Rosso sul pesce…

Con le portate di un pesce che non si conosce è sempre meglio provare il vino bianco e quello consigliato al momento dal sommelier va sicuramente bene. Dove manca questa importante figura si può chiedere consiglio al maître o al cameriere. Ma quando si ordina un pesce che si conosce già, le sue dimensioni e il modo di cucinarlo, allora si farà senz’altro ricorso all’esperienza. Chissà quanti bianchi avremo già assaggiato e gustato, perciò ciascuno sicuramente sceglierà il preferito. Nove su dieci è il ”mangiarbere” più sano, siamo un paese ricco di torrenti, fiumi, e laghi, con migliaia di chilometri di splendide coste sul mare e una ricca tradizione di pesca, con ristoranti e trattorie dal suadente profumo di ottima cucina a base di pesce.

Ho osservato spesso i pescatori della Liguria verso sera, quando preparavano le barche, le reti o le canne da pesca e, quando non disturbavo troppo, ci potevo scambiare un paio di chiacchiere. Con la canna possono resistere fino anche all’alba sulla spiaggia o sugli scogli e sulle barche non sempre si torna a riva la mattina successiva, perciò sono sempre stato curioso di scoprire cosa mangiassero e cosa bevessero in tutto quel tempo con l’aria pulita dal soave profumo salmastro. Che sorprese! Fra i pescatori anche più esperti e anziani, in certe regioni è più frequente bere vino rosso anche sul pesce appena pescato che si arrostisce o si frigge a bordo della barca. Ho voluto provare anch’io e se qualche volta potevo stare certo che la scelta del rosso era d’obbligo solo perché in genere si porta il vino di casa oppure quello che costa meno, molte altre volte ho capito che alcuni sceglievano un rosso particolare perché si sposava bene con quel pescato.

Non mi sarei mai aspettato però d’incontrare una cultura che sul pesce beve normalmente sia bianchi sia rossi senza troppi fronzoli, purché siano vini buoni e piacevoli. In quel di Comacchio si usa da sempre il rosso delle sabbie del Bosco Eliceo con certi manicaretti di ottime anguille o di pesciolini delle Valli. Nel mondo di tradizioni asburgiche, per esempio in Venezia Giulia, in Istria in Dalmazia, la cultura del vino rosso sul pesce è di casa, infatti in tutta la costa rocciosa dell’Adriatico orientale si trovano vini rossi di grande freschezza, da bere a temperatura di cantina e non ambiente, capaci di sciogliere il salmastro e quegli aromi fragranti e generosi che si combinano bene con quelli del pesce, meglio dell’acqua, perché anche in pancia ci nuoterebbe.

Decisivi sono i profumi, i sapori e i retrogusti, non il colore del vino, che può piacere di più anche se è diverso dal bianco. Sono meglio i vini che non hanno la complessità e la profondità di sapore e di struttura, ma in ogni regione se ne troveranno diverse varianti, purché rispettino l’unica regola aurea degli abbinamenti fra vino e cibo: nessuno dei due sapori deve prevalere sull’altro. Perché a far bene alla salute non c’è solo il vino, ma anche il pesce ed è veramente un piacere gustarseli in perfetta armonia, come avviene nei matrimoni d’amore, per la goduria di tutti i convitati della tavolata, dai più piccoli fino ai più anziani.

Non teorizzerei l’andar contro le regole, il mio è soltanto un invito a provare. La qualità dei bianchi negli ultimi dieci, quindici anni è notevolmente migliorata, abbiamo vini di gran classe, personalità marcata, sorprendenti aromi e sono piacevolissimi da bere a pasto, a cena e a tutte le ore. Anche i rosati si sono affinati e ingentiliti scrollandosi di dosso qualche grado di troppo e diventando beverini e gustosissimi. Ma qualche volta, quando si trova il rosso giusto e che pulisce bene la bocca, perché non provarlo? Il bello è che nella noia il vino non ci lascia mai. Ci sono anche vini che, in punta di piedi e senza nessuna pretesa di miracolare, si fanno bere con gran piacere perché sanno comportarsi meglio a tavola, cioè là dove si gode in allegra compagnia un sostanzioso desinare e si sfatano spesso i miti e i luoghi comuni, piuttosto che nell’anticamera dei concorsi a punteggio sotto le luci della ribalta.

Qualche decina di anni fa imperava un vero e proprio luogo comune a tavola, cioè ”con la carne ci vuole il rosso, con il pesce ci vuole il bianco”. Ancora non capisco perché quando eravamo bambini ci ripetevano che l’erba voglio cresce soltanto nel giardino del re, e da quando siamo diventati adulti ci vorrebbero ancora imporre un’altra regola tanto dispotica. Per la carne è stato sicuramente più facile infrangerla, anche perché ci sono dei vini bianchi stupendi per le delicate carni bianche, di cui la dieta mediterranea fa largo uso, come preferivano le nonne e le bisnonne che con il vitello tonnato e con il pollo in gelatina sceglievano i vini bianchi (purché ottimi e di grande personalità); perciò con il tempo si è preferito aggiustare la regola per la carne, sostituendo a quel ”vuole” un verbo più elastico e oggi sarebbe meglio dire che la carne ”predilige” il rosso.

Per il pesce, invece, il discorso è più complesso. I frutti di mare e i crostacei, certi gamberetti e pesciolini delicati come le sogliole o il pesce d’acqua dolce (solo per fare degli esempi) in alcune ricette preferiscono i bianchi più nobili e di carattere e, quando possibile, strizzano l’occhio alle bollicine. In Friuli Venezia Giulia ne hanno a bizzeffe, non si fatica certo a scegliere. In altre ricette, però, come la serie dei fritti e degli impanati, già si opterebbe per i rosati e i ramati, mentre i pesci grigliati o abbrustoliti, ma anche in salse tipiche come le seppioline in umido, i moscardini affogati, le zuppe di pesce nelle singole varianti regionali, possono essere abbinati anche a dei rossi giovani e cristallini, freschi di cantina o anche freddi a seconda del tipo di vino e perfino frizzanti.

Qualche esperienza personale, a partire dall’ottobre 1980, ce l’ho pure avuta. Sia ben chiaro, allora l’italica sommellerie era ancora in fasce, oserei dire anche dipendente dalle regole dei tre ”Curiazi” parigin. I nostri tre “Orazi”, cioè Arnaldo Marini, Giuseppe Vaccarini e Pino Khail, dovevano ancora battersi a fiorettate, quando non a sciabolate, con i galletti d’oltralpe per demolire quei loro pregiudizi ormai avvolti da ragnatele secolari. Sono stato uno dei primi e dei pochi a sostenerli. Provai la prima volta con le trotelle al blu, con le acciughe salate comprate però intere e da me stesso aperte, diliscate e pulite, con pezzi d’anguilla in umido, con il cacciucco alla livornese, gli scampi alla busara, moscardini al vino rosso o il risotto ai frutti di mare all’algherese, insomma mi feci le ossa.

Nel 1980 avevo vinto un concorso con una ricetta abbinata all’Orvieto che mi ha portato al Castello della Sala in Ficulle, ospite per tre giorni del marchese Piero Antinori. Per documentarmi un po’ avevo letto l’aneddoto di un Papa che sul pesce abbrustolito del Trasimeno pretendeva il vino rosso giovane (e i Papi anche qualche centinaio di anni fa avevano a disposizione cuochi ed osti di provata fiducia). L’ultimo giorno arrivò anche Piero e durante il pranzo servirono anche un pesce abbrustolito da fare invidia anche a quel Papa. Perciò su quel ”brustico” avevo osato chiedere al suo direttore del marketing, l’indimenticabile amico Loris Scaffei, «ma non ce l’avete un rosso giovane al posto dell’Orvieto, che non riesco proprio a pulire la bocca?». Silenzio di tomba. Apriti cielo! Al tavolo c’erano gli altri vincitori del concorso, cioè dei sommelier, degli intenditori, nonché il professor Alberto Zaccone (analisi sensoriale a Pavia), ma il marchese sorrise, fece un cenno e arrivò in tavola lo stesso vino rosso che suo padre berrà qualche anno dopo con le zucchine lessate e un filo d’olio perfino alla festa dei 600 anni della sua casata di vinattieri, in una saletta saletta riservatagli apposta con la moglie. E Piero stesso, con mio grande piacere, nello stesso periodo aveva offerto a un centinaio di giornalisti un branzino con verdure al vapore di vino rosso in abbinamento con un giovanissimo rosso delle proprie tenute al ristorante… dell’Excelsior Hotel Gallia di Milano.

E a proposito di quel noto ristorante, permettetemi di citare Valentina Bertini, originaria di Spello come il mio amico Zampolini, la prima donna nominata dalla storica guida dell’Espresso come Sommelier dell’anno, in particolare del 2019 che in un’intervista rilasciata alla rivista Elle il 14 novembre 2018 aveva tranquillamente raccontato che «Qui all’Excelsior Hotel Gallia di Milano… per il nostro trancio di ricciola alla brace con una salsa che ha dentro anche della provola affumicata, abbino un Pinot Nero di Borgogna», mandandomi al settimo cielo.

Secondo me, a quelle parole dev’esserci stato perlomeno un subbuglio anche in paradiso, dato che il maestro di giornalismo Gianni Brera, ormai trasferitosi lassù, in un suo articolo del 1989 aveva dichiarato che «Da trent’anni bevo rosso con il pesce e me ne fotto che il divino Careme, arcicuoco francese, abbia stabilito che il pesce esige vini bianchi». E poi nell’ultimo raid in Friuli Venezia Giulia, con Fulvio Bressan abbiamo bevuto i rossi, gli ambrati e i grigi con i totani arrostiti, le capesante e le mazzancolle e con Antonella Cantarutti l’anguilla grigliata sulla piastra di ghisa, un abbinamento davvero molto gustoso.

Perciò vi esorto a provare. Un’unica accortezza: poiché il vino e il pesce non amano viaggiare, già qualche chilometro più in là cambiano sapori e profumi, un … matrimonio tra giovani della stesse ”parrocchia” o al massimo confinanti, magari in una locale ”cappelletta” alla buona, sarebbe più indicato. Buon Appetito!

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