Oltre la tracciabilità: per l’agrifood oggi c’è il “Foodpassport”

Si sa che la tracciabilità nell’agroalimentare ha l’obiettivo di garantire la trasparenza e la fiducia del consumatore verso un prodotto, e su chi l’ha immesso in commercio, attraverso la ricostruzione della storia del prodotto stesso lungo tutta la filiera produttiva, dall’origine fino al consumo o, come si suol dire oggi “dal campo alla tavola”.

Gli strumenti di più largo utilizzo, già da molti anni, sono la certificazione delle caratteristiche di qualità di un prodotto, spesso accompagnate da un marchio collettivo (dop, igp, bio, ecc.), rilasciata da enti certificatori sulla base di verifiche tecniche e controlli soprattutto amministrativi.

Oggi, con l’avvento dell’innovazione digitale, anche nella filiera agroalimentare sono state introdotte tecnologie innovative che possono garantire meglio l’efficienza dei processi di controllo lungo tutta la supply chain. Ci si riferisce in particolare alla blockchain, che consente la gestione di una maggiore mole di dati sul prodotto, di ridurre i tempi e di garantire trasparenza ed efficienza, evitando la manomissione del dato stesso, come può avvenire invece in un sistema non digitalizzato.

La blockchain nella tracciabilità alimentare è ormai una realtà ed aumentano le imprese che l’adottano, soprattutto a seguito dei continui alert che si verificano nel campo della sicurezza alimentare che determinano la necessità di poter governare e risalire, in qualsiasi momento, alle “tracce” lasciate dal prodotto fino all’immissione al consumo.

Ma come tutte le innovazioni proponibili, anche la blockchain può avere il suo punto debole.

Per poter garantire l’inequivocabilità dell’origine di un prodotto o della materia prima di cui si compone – afferma Giorgio Ciardella, CTO e project manager della startup innovativa FARZATI TECH di Casal Velino (SA) – occorre che l’informazione iniziale da inserire in blockchain e da rendere immodificabile fino alla fine, cioè fino al consumo del prodotto stesso, sia quella corretta”. A tal fine, la Farzati Tech, propone una tecnologia innovativa, messa a punto a seguito di una ricerca condotta con l’Università La Sapienza di Roma e oggi consolidata attraverso la collaborazione con altri Atenei come la Federico II e l’Università di Salerno, che integra blockchain e tracciabilità digitale a partire dalla bio fingerprint, un’impronta biochimica resa digitale attraverso l’intelligenza artificiale, rilevata con un dispositivo portatile, che traccia e riconosce le molecole che compongono il prodotto.

Tale tecnologia, da noi chiamata BluDev®, brevettata, consente di poter rilasciare all’azienda agricola o agroindustriale, il Foodpassport® di un qualsiasi prodotto, dove il prodotto è etichetta di se stesso – aggiunge Ciardella – garantendo così sicurezza e trasparenza per il consumatore e valore per chi produce. In una parola poter certificare il vero Born in Italy, evoluzione del fin troppo abusato e violabile made in Italy”.

La piattaforma tecnologica messa a punto dalla Farzati Tech, che sta ricevendo elogi ed attenzione dal sistema agroalimentare italiano e non solo, può trovare applicazione su tutte le tipologie di prodotto, dalla filiera ittica alle carni, dall’ortofrutta (fresca e secca) ai formaggi, alle uova. Sull’olio di oliva evo poi, il BluDev® è ormai una tecnologia consolidata e la startup è infatti partner di APROL Campania sul progetto “Olio contadino”, un barattolino monouso di olio rigorosamente del territorio, certificato dal Foodpassport®, ideale per ristoranti ed agriturismi.

Agli interessati e ai curiosi del Foodpassport® e della tecnologia della Farzati Tech consigliamo di visitare il sito web della startup, recentemente aggiornato e completo di tutte le informazioni.

Italo Santangelo

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