Quando la bufala non fa il latte

Mozzarelle, trecce, provola, ricotta, bocconcini, burro, scamorze, yogurt e chi più ne ha più ne metta. Insomma, la bufala ci dà la felicità.

bufala 2E perché allora mutuare da questo animale anfibio, anello di congiunzione tra la mucca e l’ippopotamo, un termine abbastanza infelice, che evoca truffe, inganni, fregature? Andiamo con ordine: secondo quelli che studiano assai, leggono di più e producono scienza, il termine bufala deriva dal dialetto romanesco ed entra in uso nella lingua italiana appena qualche decennio fa, nella seconda metà del ‘900,  partendo dalle pasture dell’Italia centro meridionale e di lì muovendo verso l’accogliente sud, sempre incredibilmente pronto a ricevere ed acquisire nuovi lemmi.

E dunque proviamo a cercare conforto nella scienza dell’etimo: bufalo deriverebbe dal latino moderno bufălus, che a sua volta deriva dal latino classico bubălus, il quale a sua volta deriva dal greco antico βούβαλος (spero che si scriva davvero così perché io di greco conosco solo il vino). Ma a dirla tutta questa indagine  etimologica non sgombra il nostro campo da alcun dubbio.

Un poco meglio andiamo con Fernando Ravaro, che nel compilare meticolosamente il suo Dizionario romanesco (Roma, Newton Compton, 2005) spiega che nel dialetto della capitale, da tempo immemore si registra l’espressione  ‘arifilà ‘na bufola’, per intendere l’atto del rifilare al malcapitato di turno l’imperituro ‘pacco’.

Poi c’è quella storia –ed è la versione più accreditata- che siccome che le bufale hanno l’anello al naso e non brillano esattamente per autonomia e intraprendenza, vengono prese letteralmente, appunto, ‘per il naso’ così come coloro ai quali si può rifilare qualunque fesseria.

bufala1I più anziani (ma anziani assai) ricorderanno certamente le bufalate, le competizioni seicentesche che vedevano gli ingombranti bovini correre come se non ci fosse un domani per le strade di Siena, all’occorrenza mascherate a festa, e dunque potenzialmente ingannevoli.

Per sfatare ogni nazionalismo presunto o reale, varchiamo il confine italico e arriviamo in terra di Albione dove la parola bufala trova il suo corrispondente nel termine inglese, hoax che deriva a sua volta da hocus pocus (una specie di simsalabim, diciamo) la formula magica usata dagli illusionisti durante i loro spettacoli nell’atto di ingannare l’occhio degli spettatori.

Il gioco potrebbe andare avanti all’infinito: anticamente i cacciatori si travestivano da bufale per assicurarsi un opulento bottino di caccia, direbbe qualcuno, qualcun altro opporrebbe che –più semplicemente- la bufala è solo una mozzarella sotto mentite spoglie.

Personalmente -e non solo perché ho il dono di risolvere sempre il cruciverbone del di lui padre, delirio e sgomento dei frequentatori abituali de La Settimana Enigmisticasposo la versione di Stefano Bartezzaghi che ricorda ai suoi lettori che bufala è l’anagramma di fabula (frottola, diceria, chiacchera) invitandoci ad accogliere ora e sempre lo spelacchiatissimo lupus in bufala.

di Sarah Galmuzzi

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