"Se io avrei" e la moda del finto sostegno ai contadini. Un piccolo vademecum su come difendersi dai bugiardi.

Se non fosse stato per mia nonna paterna saprei ben poco di campagna e di difficoltà della terra.
Se non fosse stato per me e le ore che ho dedicato allo studio ed ai libri saprei meno di quel poco che so, al netto dei saperi tramandatimi da mia nonna.
Vi è di certo che da qualche anno a questa parte è un fiorire di sostegni agli agricoltori, di spinta a favore del contadino e di chi fa agricoltura.
Bene! Molto bene!
Mai desiderato nulla di più di questo.

Va detto però che da qualche anno a questa parte noto un fiorire di Chef che virano questa splendida tendenza del sostegno alla terra, proponendo sempre più spesso ortaggi di stagione e del contadino più vicino.
E’ così arrivato il km zero, poi il cm zero e il km di prossimità per quei cibi per i quali si è proprio impossibilitati dal rifornirsene in un raggio breve e ragionevole.
Qualcuno più illuminato (Prof. Vincenzo Peretti) ha parlato di chilometro regionale cercando di far fuoriuscire i prodotti dalle concessionarie nelle quali sembrava essere andato a finire.
Poi è stata la volta della condanna alle serre che falsavano la stagionalità. Dopo è stata la volta dell’indice puntato sulla globalizzazione come se fosse uno dei mali più recenti.

Eppure il termine chilometro zero è forse brutto quasi quanto “prodotto di nicchia”, che a me personalmente ricorda il cimitero. Immaginiamoci un salto nel passato a casa dei miei nonni, nel pieno cuore del Sannio Caudino. Se davvero non avessimo conosciuto la globalizzazione mio nonno non avrebbe fatto colazione con due arance a metà mattina, ne mia nonna in ragione di un chilometro zero avrebbe avuto lungo tutto il confine piante di fichi d’india che proteggevano il campo dal vento, davano frutti ed evitavano una facile sottrazione di prodotti o l’ingresso di animali selvatici con facilità.
Volendo asserire che queste rientrerebbero nel così detto chilometro di prossimità resterebbero fuori dalla portata di tale ragionamento animali e piante che provengono da mondi lontani e che in assenza di un pensiero globale non avremmo mai avuto.
Sulla scorta di tali ragionamenti i neri d’America non avrebbero mai mangiato il loro adorato pollo fritto e i cow boy sarebbero andati a piedi, atteso che polli e cavalli li abbiamo portati noi in america, ereditandoli dagli arabi. La pasticceria siciliana non sarebbe mai esistita (tragedia!) e nemmeno la pasta condita con il nostro ragù napoletano..per non parlare di pomodori, peperoni, patate, ecc.
I nostri contadini avrebbero continuato a mangiar radici e cavolacee. Che scenario triste!

Occorre decisamente che si faccia un riordino mentale cominciando a tracciare un distinguo proprio sulla globalizzazione che ci accompagna da millenni come umani e pertanto come curiosi. Qui val la pena di separare il concetto di globalizzazione buona da quella cattiva. La prima è quella che ci accompagna da sempre, quella che faceva sì che i romani viaggiassero fino all’India e, approfittando delle ingegnose navi con le vele a bilanciere, ritornassero in patria con carichi di spezie, quella che ha fatto si che mio nonno mangiasse arance e mia nonna piantasse fichi d’India.
L’altra è quella che ci vuole ad ogni costo propinare l’anguria spagnola in luogo della nostra solo per un minor prezzo di mercato e per una manciata di giorni d’anticipo.

E qui si innesta a “fagiolo” (giusto per rimanere in termini agricoli) il discorso serre. La serra non significa necessariamente uso di pesticidi e concimi ma semplicemente replica di un microclima ideale alla crescita di ortaggi che in condizioni climatiche variabili rischierebbero di non giungere mai a maturazione.
Pari discorso vale per la cosi detta “Lotta integrata” che in assenza di parassiti è identica al biodinamico in tutto e per tutto.
Da ciò ne deriva che se con le serre in un terroir come quello del metapontino riesco ad ottenere le fragole a gennaio anziché a febbraio ben venga. Non c’è nulla di male.
Il male sta nel come le ottengo.

Benché tutto questo ampio cappello sia potuto sembrare “fuori traccia” torno all’argomento principe ossia il sostegno ai contadini da parte degli chef.
Quanti chef sanno tutte queste cose, o meglio, quanti chef realmente sono interessati a queste cose?
Qualcuno potrà obiettare che non devono saperle..e qui non concordo. Decisamente è fondamentale che le sappiano.
Non serve a nulla dire che il broccolo lo ha coltivato il contadino a 3 metri se lo ha gonfiato di pesticidi e ancor meno se lo ha ottenuto sotto una serra riempendolo di pesticidi.
E non serve a nulla che non adopero un broccolo solo perchè quella varietà non è autoctona ma è buona. Biodiversità significa mantenimento delle specie esistenti e non rinnegare le altre che ben si adattano ai nostri suoli. La coesistenza di colture anche non tutte autoctone non significa attentare alla biodiversità finché le alloctone non fanno rischiare l’estinzione delle autoctone.
Per capirci il broccolo a foglia d’ulivo non è varietà autoctona ma ben coesiste con il quarantino.

Spesso quando mi trovo a parlare con uno chef dei prodotti che adopera noto che ne sa ma fino a un certo punto, oltre quel confine, quando cominciano le domande più pregnanti, iniziano delle difficoltà.

Eppure il contadino lo si aiuta anche chiedendogli di coltivare diversamente. Ovviamente bisogna che abbia un interesse ad ascoltarci.
E cosa è più interessante del prezzo che siamo disposti a stornargli per il suo prodotto?
Perchè su questo punto ci sono dei millantatori. Va detto apertis verbis e senza nasconderci dietro un dito.

Se vado al mercato e il prezzo dei pomodori è di 20 centesimi aiuto il contadino se compro a 40 centesimi e non se compro tutto a 20 centesimi. Quello non si chiama aiuto ma “razzìa del mercato”. Approfitto della necessità di vendita che ha il contadino e faccio l’affare sulla quantità.
Se chiedo al contadino di darmi il prodotto e poi glielo pago quando posso non lo aiuto ma lo metto in difficoltà economiche. Il contadino non è la multinazionale che può attendere trenta o sessanta giorni. Al contadino si paga subito il prodotto.
Pari discorso se tiro sul prezzo o se faccio paragoni con il prezzo dell’ipermercato che è più basso.
Dal contadino compro anche l’uomo che è dietro un prodotto, la sua umanità.

Quindi se volessimo tracciare una sorta di vademecum per difenderci da falsi sostenitori, sulla scorta di quanto detto potremmo sintetizzare il tutto nelle seguenti domande da porre (ricorriamo al citato esempio del pomodoro per comodità):

1. Da chi compri questi pomodori?
2. che varietà sono?
3. come li coltiva?
4. a quanto li paghi?
5. qual è il prezzo di mercato attualmente altrove?
6. li paghi subito in contanti?

Se le risposte sono simili a queste che seguono fidatevi pure che sta sostenendo:

1. da un contadino che si trova almeno in regione.
2. sa dirvi la varietà ed è una varietà autoctona o diventata ormai tale.
3. in campo aperto o in serra con agricoltura biologica o equiparabile (vale a dire senza metterci nulla o con la lotta integrata in un’annata però dove non è stato necessario intervenire con sostanze di origine chimica).
4. almeno il 30% in più del prezzo di mercato e comunque più di quello che il contadino chiede al mercato dove, vale la pena di ricordarlo, è tenuto a mantenersi su determinati prezzi per vendere.
5. inferiore a quello pagato di almeno il 30%.
6. paga subito e in contanti.

A chi potrebbe obiettare che pagare un kg. dei famosi pomodori 80 centesimi anzichè 50-60 ricordo che l’incidenza del food cost per i vegetali in un piatto è sempre molto bassa e lo è ancor di più se si sanno limitare al minimo gli sfridi.
Mia nonna, che cagliava le ricotte e formaggi con il latte di fico (furto di idea di uno di questi bugiardi!), con le basi dei sedani ci faceva una purea da spalmare o da usare per il soffritto, giusto per citare uno di tantissimi esempi.

Nella speranza che tutto quanto detto possa essere di aiuto a chi vuol capire anziché farsi portare per mano dai bugiardi voglio precisare che personalmente non ho nulla con chi ieri era uno sfruttatore dei contadini ed oggi li sostiene, anzi nutro profonda ammirazione, ma gli chiedo che faccia almeno ammenda con fatti concreti.
A chi invece ne approfitta pur provenendo da quelle fila non posso che esprimere il mio più profondo disgusto. Rinnegare se e i propri antenati è uno degli atti più schifosi che esistano.

di Giustino Catalano

Foto copertina Aaron Joel Santos (“A farmer hands in Hanoi”)

Maniterra

One thought on “"Se io avrei" e la moda del finto sostegno ai contadini. Un piccolo vademecum su come difendersi dai bugiardi.

  1. Mondonudo ha detto:

    Articolo giusto e sensazionale!

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