Svizzera: i vini arrampicati

D’estate, quando disperatamente si cerca il fresco, molti pensano alla vicinissima Svizzera. Cime che toccano il cielo, laghetti che sembrano dipinti, gli allegri campanelli delle mucche al pascolo per fare il gruviera e un gustosissimo cioccolato…. una sensazione di fresco che fa venire l’acquolina alla bocca e la voglia di saltare in macchina e passare il confine.

Una volta lo facemmo con mio padre, quando volle fare il rodaggio della FIAT 850 appena comprata (eh…si, saranno circa sessant’anni fa!) e passammo quattro giorni meravigliosi a scorrazzare nell’aria frizzante delle valli alpine più belle, da Lugano a Zurigo, poi per Basilea, Berna, Ginevra, Interlaken e lo storico, napoleonico passo del Sempione. Noi tornammo ristorati e freschi come una rosa, mentre a Milano avrebbero venduto l’anima al diavolo per disfarsi dell’afa.

Paese di prodotti straordinari, oltre a cioccolato e gruviera anche i migliori servizi bancari del mondo, orologi di alta precisione, e…. (chi l’avrebbe mai detto?) vino. E che vino! In questo paese bello per le sue alte montagne ci sono vigne che si arrampicano come provetti alpinisti, in poca terra strappata ai dirupi si producono più di ventimila tipi di vino, secondo i calcoli dei collezionisti di etichette. Interessante è anche il numero degli Svizzeri benemeriti dell’enologia, scienziati e ricercatori di nuove varietà, come il professor Hermann Muller, pionieri che hanno trapiantato vigneti in Australia, Nuova Zelanda, Sud Africa e come il primo commerciante di vino in America, J.D. Dufour.

Ma se sono tanto buoni, perché si sente parlare poco di questi vini svizzeri? Perché il vino prodotto in Svizzera molto difficilmente passa il confine. La produzione locale, di alta qualità negli ultimi anni, copre appena il 40% del fabbisogno interno, perché gli svizzeri amano molto il vino e ne importano veramente tanto. Si sa poi che dei vini ”assenti” sulle piazze che contano nessuno può certo ricordarsene. Bisogna proprio andarci, per berne, senza spaventarsi dei prezzi perché in genere sono di alta qualità, ma non per tutte le tasche.

La ricostruzione dell’enologia svizzera con il suo radicale ricollocamento nell’ambito della qualità è iniziata soltanto dopo la seconda guerra mondiale e molto energicamente, sebbene all’inizio non senza errori, collegati all’abuso di prodotti chimici e di maltrattamenti meccanici. Oggi la coltivazione delle viti e la produzione del vino sono immerse in un vero e proprio sistema ecologico protetto, nel pieno significato della parola. Molto brevemente è un modo di  vinificare che consiste nella non ingerenza nei processi naturali che vengono sfruttati in modo ottimale e aiutati soltanto in caso di estremo bisogno. Grazie a questa mentalità lungimirante i vini della Svizzera hanno ottenuto negli ultimi anni un alto livello di qualità.

Questo Paese è bellissimo, le sue montagne, le valli, i laghi e le cascate hanno ispirato i migliori poeti, scrittori e letterati che vi si sono recati per il clima molto salubre. Ma per le viti è proprio il clima più adatto? Se esaminiamo una mappa del mondo con le aree più significative per la coltivazione della vite, vediamo che la schiacciante maggioranza sono comprese tra il 30° ed il 50° parallelo, sia nell’emisfero boreale che in quello australe. Esaminando le caratteristiche delle vigne svizzere, scopriamo qualche dato interessante.

Le vigne svizzere sono comprese tra il 45° ed il 48° parallelo. Ma la fascia geografica è solo uno dei coefficienti, un altro è l’altitudine sul livello del mare. La vite normalmente non ama superare i 600 metri, però le eccezioni possono essere molto significative. Sulle Ande, e non scherzo, ci sono vigne oltre i 2.000 metri e le più alte d’Europa, proprio in Svizzera nel Visperterminen, non lontano dal Matterhorm, raggiungono i 1.100 metri e la migliore del Vallese supera i 750 metri. I terreni qui sono i più svariati, argillosi, calcarei, ghiaiosi, scistosi, pietrosi, inframezzati di detriti rocciosi e la vite si arrangia in tutti senza grossi problemi. La temperatura media annuale è intorno agli 11°C, ma in luglio per assicurare una piena maturazione delle uve a queste altitudini deve raggiungere e anche superare i 18°C. Nel periodo vegetativo i ceppi congelano a -2,5°C, mentre in inverno la loro resistenza al freddo cresce. Le gemme però muoiono a -12°C, mentre i nuovi getti a -16°C. La sensibile escursione termica autunnale favorisce una lenta maturazione degli acini che permette uno sviluppo molto ricco di tutti i profumi ed è la fonte della finezza del sapore. La minima razione di sole richiesta dall’uva è di 1.500/1.600 ore all’anno, di cui almeno 1.200 nel periodo vegetativo. Conta molto anche l’angolo d’incidenza dei raggi del sole e dunque l’orientamento dei pendii e la loro pendenza che in alcune vigne raggiunge l’85%.

La vite richiede infine, in condizioni normali, circa 600 mm/mq di pioggia l’anno, parametro che però cambia a seconda della composizione del terreno e della località, comunque oltre i 900/1.000 mm c’è pericolo di erosione del terreno e di altri danni. In montagna ogni singolo pendio è diverso da tutti gli altri, accumula e restituisce diversamente il caldo, le valli sono illuminate diversamente e possono essere inoltre riscaldate in modo vario da piccoli e grandi laghi e dal vento caldo Foehn. Tutti questi coefficienti dimostrano che in Svizzera non si può parlare di un clima, ma di un mosaico di microclimi, che possono sviluppare condizioni particolarmente adatte all’uva da vino in posti molto favorevoli ed è per questo che la gamma dei vini svizzeri è tanto ricca e diversificata. L’area complessiva dei vigneti svizzeri si estende su poco meno di 15.000 ettari, 2.500 dei quali sono stati piantati negli ultimi cinquant’anni, la maggioranza nei cantoni di lingua francese (35% Vallese, 26% Vaudese, 9% Ginevrino e 4% Neuchâtel). E’ utile ricordare che nei restanti 2/3 del paese, di lingua tedesca, si coltiva solo il 20% dei vigneti e nel canton Ticino di lingua italiana il 6%. La produzione complessiva è di oltre 80 milioni di ettolitri, metà bianchi e metà rossi.

La Svizzera è indubbiamente un piccolo paradiso anche per gli ampelografi, tenuto conto del fatto che la maggioranza delle varietà coltivate sono autoctone e non se ne trovano da altre parti. Sembrerebbe, data la condizione geografica, che siano più adatte quelle a maturazione precoce, ma con queste grandi differenze microclimatiche e con le rocce vicine a riscaldare i ceppi, certi terroir danno dei risultati meravigliosi proprio con le più tardive. I due vini maggiormente diffusi sono il bianco Chasselas ed il rosso Pinot Noir, che rappresentano i 2/3 dell’intera produzione vinicola svizzera.

Per il bianco Chasselas occorre ricordare che è talmente diffuso (37% di tutto il vino svizzero) da assumere, a seconda dei posti, nomi diversi in etichetta. A Ginevra lo chiamano Chasselas de Genève ma anche Perlan perché è un po’ perlato, nel vallese Fendant, a Neuchâtel prende il nome della città, nel Vaudese prevalgono i nomi locali con l’aggiunta a volte di Chasselas o di Fendant, nei cantoni tedeschi lo chiamano Gutedel. Poiché in molti casi si è cominciato a scrivere in etichetta il nome del vitigno, qui è venuto fuori un vero parapiglia. Alcuni trattano la parola Fendant come definizione di un tipo di vino, altri come equivalente del vitigno Chasselas, altri ancora come una delle varietà di questo tipo di vitigno…. ragazzi, mettetevi d’accordo! Non ha senso spaccare il capello in quattro, basta ricordare che il nome è famoso perché la qualità è ottima e indica lo stesso ceppo, lo stesso vino, anche se è diverso a seconda del territorio in cui è prodotto, perché lo Chasselas ha come sua caratteristica principale un carattere bonario, entra subito in simbiosi con l’ambiente che lo circonda e nella sua uva qui si trasmettono, più che in altre, i profumi e i sapori locali, non è insomma un vino che si mantiene freddamente neutro.

Ecco perché è divenuto largamente popolare come Fendant in tutta la Svizzera, senza contare le minime quantità coltivate anche nei territori confinanti di Germania, Alsazia e Pouilly sur Loire, dove però non ne fanno del vino ma lo gustano come uva da tavola. Tutto fa pensare che questo vitigno sia uno dei più antichi coltivati dall’uomo, dalla Mesopotamia all’Egitto e poi diffuso dai Fenici, fino a Costantinopoli e poi in Francia, da dove una particolare varietà caratterialmente diversa aveva passato il lago di Ginevra e si era diffusa nella Svizzera francese, una varietà tanto diversa da stupire per la trasformazione rispetto all’origine, esattamente come può essere avvenuto per i nostri Riesling Renano e Riesling Italico.

La vinificazione in rosso del Pinot Nero rappresenta invece il 30% del vino prodotto in Svizzera e più particolarmente in quella di lingua tedesca, pur provenendo dalla Borgogna francese al seguito di un principe impegnato quattro secoli fa nella guerra dei trent’anni. Pinot Nero e Gamay sono, come l’analisi genetica dimostra, gli antenati delle più importanti varietà europee. Ma tanto è umile e popolaresco quest’ultimo, quanto più è maestoso e superbo il Pinot Nero, anche se produce poco ed è capriccioso e meraviglioso nello stesso tempo, vinoso fino alla simpatia, vino d’amore e di passioni. Nella Svizzera tedesca lo chiamano anche Spätburgunder (come in Germania Blauburgunder, in Austria Clevner e in Alsazia Klevner). E anche qui, come per lo Chasselas bianco, prevale il microclima in tutte le caratteristiche organolettiche.

Diciamo che sono vini “arrampicati” sui fianchi scoscesi, ma anche sugli strapiombi terrazzati e abbiamo definito abbastanza bene la loro principale qualità, infatti come tutti gli alpinisti ognuno ha la sua tecnica e non ce n’è uno uguale all’altro. E qui torniamo a monte, alla piacevole frescura che ci hanno dato le montagne svizzere in pieno agosto, quando ci siamo soffermati a gustare questi ottimi vini con tutte le pietanze possibili e immaginabili di funghi (ebbene sì… proprio questa è di solito la ragione vera delle mie scelte di percorso alternativo alla fine delle ferie!).

 

Mario Crosta

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