Parliamo un po’ dei vini “bio”

vino biologico

Ormai l’interesse per il vino biologico sta aumentando notevolmente.

La serietà del lavoro delle aziende vitivinicole che li producono, specialmente in quest’ultimo decennio, ha saputo conquistarsi un rispetto notevole, tanto che i loro vini sono sulla tavola perfino dei più grandi alberghi delle capitali d’Europa e sono sempre più consigliati dagli opinionisti del settore.

Sul mercato vinicolo è evidente un flusso crescente in modo piuttosto rapido dei vini “verdi”, organici, ecologici, veri, “naturali”, quelli che nascono nel rispetto per la più grande naturalezza.

Vini che sono, per così dire, più vicini alla terra. Non c’è soltanto il “cibo sano” a essere molto di moda. Anche questi vini più comunemente chiamati “bio” stanno diventando sempre più popolari. Perciò non fa meraviglia che ci siano sempre più vigne condotte con metodi naturali e non solo quelle dei produttori più piccoli. Grandi aziende con centinaia di ettari si sono convertite a questa filosofia di produzione.

Tutti vogliono far riposare una terra che è stata a lungo stancata con i prodotti della chimica di sintesi come erbicidi, antiparassitari, fertilizzanti. I vini ecologici e biodinamici (come la sana alimentazione) oggi godono delle maggiori simpatie di quella stampa che in precedenza o era diffidente o li staffilava senza pietà, sono diventati di moda e ricercati. Ci sono sempre più consumatori informati che vogliono i prodotti fatti nelle condizioni meno industriali possibili e sta diventando importante aiutare la natura e sfruttarla meno aggressivamente. Non fa meraviglia dunque che in Europa il settore dell’agricoltura ecologica sia quello che si sviluppa più velocemente (15-30% annui) e fattura già centinaia di miliardi di euro l’anno.

 

vino biologico

 

Dopo almeno un decennio di “tana liberi tutti” in cui ciascun produttore oppure ogni associazione di produttori si autoregolava perché non esisteva alcuna legislazione e neppure un consenso unanime sulla esatta definizione di questi vini, il 9 Marzo 2012 è stato pubblicato sulla gazzetta ufficiale dell’Unione Europea il Regolamento Europeo 203/2012 che ha finalmente permesso di regolarizzare il settore del vino biologico, dopo diversi anni di controversie.

La normativa stabilisce le regole per quanto riguarda la produzione di prodotti vitivinicoli biologici, delinea le modalità di vinificazione approvate dallo Standing Committee on Organic Farming (SCOF, il Comitato permanente per l’agricoltura biologica) e permette alle aziende certificate da un ente autorizzato di riportare il logo europeo in etichetta.

I contenuti del regolamento prevedono una serie di restrizioni nell’utilizzo di determinate pratiche enologiche e di sostanze coadiuvanti durante la fase di vinificazione. In soldoni, un produttore di vino biologico può utilizzare circa la metà del numero di coadiuvanti che può invece utilizzare un produttore convenzionale secondo le leggi enologiche europee. Il quantitativo di anidride solforosa totale nei vini biologici è stato approvato ponendone i limiti a un massimo di 100 mg/l per i vini biologici rossi secchi e di 150 mg/l per i vini biologici bianchi secchi.

Questo è stato però uno degli argomenti più contrastati in Europa proprio dall’Italia, perché molti vignaioli italiani non li volevano accettare in quanto considerati troppo alti. Bisogna infatti ricordare che le eccellenti condizioni climatiche del nostro paese per la vitivinicoltura permettono di produrre vini con quantitativi di solfiti mediamente più bassi dei produttori d’oltralpe.

 

In ogni caso, si può definire ufficialmente vino ”biologico” solo quello che risponde a condizioni ben precise.

  1. in vigneto si producono solo uve biologiche, coltivate senza l’aiuto di sostanze chimiche di sintesi (concimi, diserbanti, anticrittogamici, insetticidi, pesticidi in genere) e senza l’impiego di organismi geneticamente modificati;
  2. in cantina si esegue la vinificazione utilizzando solo i prodotti enologici e i processi autorizzati dal regolamento europeo 203/2012 (l’elenco si trova nell’allegato VIII bis).

All’interno dei limiti e delle disposizioni imposte dalle normative, ogni produttore biologico certificato può seguire una propria condotta specifica, utilizzando le pratiche enologiche che più si avvicinano al concetto personale di “agricoltura sostenibile”, ma in ogni caso non può riportare la parola “bio” in etichetta o sulla bottiglia e sulle confezioni senza una certificazione di conformità da parte di un ente certificatore.

Ci sono poi diverse associazioni che oltre al vino biologico promuovono anche “vino “naturale” o “vino secondo natura” o “vino vero” o “vino artigianale” da produrre secondo disciplinari propri ancora non regolamentati in Europa.

Le prime in assoluto sono state quelle francesi, poi si sono diffuse in tutto il mondo. Alcune di queste richiedono, oltre alla produzione biologica certificata secondo la legislazione in materia), pure l’applicazione di quella biodinamica. Altre invece  la rifiutano ritenendola una visione antroposofica che presuppone credenze esoteriche percepite come “non naturali” e perfino teofisiche, soprannaturali.

Che cos’è il vino “bio”? La definizione del Regolamento Europeo precisa che “è un vino che deriva da uve coltivate in modo biologico” (“organic” in inglese, “biologique” in francese e “ökologischen/biologischen Wein” in tedesco).

È una definizione un po’ semplificata perché riguarda le uve e non dice niente di cosa succede quando il mosto si trasforma in vino. Però chi si decide alla coltivazione organica di solito mantiene anche nel vino un carattere bio, usando i mezzi chimici con moderazione. In vigna l’uva organica cresce senza l’uso di pesticidi, fungicidi e diserbanti sintetici né di concimi artificiali. È ammesso l’uso sia della poltiglia bordolese (il solfato di rame per prevenire le muffe), sia di piccole quantità di anidride solforosa, sotto rigoroso controllo.

vino biologico

Nel caso del vino bisogna curare la materia prima, riducendo al minimo l’uso dei mezzi chimici e sottomettendosi a regole restrittive. Questi vini non vengono sottoposti all’azione di enzimi, alla filtrazione aggressiva e hanno una consistenza più fitta, più carnosa, un gusto più naturale, “verde”. Si afferma spesso che sono vini meno stabili, dalla longevità meno sicura. Questa però è una tesi molto generalizzante, anche se ci sono degli esempi di vini che la sostengono. Per esempio, i più famosi cru della Borgogna.

La decisione di condurre una vigna con criteri biologici è legata all’accettazione del rischio, della fatica e dei problemi da affrontare lottando con le condizioni capricciose della natura e anche con i requisiti formali. Non sono tutti capaci di assumersi quest’onere; per esempio in quelle regioni dove regna una maggiore umidità i produttori hanno regolarmente dei problemi con le muffe e le malattie fungine, con le quali non possono cavarsela senza irrorazioni relativamente più forti e più frequenti di ciò che vorrebbero.

Alcuni hanno il problema di avere per confinanti delle grandi tenute che non hanno fatto la stessa scelta e quindi irrorano e concimano in grande quantità e impediscono dunque ai loro vicini di decidersi a condurre biologicamente una vigna.

C’è un’altra categoria di “vini puri”: il mercato ha inventato perfino una roba come i “vini vegani”.

Si sa che nel vino evidentemente non c’è né sangue né carne, ma la maggior parte dei vini è chiarificata e a questo scopo si usano vari mezzi chiarificanti; alcuni di questi hanno un’origine naturale (gli albumi delle uova di gallina o gli albumi del latte come la caseina), altri derivano dall’idrolisi delle ossa e dei tendini degli animali allevati. Per alcuni vegetariani e i vegani questi elementi sono inaccettabili. Sono dunque accettati soltanto quei vini che sono chiarificati usando per esempio la polvere di bentonite, un minerale derivato dalla roccia naturale.

E veniamo allo zolfo. Non tutti si rendono conto che in enologia l’uso di svariati mezzi chimici è uno standard fin dai tempi remoti. Il vino è una materia viva insolitamente delicata, esposta all’azione di lieviti indesiderati o agli attacchi dei batteri, quindi esige protezione. Gli enologi, sempre in accordo con la tecnologia e le norme, hanno approfittato delle possibilità di applicazione della chimica. Uno dei mezzi chimici essenziali è l’anidride solforosa. Soltanto negli ultimi anni le leggi speciali dell’Unione Europea hanno obbligato i produttori di vino a stampare in etichetta delle opportune indicazioni sul contenuto di SO2 per proteggere i consumatori da indesiderate reazioni allergiche.

L’informazione “contiene anidride solforosa” (o “contiene solfiti”) ha spaventato un po’ qualche consumatore che finora credeva che il vino fosse una bevanda esclusivamente naturale o “pura” e quella scritta ha minato fortemente quest’immagine agli occhi degli acquirenti meno orientati. Se qualcuno si è impaurito per l’informazione del contenuto di anidride solforosa, deve rendersi conto che questa sostanza non è affatto usata in quantità spaventose e permette anzi di proteggere il vino dai batteri non graditi, dall’ossidazione e dall’alterazione, stabilizzando e conservando il vino. Il suo buon uso salva spesso l’enologo e il consumatore dal deterioramento dei vini. Questo è un componente così importante che ne è ammesso l’uso anche nelle cantine che adottano restrizioni perfino maggiori di quelle ammesse dalle norme.

A condurre le vigne biologiche oggi appaiono sempre più enologi che vogliono resistere alla chimica e mostrare che si può fare diversamente, più naturalmente.

Le prime coltivazioni biologiche sono cominciate negli anni ’20 del secolo scorso, ma soltanto 40 anni più tardi è sbocciato veramente un movimento biologico cosciente nelle vigne, un movimento pionieristico di “ritorno alla natura” di una piccola parte di produttori. Alla fine del secolo scorso i fautori di una tale filosofia erano già parecchie migliaia. Però non poteva più esserci la libertà in questa produzione, anzi la produzione di tali vini doveva portare con sé delle norme adeguate.

Bisogna pagare le relative tasse, presentare delle dichiarazioni, adempiere delle esigenze formali, anche se la dichiarazione non dà subito la certificazione. La vigna deve essere “disintossicata” almeno tre anni prima di conquistarsi lo status di biologica.

Il vignaiolo che decide di dedicarsi a una tale sfida deve avere una serie di requisiti necessari. Non può per esempio usare concimi artificiali, ma unicamente composti naturali e letami. La sarchiatura e la pulitura della vigna vanno fatte a mano. Si rafforza l’ecosistema della vigna insediando delle piante adatte nei dintorni e fra i filari. Non si vanga il suolo per conservare in pieno il suo carattere naturale e quello della sua vegetazione.

vino biologico

Non inganniamoci: in questo caso non si può fare a meno dell’anidride solforosa che però ha un tenore inferiore del 30% rispetto a quello delle vigne normali. Un problema nelle vigne è costituito dalle malattie fungine, che si combattono con le irrorazioni, che si possono diminuire riducendo la quantità dei grappoli e potando adeguatamente le viti in modo che un flusso di aria più intensificato riduca un po’ l’umidità. Senza il doping del concime sintetico la vite è obbligata a sviluppare da sé una più profonda radicazione nella terra. La mancanza di trattamenti chimici permette di riattivare la vita dei microorganismi e dei microbi utili.

Ovvio che quanto più il vino è di qualità, tanto più severe saranno tutte le norme e tanto più rigore ci sarà in vigna.

Del resto non soltanto in vigna, perché nella stessa cantina bisogna rispettare delle norme, come quelle dell’abbandono dell’uso degli enzimi, dei chiarificanti inammissibili, eccetera. Non si usano neanche i lieviti ottenuti in laboratorio, ma unicamente quelli naturali che nascono sulle bucce degli acini. Nonostante questo, si ammette l’uso di una quantità trascurabile di anidride solforosa. Una parte di vini biologici è completamente non filtrata, perciò può avere un colore un po’ concentrato e a volte non completamente trasparente. La loro struttura in bocca è più vegetale, hanno un carattere più “naturale”.

Oltre al vino biologico, nella filosofia della produzione “verde” sono i vini biodinamici a occupare un posto importante.

Questi sono prodotti secondo una specifica filosofia di produzione, ma anche secondo la concezione del mondo e della vita che ha il vignaiolo. Per questo c’è chi ritiene che la biodinamica sia un’edizione più estrema della viticoltura di carattere organico. Alcuni pensano addirittura che una tale filosofia di produzione di vino sia un’arte troppo folle e d’assalto.

I biodinamici credono che sulla struttura e sul gusto del vino influiscano non soltanto i metodi tecnologici di conduzione della vigna e della cantina, ma che assumano un significato straordinario anche altri elementi, quei fattori che si legano strettamente al ritmo naturale e alla vita della terra, per esempio le fasi lunari.

Per i biodinamici ogni giorno dell’anno ha un proprio ritmo planetario che determina le attività da condurre in vigna. Questo specifico modo d’approccio esige dal produttore un atteggiamento adeguato in quanto tutto l’ecosistema dev’essere armonizzato.

Tutto questo richiede un’arte vera e delle capacità di approccio, un bilanciamento perfetto tra le “selvatiche” esigenze della natura e la coltivazione, che si ottiene con la cessazione degli interventi o con il minimo di interferenze nei suoi ritmi. La maggioranza dei rappresentanti della produzione biodinamica fa riferimento alle idee del filosofo tedesco Rudolf Steiner e alle sue tesi riguardanti le questioni agrarie. Seguendo il suo pensiero, loro si concentrano sull’intuizione e sulla dimensione spirituale della vita, percepiscono la sensibilità di ogni vigna che funziona secondo le norme concrete degli organismi.

La biodinamica è per una resa completa alla natura e alle sue leggi: l’armonia tra il cosmo e la terra, l’iniziazione nell’ordine siderale della natura, la cura ossessiva per gli arbusti, il naturale sviluppo della pianta.

L’introduzione di questi principi sulla terra stancata va fatta con un intervento disintossicante che purifichi l’ambiente e restituisca alla Terra la sua naturale energia. Si usano dunque soltanto concimi e composti organici, si stimola microbiologicamente la vita della terra e si obbliga la vite a una penetrazione in profondità. I biodinamici trattano la pianta come un elemento quadruplo: le radici, le foglie, i fiori e i frutti sono legati con i quattro componenti cosmici e cioè la terra, il fuoco (del sole), l’acqua e l’aria. Si tratta della naturalezza e della purezza dei vini (la rinuncia ai conservanti) e di eliminare al massimo le irrorazioni chimiche di fungicidi, erbicidi, pesticidi e di ogni concime artificiale. In casi estremi è ammesso l’uso della poltiglia bordolese (una soluzione di solfato di rame mischiata con il latte di calce contro i vermi) e l’uso dell’anidride solforosa per non deteriorare il vino.

vino biologico

 

La biodinamica ha suoi eroi.

Il francese Nicolas Joly è riconosciuto come il precursore della produzione di vini biodinamici. Joly è autore di molti articoli sulle vigne condotte col metodo biodinamico e anche di un libro dal titolo eloquente: “Le vin du ciel à la Terre”. I suoi vini Coulée de Serrant sono considerati leggendari, concentrati e di struttura eccellente. Joly raccomanda di scaraffarli molte ore prima di servirli. I suoi vini resistono a meraviglia a questo intervento e inoltre invecchiano benissimo, smentendo le teorie dominanti sul vino biodinamico che non sarebbe longevo.

Dal 1984 tutte le vigne di Joly sono condotte organicamente. Tutta la proprietà vive al proprio ritmo. Le vigne e i dintorni sono tappezzate dal verde di piante molto svariate, cosa che riduce la sfavorevole influenza della monocoltura. Non si usano erbicidi, cosa che sviluppa microorganismi molto vantaggiosi per la vite. La vigna è concimata con diversi composti vegetali. Soltanto in casi molto estremi si usano delle irrorazioni di solfato e poltiglia bordolese (da 3 a 5 litri per ettaro annualmente). La riduzione della quantità dei grappoli sulla pianta diminuisce la produttività della vigna a 20-25 ettolitri per ettaro (cioè quasi la metà del limite massimo permesso dai disciplinari).

Che il metodo sia forse in questa follia?

Per parafrasare Steve Jobs, che non era un contadino, anzi tutt’altro, dato che è stato il cofondatore della Apple Inc. e il fondatore della NeXT Computer, questo articolo

«…lo dedichiamo ai folli. Agli anticonformisti, ai ribelli, ai piantagrane, a tutti coloro che vedono le cose in modo diverso. Costoro non amano le regole, specie i regolamenti e non hanno alcun rispetto per lo status quo. Potete citarli, essere in disaccordo con loro, potete glorificarli o denigrarli, ma l’unica cosa che non potrete mai fare è ignorarli, perché riescono a cambiare le cose, perché fanno progredire l’umanità. E mentre qualcuno potrebbe definirli folli noi ne vediamo il genio, perché soltanto coloro che sono abbastanza folli da pensare di poter cambiare il mondo lo cambiano davvero».

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