La tracciabilità è utile se sappiamo cosa tracciare. Prima viene l’alimentazione.

Il settore lattiero-caseario è in grande fermento, la crisi si fa sempre più dura e i duri scendono in campo. È di questi giorni la notizia che il gruppo Brazzale “introduce la ricerca scientifica in azienda”.

In sostanza il famoso gruppo noto per aver prodotto un formaggio tipo grana in Romania vuole attivare, in collaborazione con l’Università di Milano, ricerche sulla qualità dei grassi e soprattutto sugli isotopi come indicatori di qualità dei foraggi utilizzati in allevamento e del prodotto finale.

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Una notizia simile ci viene dal notiziario GIFT Great Italian Food Trade dell’ottimo Dario Dongo del 27/4/2021: Fast- cycling RNM, un’analisi innovativa per verificare l’autenticità degli alimenti. E poi c’è la block chain, il sistema super sicuro per tracciare i prodotti, dal terreno al banco del supermercato, che molti vorrebbero adottare.

I primi due riguardano tecniche diverse per arrivare allo stesso risultato: legare il latte e il formaggio all’alimentazione, a quel determinato pascolo, a quel terroir. Se ne parla e se ne scrive da almeno venti anni ma, al di là del fatto che sono tecniche complicate e costose, quindi poco applicabili su larga scala, la stessa motivazione che viene addotta per dimostrarne l’utilità è poco convincente e dimostra solo lo stato di schizofrenicità che il settore della ricerca attraversa.

Provo a spiegarmi. È da almeno la metà degli anni Ottanta che si parla di un legame fra i pascoli e la specificità di un formaggio. A quel tempo ci si limitava ai sesquiterpeni, poi si passò agli isotopi e all’RNM. Chiunque leggesse queste righe, la prima cosa che sarebbe portato a pensare è che l’alimentazione influenza e caratterizza il latte e il formaggi. Ed in effetti è così. Ogni erba apporta un corredo molecolare e di composti tali da caratterizzare il prodotto finale. Ma l’intero settore la pensa diversamente.

Solo qualche esempio. Il prezzo del latte è unico per tutti, dalle Alpi alle piramidi, dal Manzanarre al Reno. A prescindere dal sistema di alimentazione, molto diverso fra Nord e Sud, all’interno della stessa area e, in molti casi, all’interno della stessa azienda, fra estate e inverno.  I casari tengono conto di proteina e grasso perché sono interessati solo alla resa. Nella tecnica di produzione il sistema di alimentazione viene poco preso in considerazione ai fini della qualità del latte, tanto che la gran parte delle vacche viene alimentata con insilati a base di una sola erba e mangimi.

I prati sono spariti, i fieni, salvo poche aree, sono scadenti per non dire peggio. Una vacca che mangia molta erba non fa più di venti litri di latte. Invece si inseguono le vacche super produttrici. In Italia, unico paese al mondo, il latte di Alta Qualità è prodotto negli allevamenti intensivi. Un ossimoro praticamente. E i nutrizionisti dicono anche che è il latte migliore.

Quindi, sono pochi quelli che convinti del ruolo dell’alimentazione, persino nel mondo della ricerca. Non a caso è la genetica e la microbiologia che la fanno da padrona. Animali sempre più selezionati, meglio se con caseina 2A2, alimentazione a basso costo, tanto ci pensa il microbismo ruminale e poi i fermenti per dare note odorose al formaggio. Come se bastasse un fermento per rendere interessante e caratteristico il formaggio.

Se questo è, che senso ha parlare di isotopi e di RNM? Se proprio vogliamo produrre e tracciare grandi formaggi dobbiamo migliorare i pascoli, accrescere il numero delle erbe presenti, gestirli bene, fare un grande fieno e poi lavorare il latte a crudo e senza fermenti. Allora avremo formaggi di altissimo livello, che potremmo anche tracciare, perché a quel punto ogni formaggio avrà una personalità diversa per colore, odore e gusto. E saranno diversi soprattutto nel corso della stagione di pascolamento.

E veniamo alla block chain. Seneca diceva: a cosa serve la brezza al marinaio se non sa dove dirigere il timone? E quindi, a cosa serve tracciare un prodotto se non sappiamo cosa valga la pena tracciare?

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