sommelier, preparato e misurato, ha guidato un abbinamento al calice su misura: tra le etichette, spicca un Pinot Nero della Nuova Zelanda che ha saputo reggere il gioco aromatico della maggioranza delle portate, senza sovrastarle.

Cenare da D’O non significa cercare lo stupore a ogni piatto, ma piuttosto vivere un’esperienza di misura, coerenza e profondità. È un luogo in cui l’idea di “alta cucina” non si traduce in effetti speciali, ma in silenzi carichi di significato, in gesti calibrati, in sapori che restano. Davide Oldani ha creato un linguaggio tutto suo, e lo parla con convinzione rara. Nel dopo cena siamo rimasti a chiacchierare piacevolmente con lui per oltre un ora.
Abbiamo conosciuto e parlato anche con Alessandro Procopio che, con discrezione ed umiltà, si è interessato di capire qual era il problema in una delle amuse-bouche che non ci aveva convinto.
In un’epoca di sovraproduzione estetica, di chef che cucinano per esaltare il proprio ego anziché tendere alla soddisfazione della clientela, la sobrietà diventa rivoluzionaria, POP ma non popolare. E D’O è, ancora oggi, uno dei suoi manifesti più riusciti.


