Ma figurati… un bianco con l’oca!

Torno sull’argomento dell’articolo precedente per quanto riguarda gli abbinamenti del vino con le pietanze. Me lo ricordo ancora come se fosse ieri.

E invece era il 1980. Abituato al nebbiolo secco che più secco non si può con il gorgonzola, tipo moglie e buoi dei paesi tuoi, capirete bene come mai mi strabuzzassero gli occhi a leggere che il Gino nazionale, Gino Veronelli, consigliava invece l’Anghelu Ruju sardo con quella perla di formaggio del vecchio Piemonte. Che fosse impazzito? Proprio lui che scriveva di vini d’amore… sì, ma da matrimonio o da tradimento? E invece quella fu la prima folgorazione. La miglior regola è andar contro le regole.

Velocemente, per i più giovani. Veronelli lo suggeriva in un librettino edito da Laterza che trovai alla Standa di via Palmanova a Milano e che s’intitolava “Il mangiarbere di Veronelli”. Solo 3.000 lire, ma un vero condensato di consigli strepitosi. Fino a quel momento e per diversi anni quel gorgonzola cremoso tipo pannerone della premiata ditta Santi & Patrucco di corso Vercelli a Novara mi era piaciuto solo con lo Spanna focoso di Antonio Vallana e Figlio in Maggiora. Avrei considerato ogni altro abbinamento come un’offesa ai sacri crismi, una cosa da neanche provarci. E i meno giovani, come me, quei dogmi che se li ricorderanno di certo: “rosso con la carne e bianco con il pesce”. Invece con quel libretto cominciò una battaglia che non è ancora finita. Quando capitai in Sardegna lo provai, quell’azzardo del Gino, a Monte Oro di Tanca Farrà nell’agro di Alghero, alla cisterna allora in costruzione di Nieddu “lu colbu” che sta ancora lì a Mamuntanas mentre lui cavalca ormai nelle praterie del cielo. Gino non aveva torto, anzi l’aveva imbroccata proprio giusta. E se va bene col rosso dolce, chissà se con un bianco liquoroso…

Il resto lo sapete benissimo, non fate finta di niente. Al giorno d’oggi non c’è sommelier che non consigli anche un bianco dolce da dessert con il gorgonzola. Ma c’è di più. Dove sono finiti quei dogmi? Già vent’anni fa venne sconfitto il primo, e cioè che la carne vuole il rosso e il pesce vuole il bianco. Proprio al Veronelli di allora si deve la prima svolta e cioè l’applicazione all’enogastronomia del principio che l’erba voglio cresce soltanto nel giardino del re. Anziché “vuole”, meglio dire “preferisce”. Da allora siamo finalmente liberi di interpretare i sapori e ogni alcova del vino in santa pace, senza patemi d’animo, anzi con il gusto della scoperta che rimane una delle più belle risorse che ogni anfitrione possa mostrare ai suoi ospiti. Ma c’è anche il rovescio della medaglia. Tra Natale, Santo Stefano, San Silvestro, Carnevale e tra un po’ anche Pasqua e Pasquetta… non prendiamoci in giro che di stramberie durante le feste ne facciamo tante, vero o no?

Ognuno sa benissimo a cosa mi riferisco. A parte là dove hanno trionfato la tradizione e il buon gusto, consolidati perlomeno da consensi che risalgono a chissà quali anni, non tutte le novità ci hanno solleticato il gusto. La fantasia in cucina sarà anche la benvenuta, ma l’improvvisazione e la sciatteria no. Tenetele lontane dai fornelli, che il palato magari può anche apprezzare al momento qualcosa di strampalato, ma lo stomaco non sempre lo sopporta e l’intestino spesso ne soffre. Non entro nei particolari, ma anche soltanto pochi giorni dopo le tavolate dove purtroppo si è consentito di tutto un po’ e un po’ di tutto… qualcuno è ancora sensibile agli effetti collaterali. Basta con gli accostamenti di sapori senz’alcun criterio se non quello dell’apparenza e dell’avvenenza dell’impiattamento! Bisogna volersi anche un po’ di bene, sia per non scendere sotto certi livelli di decenza e sia per non intasare i cessi fino all’alba pentendosi di non essersi allontanati in tempo utile.

E gli abbinamenti con i vini? Anche qui ho avvertito uno slancio verso una libertà sempre più sfrenata durante le feste, come se il motivo principale dei festeggiamenti fosse l’abolizione dei freni. Ma chi ha conservato la misura avrà certo avuto delle sorprese da raccontare. A me è capitato con l’oca. Tre ore e mezza almeno, quando non quattro, di cottura al forno, farcita di mele e di prugne, spennellata di erbe aromatiche della macchia mediterranea (usate il mirto piuttosto del rosmarino), girata più volte e spruzzata del vino migliore che si ha in casa. Sì, lo ripeto, il vino migliore che si ha in casa e non quello che costa di meno “perché tanto va in fumo”, che è proprio per questo motivo che poi non si riesce ad apprezzarla per quello che vale, un monumento alla vera cucina.

Tutto pronto, con una batteria di bottiglie di Barolo, Amarone della Valpolicella e Sagrantino di Montefalco già aperti per tempo e quindi una vera sciccheria.

Vini da carne, eh…? Col cavolo! Meno male che in cantina c’erano anche dei signori bianchi di riserva, bottiglie di quelle che uno non si sognerebbe mai di dover stappare per invogliare gli ospiti a bere dopo aver constatato che i calici dei rossi strutturati, potenti, super premiati e per giunta di moda non si svuotavano per nulla neanche al ritmo di una vera festa. Bianchi, sì, come certe Albana di Romagna, certe Vernacce di Oristano e certi Lacryma Christi del Vesuvio (a proposito, ma c’è qualcuno che ancora sa che esistono questi vini ormai dimenticati da una barca di “guide” o cosiddette tali, si fa per dire, senza offesa, eh…?), tanto per non parlare degli Alto Adige Gewürztraminer, dei Cinque Terre e di tutta una serie di bianchi d’oltralpe come i Tokaji o i Rhein Riesling. Per non parlare degli Champagne demi-sec, che una loro ragione d’esistenza ce l’avranno pure e finalmente ho scoperto qual è, asino che fin qui sono stato. E non soltanto con l’oca al forno, ma anche con l’anatra in casseruola, con le sue belle olive, la rucola e le patate, innaffiata di Cannonau. Si è per caso capovolto il mondo?

No. Durante le feste, appunto, si festeggia e dunque si accontenta il palato anche di tutti quelli che durante l’anno di vino magari non ne bevono poi un granché, non se ne intendono, prendono solo quello che costa meno al supermercato, ma che in compagnia gaudente con degli intenditori a proporre il meglio della propria cantina un paio di calici se li farebbero e per giunta con grande goduria. E qui non ci sono regole che tengano: se a uno piace rosso, beve rosso, ma se piace bianco, beve bianco. La cosa che mi ha stupito di più è che un bianco, abboccato e di grande struttura, con l’oca e con l’anatra è piaciuto anche a me, e parlo di un Muffato di Orvieto, del castello della Sala in Ficulle.

Perciò non posso che augurare a tutti un modo nuovo di godersi un buon vino, scegliendosi quello che piace di più per le pietanze che piacciono di più, senza curarsi troppo di regole che ormai non hanno più senso, visto che la cucina propone ingredienti che vengono più dall’amore con cui si cucina che dalle ricette che passano le riviste specializzate. Anche i vini che le accompagnano, quindi, devono pur parlare d’amore anche loro. O no? A tal proposito, la raccomandazione più importante è sempre: “de gustibus non (est) disputandum”. Cioè non si discute in materia di gusto, gusti e preferenze. Tuttavia, è giusto dare alcuni suggerimenti, poiché è bene ambire a una combinazione armoniosa dei sapori delle pietanze con il vino. Un set “piatto-vino” di successo dovrebbe dare l’impressione di … un matrimonio ben riuscito! I gusti possono essere diversi, anche mutevoli, ma non devono interferire tra loro, anzi, devono enfatizzarsi a vicenda ed esaltare le qualità del partner.

Un vino leggero e fresco non si serve con piatti molto ricchi e molto pesanti. Un piatto leggero e delicato non si sposa bene con un vino robusto e complesso. I principi dell’armonia si basano su somiglianza, compatibilità, buona compagnia, legami qualitativi. La cucina rurale ama i vini rustici, semplici e casalinghi, mentre le prelibatezze più sofisticate richiedono una finezza simile anche dal vino. Tuttavia, la verità (forse più importante) è che le regole non devono essere sempre seguite rigorosamente: nessun rigore è consigliabile. La moderazione è importante. Vale anche la pena di ascoltare le proprie papille gustative: si tratta di provare piacere, non di applicare un codice. Non tutti, e non sempre, sono sensibili alla stessa cosa, ma ognuno deve fare la sua scelta. Inoltre, ci sono così tanti vini che tutti possono essere cercatori, scopritori di nuovi gusti e nuovi abbinamenti.

L’unica regola che non tollera eccezioni è la regola dell’aceto: il vino non dovrebbe mai accompagnare piatti o insalate con l’aceto: meglio bere acqua tra un sorso di vino e un boccone così. Dovreste solo sforzarvi di ricordare che i sapori dolci si bilanciano a vicenda e quelli aspri si intensificano a vicenda. L’abbinamento perfetto esiste solo raramente, perciò mettetevi il cuore in pace. Più ci immergiamo nel mondo dei vini, più spesso restiamo sorpresi. Ecco perché, in questa difficile ricerca di un’armoniosa alleanza tra vino e cibo, non sono un sostenitore di regole rigide e ricette categoriche e, soprattutto, è meglio essere tollerante, poiché l’abbinamento migliore rimarrà sempre una composizione di ciò che si mangia e si beve con l’ambiente che circonda la tavola e intendo con questo le persone, l’umore, il luogo, l’occasione particolare. Il vino è il re della partecipazione. Godetevi quello che vi piace di più con ciò che vi piace di più. Poi magari ne discutiamo, si può sempre cercare di meglio, ma è un altro discorso.

Mario Crosta

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