La felicità a Guardiagrele? Le “Sise” delle monache!

Le Sise delle monache

Esistono posti che ci vai solo per due motivi. Per caso o perché hai deciso di farlo.
Sono posti dove non vi si passa per spostarsi da un luogo all’altro, né sono noti un attimo prima che scopri di esservi giunto o di avere un reale interesse ad andarci.

Di questi posti la nostra bella Italia ne è piena.
E come per tutti, una volta che vi giungi te ne innamori perdutamente e non scompaiono mai più dalla tua memoria.

Guardiagrele è, per quel che mi riguarda, sicuramente uno di questi.
Ancorato a mezza collina nel Parco della Majella con un panorama mozzafiato che affaccia sulle tre cime di Murelle, Acquaviva e Focalone.

Il piccolo abitato del centro, che è sede del Parco Nazionale della Majella, conta poco meno di diecimila abitanti, che di domenica mattina animano, assieme a un buon numero di turisti, le sue caratteristiche viuzze.

Io ci sono andato proprio di domenica e con un motivo ben preciso: le “sise” (che tradotto dal dialetto locale significa alla lettera “tette”).
Non è il caso di fare i malpensanti! Nessun tour del sesso, né tantomeno la curiosità di un cinquantenne, ormai attempato, verso forme femminili particolarmente generose, ma un dolce.
Un dolce molto antico del quale avevo letto in una pubblicazione di un Ente regionale di valorizzazione abruzzese che mi dicono ormai chiuso da qualche anno e che mi aveva incuriosito per la sua unicità.

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Così una domenica mattina, approfittando di una mia permanenza a Chieti, mi imbarco e vado.

La giornata, benché una delle prime di dicembre, è bella e assolata ed io mi inerpico lungo la collina che da valle conduce nell’abitato.
Giunto al centro fatico a trovare un posto finchè un simpatico signore  sulla sessantina, sorridente e cordialissimo, dopo avermi chiesto dove mi dirigo, alla parola “sise delle monache” mi lascia parcheggiare dinanzi al suo garage indicandomi la strada da percorrere a piedi ripetendomi più volte “vedrà! Ne vale la pena!”.

Percorro il vicolo delle monache, facendo caso alle innumerevoli lampade in ferro battuto che riempiono le strade, e giungo su un corso pieno di bei negozi aperti e un via vai di gente che passeggia.
Poco più in là, sulla sinistra salendo, la Pasticceria Emo Lullo successore di Filippo Palmerio – 1889- (www.pasticcerialullo.it ). L’agognata meta è lì.

Piccola e molto datata già dalle sue vetrine che ricordano vagamente quelle dei coloniali di una volta mi rapisce per due tipologie di dolci esposte in vetrina. Una dei due è lei!
Posto su un piattino rosso si erge questo generosissimo dolce che già dall’aspetto tradisce una particolare sofficità e opulenza. Tutto ricoperto di zucchero a velo.

Mi sia concessa, a questo punto, una digressione attraverso la mia memoria familiare e personale.
I dolci, a mio modesto avviso, si dividono in due grandi classi. Dolci da mangiare e dolci con cui combattere. Ai primi appartengono tutti quei dolci che possono essere consumati senza che resti palese traccia del misfatto.
Ai secondi quelli dove è impossibile non sporcarsi. Esempio di questi i bignè, gli sfincioni palermitani, i babà con la panna e tante altre delizie.

Ma torniamo alla Pasticceria Emo Lullo. Entro e devo ammettere che piombo indietro nel tempo sino agli inizi del secolo scorso. Due vetrine costeggiano le pareti del piccolissimo locale e in fondo, a poco meno di un paio di metri e mezzo vi è un bancone con dietro una scaffalatura con confetti d’ogni sorta. Non vedo le sise!

Una signora molto gentile mi dice “è qui per le sise?” al mio cenno con il capo va nel laboratorio retrostante il banco e torna con una piccola guantierina con su un gioiello di dolce e soggiunge “poi, qui sul banco c’è anche la spazzola”.
Fatico a capire il nesso tra le due cose ma sono troppo preso dal dolce.
Mi appoggio di lato mentre si avvicendano clienti che letteralmente danno i numeri e tra parole come “due”, “quattro”, “sei e due” mi avvicino al dolce.

Il sentore dello zucchero a velo si mescola con gli aromi della  crema gialla che appare generosamente dal taglio del bignè. Lo addento e mi ritrovo in una nuvola di zucchero mentre il boccone tradisce un pan di spagna soffice e di antica fattura e una crema con i sapori di una volta, quelli della nonna. Capisco il perché della spazzola! Ho la barba, il viso, la giacca tutti pieni di zucchero a velo.
Il Re dei dolci da combattimento!
Terminata la piacevolissima singolar tenzone con le sise delle monache chiedo informazioni. Mi viene indicato un cartello apposto a un lato e conosco il signor Emo Lullo, un giovane di meno di 40 anni, al quale chiedo notizie sul dolce e sulla pasticceria.

“Le origini delle “sise delle monache”, mi dice, sono incerte. “Lo zio di mio padre, Filippo Palmerio, aveva una rivendita di prodotti coloniali proprio accanto al Monastero delle Clarisse di Guardiagrele che confezionavano questo dolce per la ricorrenza di S. Agata. Poi con la chiusura del monastero la ricetta fu donata a Filippo Palmerio e da lui, che non aveva figli, a mio nonno, del quale porto il nome, sino a me. Noi la facciamo ancora oggi con gli stessi ingredienti e nella stessa modalità di allora, ma non mi chieda la ricetta perchè è segreta”.

Ed è bene che sia così! Nel proseguire apprendo che l’offerta della Pasticceria si sostanzia nelle sise, con una loro variante ricoperta di glassa, amaretti, pasta reale e il torrone croccante Aelion, un croccante classico con profumati canditi.

Tutto qui direste voi. Eppure posso garantire che non mi sarebbe piaciuto trovarvi di più. Saluto Emo ed esco e mi reimmetto su Via Roma lasciandomi portare dalle gambe e dalla curiosità.
Passo accanto alla Chiesa dell’Annunziata, ricca di affreschi esterni e interni, muovendomi tra bellissime gastronomie e negozi. Lì un mercato. Tantissimi i cardi e le mele pianelle, piccole mele verdi dai poli schiacciati, croccanti e profumatissime.

Guardiagrele ha una storia antichissima, ancora tutta evidente nelle sue vestigia. Edifici medioevali e antiche Chiese. E’ la città del ferro e del rame battuto e del rilancio della “Presentosa”, un gioiello, finemente cesellato, adoperato dalle donne abruzzesi come orecchini o pendaglio delle collane. Ha trascorsi di Zecca.
Qui Il Re di Napoli Ladislao Durazzo della Casata degli Angiò, fissò la sede per l’emissione del Bolognino, moneta medioevale in uso a quel tempo in tutta Italia.

Questa Guardiagrele. Bell’abitato con tante cose da vedere e da provare e dovunque gente sorridente, cordiale, disponibile, ma di quello saranno responsabili anche le sise delle monache. Ne ho le prove.

di Giustino Catalano

 
 

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