Note Georgiane – terzo capitolo

zapiski

Articolo di Mariusz Kapczyński – Traduzione di Mario Crosta

Con questo articolo il nostro amico “Kapka” termina la pubblicazione degli appunti che ha preso durante le sue degustazioni presso le piccole cantine della Georgia nel corso della sua visita del 2014, in cui ha evidenziato la sua aumentata curiosità per la tipologia dei vini naturali. Vi lascio immediatamente leggere la traduzione della quarta parte delle sue annotazioni pubblicate su Vinisfera.pl.

Note Georgiane (3)

In quest’ultima parte, eccovi il rapporto delle mie ultime visite in Racha, Guria e Adjara. Ovunque domina un’atmosfera particolare, molto locale, con tante piccole cantine e vini unici.

Agronauti

Rimango nella regione Racha. La prossima cantina da visitare che c’è sulla mia lista è quella di Vakhtang Aslanikashvile. Stiamo andando in un villaggio minuscolo (tanto che fino a oggi non riesco a trovarlo su nessuna mappa).

Il suo vigneto si trova a un’altezza inferiore rispetto alla casa dell’appena visitato Murad Vatsadze, a un’altitudine di 560 m sul livello del mare, ma a un certo punto la strada è così ripida che abbiamo bisogno di salire sulla jeep del proprietario per poterci arrivare.

Prima di visitare la cantina usciamo sulla terrazza di fronte alla casa, con la sua magnifica vista sulle montagne. Vakhtang ci indica una di queste con la mano e dice che, secondo una leggenda locale, tra quelle zone impervie, pericolose, piene di trappole e di grotte c’è nascosto il tesoro cercato dal mitologico.

Giasone e dai suoi Argonauti. Gli abitanti del posto riferiscono che anche tanti altri hanno cercato quel tesoro. Sembra che pure Adolf Hitler abbia mandato qui una speciale spedizione esplorativa. Vakhtang ha a sua disposizione poco più di un ettaro di vigne. Qui si può notare, tuttavia, una certa differenza: nelle vigne domina il vitigno usakhelauri.

È interessante notare che, sebbene sia possibile trovare un sacco d’interessanti cloni di questo ceppo, è un vero peccato che non ci sia nessuna iniziativa di ricerca che possa rivalutarlo. Si può dire che Vakhtang è diventato enologo per compiere la volontà di suo padre, che era nato qui e poi era andato in cerca di migliori opportunità a Tbilisi, ma per tanti anni prima di morire ha chiesto al figlio di tornare nel luogo delle sue radici e di piantarci una vigna.

Questo può sembrare un racconto un po’ patetico, ma Vakhtang ha realizzato questa volontà (in precedenza lavorava nel settore siderurgico). È tornato, ha investito in un vigneto e in una casa con la cantina nel seminterrato. Ha imparato a vinificare dai vitivinicoltori locali e dagli amici, anche se ha fatto molto da solo.

Oggi possiamo vedere che pensa e lavora in modo moderno. Ha un buon approccio: c’è ordine e pulizia dovunque e le vigne vengono curate con molta attenzione. Finora aveva prodotto i suoi vini soltanto “all’europea”, con vasche e serbatoi di acciaio inox, tuttavia è tornato ai metodi classici e le prossime annate saranno vinificate anche nei kvevri.

Sta cercando in generale di mantenere e migliorare la produzione, per esempio quest’anno avrà già la certificazione di coltivazione e produzione biologiche. Va notato che il vitigno coltivato da Vakhtang, l’usakhelauri, gode di grande rispetto e a queste “altezze” è coltivato con successo, insieme con tsolikauri, tetri e ojaleshi.

Queste condizioni difficili di montagna richiedono un lavoro manuale faticoso che costringe alcuni produttori a chiedere prezzi esorbitanti. Come si è visto, il nostro anfitrione spera di ricevere per alcuni dei suoi vini circa 120 dollari a bottiglia.

In un modo o nell’altro diamo un’occhiata al vino. L’Usakhelauri 2012 (4) è il primo vino che è stato imbottigliato in questa tenuta. Si tratta di un rosso secco, non filtrato, denso, acidulo e terroso, si vede il deposito ma è pulito, con un fruttato espressivo e un bel carattere.

Vakhtang ha scelto la strada più giusta, impostando abilmente la filosofia della cantina per il futuro. Alla fine mi è finita nel calice una chacha, un distillato di uva maturato per diversi mesi in botte che si è rivelato speziato, ricco di sapori di erbe aromatiche, con stile e carattere. La chacha era pura, potente e di sapore persistente.

Vakhtang Aslanikashvile

Vakhtang Aslanikashvile – Foto dell’autore – ©

A ovest!

Era tempo di andare nella parte occidentale del paese. Direzione: la costa del Mar Nero. Siamo andati in direzione di Batumi. Lungo la strada, però, diamo un’occhiata alla provincia di Guria. Passiamo la città di Samtredia e raggiungiamo il villaggio di Sakvavistke. Qui si trova la cantina Iberieli, proprietà di Zurab Topuridze.

Il nome è stato scelto dai suoi figli; si tratta di un antico gruppo etnico caucasico da cui discendono ​​i Georgiani. Gli Iberieli si sono impegnati per secoli anche nella produzione di vino. Non sorprende, quindi, che questa impresa famigliare, ufficialmente fondata cinque anni fa, sia concentrata su una vinificazione molto tradizionale. La tenuta si estende su 10 ettari situati su un altopiano delle vicinanze.

Zurab viene da Megreli ed è geologo di formazione. Qui ci sono i vitigni tipici della regione: il bianco tsolikauri, i rossi aladasturi e chkhaveri (un antico ceppo coltivato nelle zone intorno al Mar Nero.) Vale la pena di ricordare che qui, oltre a questi vitigni, si coltivano anche quelle rarità georgiane che il proprietario va zelantemente a cercare per tutta la regione.

Non avete mai sentito parlare di koloshi, per esempio, o di jani, khemkhu, cheshi, chashi, kapistoni, tagidzura oppure dell’apprezzatissimo sakmiela? Nemmeno io. Tanto più che sono molto curioso di sapere quali effetti porterà questa coltivazione. Tanto più che questa cantina è una delle poche in regione a vendere ufficialmente il vino.

Già per strada si poteva vedere il cambiamento verso un clima più subtropicale, umido, caldo. Qui ci sono molti più agrumeti che nella vicina Adjara. Questo influisce anche sul periodo delle vendemmie. Le uve del vitigno aladasturi si raccolgono in novembre ed è anche successo che sono state raccolte alla fine di dicembre.

Ci sono altre differenze, come ad esempio nella costruzione e nella forma dei kvevri, come abbiamo potuto vedere. Alcuni di loro, infatti, giacevano davanti alla cantina in attesa di essere interrati. Erano un po’ più panciuti e modellati secondo le caratteristiche forme delle anfore d’argilla della Guria.

L’intera produzione di vini della cantina Iberieli si svolge nei kvevri. Topuridze ha 18 grandi anfore interrate dentro la cantina (marani) e altre all’esterno, a cielo aperto. Questa disposizione s’incontra spesso nelle regioni occidentali della Georgia, dove il clima è più mite.

Lo Chkhaveri 2011 (4 +) è un vino bianco da uve rosse (un metodo abbastanza tipico in questa regione), leggermente paglierino, denso, un po’ velato. L’aroma è interessante, “autunnale”, intenso. In bocca è erbaceo e delizioso. Si avvertono mele, vinaccioli, foglie secche e fiori, cotogne, scorze di mandarino. Acidulo e leggero.

Si sente che questo vitigno in Guria assume un carattere completamente diverso da quello che ha in Kakhetia. Il Rosa 2011 (3 +) è ottenuto da uve di chkhaveri. Di colore piuttosto scuro (due settimane di macerazione), più vicino al classico chiaretto che al tipico rosato. Aroma fruttato (lamponi, fragole). In bocca scende leggero e liscio, sembra un po’ annacquato. Vino piacevole per il consumo quotidiano.

In vigna e in cantina Zurab è assistito dall’amico David Khabeishvili, che si orienta molto bene nella complessità della coltivazione delle uve e della vinificazione nei kvevri. Questi due ragazzi stanno facendo un buon lavoro, i loro vini non saranno forse tanto “orange” come molti altri, ma sono fatti in modo pulito, leggero e si fanno bere molto piacevolmente.

David Khabeishvili

David Khabeishvili – Foto dell’autore – ©

Porto Franco

Mi sono spostato ancora più a ovest, verso la costa, verso Adjara, che ha un clima subtropicale, più umido (durante l’anno qui ci sono molte precipitazioni lunghe e intense).

Ho passato un bellissimo momento a Batumi, che si sta espandendo e si sta rinnovando intensamente in previsione del numero sempre più crescente di turisti in arrivo. Sono giunto alla cantina Adjarian Wine House, che si trova nella zona di Keda.

Lungo la strada ho visitato la cantina della famiglia Shervasidze. Mi ha deluso molto questa visita. In un ettaro di vigne ci sono ojaleshi, tsolikauri, chkhaveri, ma è proprio il vino che lascia molto a desiderare; poco gustoso, con una lieve acescenza batterica, era al limite della bevibilità. Tuttavia, sono gli stessi proprietari a non lamentarsene; hanno riferito che ricevono le visite di molti Polacchi e che questa cantina gode di una notevole popolarità in questa regione turistica.

Ecco perché hanno allestito una speciale sala di degustazione (un locale che in tutta la Georgia s’incontra abbastanza raramente). Sui tavoli si trovano gli album e le foto, in alcune compare l’ex presidente Mikheil Saakashvili in visita a questa cantina. Sono molto curioso di sapere che vino gli avranno dato qui da bere.

Mi sono subito recato in località Khelvachauri, nei pressi di Batumi, dove si trova l’Adjarian Wine House. Si tratta di una grande proprietà con un piccolo hotel e un ristorante, di fronte al quale si può vedere immediatamente un antico pigiatoio (sacnacheli) di 600 anni.

Questo progetto è nato nel 2010. Il Porto Franco Chkhaveri è il loro vino più prestigioso, unico nel suo genere, in quanto i vigneti sono situati in alta montagna. Da qui vengono tre tipi di vino fatti in modo classico: Rkatsiteli, Tsolikauri e Chkhaveri, tutti e tre vinificati nei kvevri.

I proprietari hanno anche un vigneto in Kakhetia, dove fanno Saperavi e Tsolikauri in stile europeo. È interessante il fatto che qui abbiano deciso di fare anche un vino frizzante, realizzato con uve di chkhaveri in modo tradizionale. Di questi vini è responsabile un consulente, un enologo francese, mentre del vino nei kvevri risponde il locale Vakhtang Chakhvadze).

Le cantine sono ben attrezzate e ben finanziate. Realizzato questa volontà (in precedenza lavorava nel settore siderurgico). È tornato, ha investito in un vigneto e in una casa con la cantina nel seminterrato. Ha imparato a vinificare dai vitivinicoltori locali e dagli amici, anche se ha fatto molto da solo.

Oggi possiamo vedere che pensa e lavora in modo moderno. Ha un buon approccio: c’è ordine e pulizia dovunque e le vigne vengono curate con molta attenzione. Finora aveva prodotto i suoi vini soltanto “all’europea”, con vasche e serbatoi di acciaio inox, tuttavia è tornato ai metodi classici e le prossime annate saranno vinificate anche nei kvevri.

Sta cercando in generale di mantenere e migliorare la produzione, per esempio quest’anno avrà già la certificazione di coltivazione e produzione biologiche. Va notato che il vitigno coltivato da Vakhtang, l’usakhelauri, gode di grande rispetto e a queste “altezze” è coltivato con successo, insieme con tsolikauri, tetri e ojaleshi.

Queste condizioni difficili di montagna richiedono un lavoro manuale faticoso che costringe alcuni produttori a chiedere prezzi esorbitanti. Come si è visto, il nostro anfitrione spera di ricevere per alcuni dei suoi vini circa 120 dollari a bottiglia.

In un modo o nell’altro diamo un’occhiata al vino. L’Usakhelauri 2012 (4) è il primo vino che è stato imbottigliato in questa tenuta. Si tratta di un rosso secco, non filtrato, denso, acidulo e terroso, si vede il deposito ma è pulito, con un fruttato espressivo e un bel carattere.

Vakhtang ha scelto la strada più giusta, impostando abilmente la filosofia della cantina per il futuro. Alla fine mi è finita nel calice una chacha, un distillato di uva maturato per diversi mesi in botte che si è rivelato speziato, ricco di sapori di erbe aromatiche, con stile e carattere.

La chacha era pura, potente e di sapore persistente. Qui nasce un totale di circa 8.000 bottiglie. Sono focalizzati sul mercato locale, infatti il vino si può acquistare soltanto sul posto. Si tratta di una produzione totale in grado di soddisfare le attività aziendali (il ristorante con i suoi matrimoni e con le feste di ogni tipo).

Lo Tsolikauri 2011 (4 -) si è rivelato con aromi d’arancio, noci e frutta essiccata, è speziato, lungo, denso, piacevole, erbaceo. È interessante e si dispone con grazia nel palato. Robusto, vinificato modernamente.

Il Porto Franco Chkhaveri 2010 (4) giocava su toni di marmellata, tabacco e spezie. In bocca sapeva leggermente di lampone, era acidulo, c’era prugna secca, fumo, una miscela di erbe aromatiche e officinali. Vino leggero e gustoso. Generalmente senza pretese, semplice e acidulo. Aggiungerei soltanto che il nome Porto Franco era quello di Batumi nel XVII secolo.

Adjarian Wine House si è rivelato un luogo piacevole e interessante da visitare. Quando ho finito la mia degustazione qui, sapevo che questo era l’ultimo posto di tutto il piano delle visite.

Allo stesso modo mi era chiaro che stavano lentamente terminando anche le mie note. Sapevo una cosa. Questo viaggio mi era proprio riuscito. Lo ha garantito il numero di brindisi al successo della spedizione che mi hanno dedicato i Georgiani lungo tutto il percorso.

Ma non era finita qui, mi aspettava un’altra tappa del viaggio: l’Armenia. Ne parliamo però la prossima volta.

Adjarian Wine House

Adjarian Wine House – Foto dell’autore – ©

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