Selinunte e la sua asta del pesce

Nessuno sembra avere memoria di quando sia iniziato l’incanto a Marinella di Selinunte, ma sicuramente è una tradizione dalle antichissime origini, che mantiene ancora oggi un fascino tutto particolare. Questo borgo marinaro sonnecchia sotto le imponenti vestigia dell’antica Selinùs, il cui glorioso passato e la cui potenza commerciale sono ancora visibili nell’imponenza dei templi e degli altari sacrificali, che si stagliano maestosi alle spalle di Marinella. Selinunte, la più lontana delle colonie fondate dai Greci tra il V e il III secolo a.C., ha dominato sul Mediterraneo con i suoi cinque porti commerciando il cotone, la canapa e il grano coltivati tutt’intorno alla città. Per lungo tempo è stata una potenza incontrastata ma, a causa dei cartaginesi, fu distrutta e cadde poi in un oblio infinito.

Meta dal sapore nostalgico, lambita da meravigliose acque cristalline, oggi Selinunte è conosciuta per il suo parco archeologico, sempre attivo negli scavi, alla ricerca di nuove magnificenze da riportare alla luce dal glorioso passato.
Tuttavia una volta giunti qui, non si può non rimanere affascinati dall’autenticità di questo borgo marinaro e dai suoi pescatori, che nel corso dei millenni hanno solcato le limpide acque in cerca del pescato migliore: triglie, mazzancolle, sugarelli, sgombri, sogliole, sardine a acciughe in estate, orate, spigole, dentici, rombi, ricciole, nel periodo autunnale che è quello più pescoso, Un duro lavoro che parte da lontano e la cui memoria dei più anziani ricorda solo la fatica e la durezza dei padroni della barche dove non dovevi mai parlare ma solo “faticare”.

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Marinella di Selinunte ha preservato la sua autenticità mantenendo i vecchi stili di pesca con le sue reti da posta che vengono calate e poi recuperate senza rovinare il fondale marino e un porticciolo di piccole dimensioni: una scelta per tutelare la comunità locale e mantenere la cooperativa viva coinvolgendo i giovani a continuare il lavoro dei propri genitori. Le sarde la fanno da padrone in questo mare e vengono cotte, come una tradizione antichissima impone, infilzandole nelle “spitu” e poi arrostite sulla brace per mantenere tutti i preziosi Omega 3, lasciando però colare il grasso oppure cucinate “alla beccafico”, ossia ripiene di mollica, cipolla, aglio, uva passa e poi fritte. Ma la varietà di piatti che offre la tradizione locale per cucinarle è molto più variegata.
Raccontano i pescatori più anziani che prima dell’avvento delle cosiddette lampare, le barche andavano a remi o a vela, ma se non c’era vento si spingeva anche con le braccia per farle uscire e poi venivano issate sulla battigia a forza.
Oggi con le lampare a motore è tutto molto più semplice; si accendono le luci per un paio d’ore in modo che il pesce venga attirato sotto le imbarcazioni, poi si calano le reti, contando le cosiddette anelle, che dipendono dalla lunghezza della rete, finché, terminate, si inizia a tirare con il cavo d’acciaio così che la rete si chiuda e i pesci non trovino più la via di fuga.
Ricordano anche che esisteva un’importante industria ittica, i cosiddetti “salati”, la più grande della costa, con cui le sarde venivano messe sott’olio e sotto sale da imprenditori palermitani: una ricca attività del passato che ora non esiste più a causa della concorrenza con Sciacca.
Ogni mattina, nel silenzio dell’alba, riecheggia l’inconfondibile borbottio dei pescherecci che rientrano al molo con il pescato della notte e la stanchezza di chi vive alternando veglie e sonno in base ai ritmi del mare e ai suoi capricci. Dopo una notte di duro lavoro, i marinai selinunitini fanno rientro nel porticciolo, trasportando cassette di pesce fresco dal sapore unico. L’incanto ha luogo sul molo a ridosso del paese, tra la curiosità dei turisti, l’assembrarsi delle massaie e dei ristoratori locali in cerca del meglio per il menù del giorno.
L’asta si svolge in maniera molto semplice e spontanea: i pescatori a turno mostrano il loro pescato disponendolo su una banchetto di alluminio su cui troneggia Giovanni, l’abbagnatore in dialetto siciliano che, partendo da un prezzo base, spinge gli acquirenti a contendersi i pesci migliori. Ce n’è per tutti i gusti: per chi ama il pescato “povero” fresco, ancora saltellante e più a buon mercato e chi invece punta a gamberoni, aragoste e astici, che disperatamente cercano
la via del mare, ignari del loro destino ormai compiuto. I potenziali acquirenti possono aggiudicarsi il pesce alzando la mano, “incantando” così il prezzo, proprio come se fosse un mercato d’altri tempi.
Come dicono i pescatori, dentro il mare c’è tutto: alcuni di loro non sono certi se siano nati in mare o a terra, ma certo è che hanno visto la storia di questo territorio cambiare in meglio e in peggio molte volte. Selinunte ha una vocazione ancestrale per il commercio, che mantiene viva ancora oggi incantando, con il suo mare e il suo imponente passato, avventurieri, turisti e curiosi in cerca di antiche tradizioni, autenticità, poesia e leggenda. Un posto incantevole, dove il sole tramonta alla spalle di maestosi templi e altari sacrificali e dove il mare diventa un brulichio di luci di lampara ogni sera appena cala la notte.

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