Montèbore – Il formaggio più raro del mondo

montèbore

Ci sono formaggi antichi che raccontano una storia. Che faticano a sopravvivere e che hanno lottato per non estinguersi. E che, grazie alla tenacia e alla passione di alcuni produttori, continuano a vivere.

Uno di questi è il Montèbore, il formaggio più raro al mondo.

La sua storia, piena di insidie, comincia nel lontano Quattrocento nell’omonimo paesino della Val Curone, sullo spartiacque tra le valli del Grue e del Borbera, un angolo del Tortonese ancora integro, spopolato e poco conosciuto. La prima testimonianza della sua esistenza risale al XII secolo, quando un ricco signore di Tortona mandò una cinquantina di forme in omaggio in dono ad un alto prelato. A fine Quattrocento, invece, fece la sua comparsa trionfale nel menù di nozze tra Isabella d’Aragona e Gian Galeazzo Sforza. E chissà se non fosse stata scelta, per l’occasione, proprio per la sua bizzarra forma a “torta nuziale”.

Per anni e anni se ne persero le tracce. Fu solo alla fine degli anni ’90 che due anziane signore, ultime depositarie della tecnica casearia tradizionale, riuscirono a recuperare il “sapere” di questa antica caseificazione. L’unico produttore al mondo del Montèbore è la Cooperativa Agricola Valle Nostra grazie alla quale è diventato un Presidio Slow Food.

La forma curiosa, detta anche “a castellino”, si ispira probabilmente all’antica torre diroccata del castello di Montèbore ed è data dalla sovrapposizione di tre dischi di robiole dal diametro decrescente. Il latte è rigorosamente crudo: per il 70% vaccino e per il restante 30% ovino. La cagliata viene rotta con un cucchiaio di legno e viene posta a scolare nelle formelle, le caratteristiche “ferslin”. Dopo una mezz’ora, le forme vengono girate quattro o cinque volte, salate a secco manualmente con sale rigorosamente marino (storicamente Valle Nostra si trova sulla Strada del Sale), e dopo dieci ore di riposo in un luogo fresco e asciutto vengono poste l’una sull’altra, in ordine decrescente, a stagionare fino a un massimo di quattro mesi.

Inizialmente la superficie è liscia, candida e umida, per poi diventare, con la stagionatura, rugosa, secca e di color giallo paglierino. Al naso l’odore è animale, quasi stallatico e con sentori leggermente erbacei. All’assaggio lascia spazio a note di lattico acido se la stagionatura è breve, mentre se è un po’ più spinta si riescono a percepire eleganti profumi di lattico cotto, burro fuso, nocciola tostata e castagna.

Raro e unico com’è, merita senz’altro di essere assaggiato. Magari prenotando qualche forma, dato che se ne produce davvero poco.

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