Surimi. Storia di un prodotto assemblato.

Surimi

Ogni anno si producono nel mondo circa tre milioni di tonnellate di surimi, equivale al 2/3% del mercato del pesce nel mondo. Sono numeri importanti in soldoni, un giro di affari che supera trilioni di euro. I paesi dove si producono più quantitativi e dove se ne consuma di più sono Stati Uniti e Giappone, ma l’Italia non è molto indietro nel consumo del surimi stesso e dei suoi derivati. Molta gente è convinta che sia polpa di granchio o polpa di crostacei anche di pregio per via del colore che inganna e del gusto.

Ma cosa è il surimi? Il surimi è un piatto di tradizione orientale. I primi cenni storici risalgono a molti secoli fa in Cina, nella regione del Fujian, dove venivano prodotte delle polpette simili come pasta di pesce utilizzata in una zuppa chiamata geng, ma i primi testi che parlano di surimi risalgono a quattro secoli fa in Giappone dove la preparazione e la Cultura del surimi è totalmente diversa da quella che conosciamo noi. Innanzitutto loro utilizzano come pesce un merluzzo dell’Alaska, l’Alaska Pollack, a differenza del surimi che conosciamo noi che utilizza scarti di ogni sorta di pesce, raramente e per produzioni di nicchia vengono usati pesci più nobili.

Il pesce veniva poi trattato a mano con frequenti lavaggi in acqua fredda e composto pressato in una forma di torta, ricoperto di sale e cotto al vapore.

Il processo di industrializzazione del surimi che conosciamo noi risale al 1969 e l’idea venne realizzata proprio da un giapponese di nome Nishitane Iusuke.

Ma come avviene la preparazione del surimi oggi?

La produzione del surimi avviene in due fasi. La prima ha luogo in mare, a bordo delle navi-officina, dove il pesce viene pulito e sfilettato. I filetti sono tritati, lavati più volte in acqua dolce e pressati. Con l’eliminazione delle proteine solubili, del sangue, del grasso e dei tessuti connettivi si arriva ad ottenere una pasta bianca priva di gusto, ricca di proteine e povera di grassi, la cui resistenza al freddo viene migliorata con l’aggiunta di composti quali i polifosfati, lo zucchero e il sorbitolo. A questo punto la pasta è pronta per essere tagliata in blocchi da 10 kg che vengono congelati a -30°C

La seconda fase del processo avviene a terra, quando il surimi arriva allo stabilimento di lavorazione. Dopo una serie di controlli (bianchezza, coesione dei gel, purezza microbiologica e cosi via ), vengono aggiunti al surimi vari additivi, fecola di patate o amido di grano, bianco d’uovo, olio sale, sorbitolo, solfato di calcio, aromi (naturali o artificiali al gusto di granchio, di gambero, di aragosta o altri ancora), coloranti per dare alla superficie del surimi quel tipico colore arancione normalmente si utilizza la paprika dolce. La pasta poi viene stesa in uno strato sottile e cotta a vapore, per assumere quindi la forma definitiva, solitamente viene arrotolata e scarificata. La lavorazione si conclude con la pastorizzazione ed il condizionamento.

Possiamo dire che è buono? Lasciando perdere i sofismi va detto che la sua qualità dipende molto dalla cura con cui è stato preparato e dagli ingredienti utilizzati. Aromi scadenti daranno un surimi mediocre; troppa fecola lo renderà pastoso. Il dato che non viene realizzato dal consumatore fuorviato dalle piccole dimensioni e pesi delle confezioni vendute è che il prezzo si aggira dai 15 ai 20 euro al kg, prezzo che ci permette di acquistare pesce molto più nobile e nutriente, meno lavorato in una comune pescheria d’Italia.

Detto ciò, questo non toglie che non possiate mangiare il surimi se lo amate, è comunque un prodotto sicuro sotto il punto di vista sanitario, fatta eccezione per quei casi di aziende che non seguono le prassi di controllo e monitoraggio della conservazione, ma sono casi e non prassi, come possono avvenire in qualsiasi ambito dell’agro alimentare e non solo.

Se vi piace ma volete gustarlo come si deve il mio consiglio è trovare un ristorante giapponese nelle vostre città dove viene prodotto in casa secondo la loro tradizione e con l’uso di pesci molto più nobili.

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