Sassicaia, il caso e l‘immenso

SASSICAIA

Miles: Da quanto ti piace il vino?

Maya: Faccio sul serio da sette anni

– Qual è stata la bottiglia decisiva?

– Sassicaia ’88

– Complimenti, una grande bottiglia! Ora capisco, sì

(Sideways, 2004)

Sembra facile, e in fondo lo è, iniziare un percorso di racconti sul vino partendo da uno dei top wine assoluti, universalmente riconosciuti. Però altrettanto difficile è aggiungere qualcosa che non sia stato già detto.

Sassicaia, basta la parola. Il mito, la storia, la galleria dei successi arriva da sola, evocati alla memoria anche di chi beve distrattamente. Un vino simbolo di così tante cose da diventare un moto circolare. Aristocratico, ma profondamente figlio della terra; ricco, eppure nato in luoghi poco alla moda (per l’epoca); francesizzante – anzi, per i più bravi, bordoleggiante – ma – anche in una intervista recente (QUI) – il Marchese Nicolò Incisa della Rocchetta ribadisce che anche la provenienza delle viti fu da Migliarino Pisano (in fondo poche decine di chilometri da Carmignano, ma questa è un’ altra storia) , da una vigna di amici ai tempi dell’Università del padre. E per continuare: bramato da tutti, ma nato per consumo familiare; simbolico, mitico, ma per molti anni classificato come «vino da tavola»; artefatto o artificioso nella critica di alcuni, ma usato come orgoglio nazionale per riprenderci dalla batosta del “vino al metanolo”.

Si potrebbe continuare col gioco degli opposti ancora per molto, ma, invece, fermiamoci ad apprezzare la sinergia, e la coincidenza casuale, dei tre protagonisti di ogni grande vino. Un territorio, con le sue caratteristiche (tutte combinate: suolo, clima, giacitura, esposizione, e chi più ne ha, più ne metta, di parametri); l’uva, in questo caso due (il Cabernet Sauvignon e il fratello minore, Cabernet Franc, oggi intorno al 15%); e gli uomini, qui tre. Due principali il marchese Mario Incisa della Rocchetta che si innamora di queste uve francesi e le impianta in Maremma, in zone sassose che gli ricordano le Graves bordolesi, e il giovane enologo Giacomo Tachis; il terzo, laterale, ma fondamentale, è Piero Antinori, marchese pure lui, produttore di vino da sempre, cugino di Mario, e datore di lavoro dell’enologo. È Antinori che consiglia il giovane enologo con esperienze in Francia, proprio a Bordeaux «con un certo professor Peynaud», al cugino allevatore, socio dal 1932 di Federico Tesio – il più grande allevatore di purosangue della storia – nella Tesio-Incisa, scuderia che trionfò ripetutamente con cavalli diventati mitici, come Nearco, Donatello e Ribot.

SASSICAIA

Insomma un vino nato per gioco, e rimasto quasi cinquanta anni uno sfizio privato coltivato in una tenuta dote della moglie Clarice della Gherardesca, diventa, grazie agli incroci del destino, un caposaldo assoluto. E il destino, anche dopo 10 anni dalla modernizzazione della cantina (e non ci allontanerà dal vero a pensare alle difficolta e agli attriti tra un marchese di inizio secolo e un giovane e caparbio tecnico, nel trambusto sociale degli anni intorno al ’68), rientra in gioco. È quasi per caso che nel 1978 a Londra Hugh Johnson, all’epoca maître à penser assoluto del mondo del vino, inserisce lo sfizio del Marchese, in una degustazione dei migliori Cabernet del mondo assaggiati alla cieca. Il Sassicaia trionfa sui blasonatissimi bordolesi e sui modernissimi californiani: la favola, la magia è compiuta: il gioiello di Tenuta San Guido ha consacrazione assoluta.

Lì insomma si manifesta il prodigio, ma è davvero suggestivo pensare che senza uno solo degli elementi di cui sopra, degli intrecci casuali tra assaggi in campagna, eredità, cugini e enologi, oggi non avremmo il Sassicaia: la grandezza, la meraviglia, nate dal caso.

Follia sarebbe, a questo punto, tacere della meraviglia stessa, di questo sublime incastro del caso, tanto più che a novembre scorso il millesimo 2015 ha trionfato nella Top 100 (QUI) di Wine Spectator. Non avendolo assaggiato di persona lascio la descrizione ai redattori della rivista: «Ricco e concentrato, questo rosso presenta profumi di ribes nero, mora, viola, e poi sentori minerale e speziati. Denso ma vivace, strutturato ma impeccabilmente equilibrato, con acidità vibrante che guida il lungo retrogusto fruttato. Il legno è splendidamente integrato. Da bere al meglio dal 2023 al 2042».

SASSICAIA

Dei miei assaggi di Sassicaia ricordo una 2012 assai verticale, possente ma acuta, una 2005 profondissima, sapida e concentrata, una 2001 raggiante per complessità ed equilibrio, materica ma fresca, sapida e lunga.

E di una verticale fatta con la presenza del Marchese Nicolò (erano 4 annate della decade ’90 di cui ho maledettamente perso gli appunti), ho comunque un ricordo abbastanza preciso riguardo alla potenza, alla finezza, alla complessità dei quattro protagonisti, offuscati però dalla perfezione della 1988 da Magnum, portata appositamente da Incisa della Rocchetta. Un assaggio indimenticabile: una sorta di rivelazione della perfezione; complessità, potenza, armonia e sovranità sul tempo fatte vino.

Insomma, come sentenziò lo stesso Tachis: «Un vino è eccezionale, quando ci si siede in poltrona, si degusta, si chiudono gli occhi e si vede l’immenso».

Come spessissimo capita con il Sassicaia.

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