Syrah The Firebird 2013 Ivo Varbanov

In Tracia (nel sud della Bulgaria) ci sono tre piccole aziende vitivinicole che usano per la vinificazione dei loro vini le stesse attrezzature di cantina e lo stesso brutto edificio industriale che ospitava l’ex-magazzino di una fabbrica di cucito: quella del pianista Ivo Varbanov, quella di Eolis Estate e quella della Bratanov. Tutt’e tre fanno parte dell’Associazione Bulgara dei Vignaioli Indipendenti e quindi della nuova, esemplare, ondata della vitivinicoltura bulgara che richiede un sacco di lavoro di ricerca, di studi del suolo, dei cloni d’uva e del sistema di coltivazione, ma che non ha grandi risorse finanziarie e deve perciò unire le singole piccole forze per rilanciare l’enologia d’autore rimasta bloccata per oltre mezzo secolo. 

Ivo Verbanov con la moglie Fiammetta Tarli

Anche il famoso pianista bulgaro Ivo Varbanov ha deciso d’ingaggiarsi anima e corpo in questo progetto ambizioso. Nato a Pleven in una famiglia di musicisti, ha girato il mondo fin da ragazzino. All’età di 9 anni era stato in Italia (la madre suonava nell’orchestra sinfonica di Sanremo), dove ha studiato a Milano con Ilonka Deckers. Oggi vive a Londra, dov’era stato ammesso alla Royal Academy of Music di Londra, anche se tiene concerti in tutto il mondo e impartisce lezioni presso numerose scuole di musica. Oltre all’amore (oserei dire ereditato) per la musica, aveva maturato proprio in Italia un’altra passione: il vino. A Londra fin dal 1994, con i primi guadagni aveva iniziato a cercare e a collezionare le migliori bottiglie di Francia e d’Italia e, quando questi erano cresciuti a sufficienza, aveva deciso d’investirli nel suo paese natale per fare il vino lui stesso. E così è ritornato finalmente per acquistare e piantare un vigneto di 9,7 ettari con la moglie Fiammetta Tarli, pianista anche lei, e da allora ci torna spesso a vinificare le proprie uve e acquistare nuove vigne, come i 3,4 ettari del 2008. Per il momento hanno un totale di 15,6 ettari di terra, ma sicuramente ne stanno acquistando degli altri.

È vero che Ivo trascorre la maggior parte del suo tempo fuori dalla Bulgaria, ma nel villaggio di Izvorovo ha affidato a Stancho Bangiev la cura delle vigne e dal 2011 ha scelto i coniugi Tanya e Khristo Bratanov e la loro cantina per vinificare con l’enologa Maria Stoeva, almeno per ora, i suoi vini. Hanno certamente stabilito una buona sinergia e traggono vantaggio l’uno dall’altro, dato che la loro comprensione del vino è molto simile, ma è Ivo che stabilisce i criteri e i protocolli di produzione. Rese bassissime, gestione organica delle colture con un prossimo passaggio alla biodinamica, fermentazioni spontanee e maggior enfasi sullo stile individuale dei vini sono solo alcuni dei suoi obiettivi. Il suo ideale è di arrivare a produrre al massimo 30-40.000 bottiglie l’anno (le prime sono comparse soltanto nel 2008) in una piccola cantina tutta sua, come produttore di vino a tempo pieno.

Ivo interviene spesso nella sua cantina-boutique per fare il vino ed è già considerato un astro nascente anche da Hugh Johnson e Steven Spurrier. Le sue vigne si trovano nell’agro del villaggio di Izvorovo sulle colline a sud dei monti Sakar e sono coltivate a marselan, syrah, cabernet sauvignon, cabernet franc, mavrud, chardonnay, petit manseng, fiano e viognier, le cui uve per ora sono vinificate nei locali della cantina Bratanov con la consulenza di enologi stranieri, tra cui Hayden Penny, Jess Weaver, Richárd Labancz, Amedeo Albano, Andrea Macchia e Luca D’Attoma.

La sua filosofia di vinificazione è piuttosto semplice: il vino dev’essere un autentico prodotto del terroir, con un approccio agricolo, non industriale, con sapori autentici e vicini il più possibile alla natura. Non ha bisogno di forzare il vino per inseguire le mode e far cassa, visto che si guadagna già la pagnotta con il pianoforte. Il suo vino, dunque, non è mai ”costruito” con la tecnica per ricevere l’applauso dei critici, ma nasce con la massima naturalezza e mantiene l’impronta territoriale in simbiosi con il genio del vignaiolo. 

Vigna di Syria

Volete un esempio? Non gli piace per niente l’incallita abitudine bulgara di produrre quei rosati scipiti (oserei dire delle ciofeche rosate) che sono lo spiacevole retaggio dell’enologia dei kombinat del regime precedente e che utilizza ancora varietà inadeguate e processi di vinificazione diversi da quelli mediterranei. Ivo ha provato a fare un rosato nel 2008 con uve di marselan, poiché la vigna era ancora troppo giovane per dei rossi e l’annata era stata per giunta estremamente siccitosa. Tutto un altro vino, tutto un altro criterio, usando un passaggio in rovere e senza chiarifica. Il colore era molto intenso tra il rosa e il rosso come un ”siller” ungherese, l’alcol e l’acidità andavano piuttosto su di giri e i tannini scalpitavano ancora. Eppure sul posto era pure riuscito a trovare la sua nicchia e i suoi fans. Avrebbe potuto migliorare secondo i suoi criteri, ma l’incendio del 2013 in quella vigna gliel’ha impedito e bisognerà aspettare parecchio per ripartire nella direzione desiderata. Ma intanto ha preferito specificare che un altro suo vino di colore rosato carico o rosso piuttosto scarico, lo Scaramouche (2/3 marselan e 1/3 syrah), non è un vino rosato per davvero, anche se lo sembra, non è quindi come gli altri e in etichetta ha voluto scrivere il motto ”ceci n’est pas un rosé” a caratteri cubitali.

La sua uva preferita è comunque il viognier che, come tutti i sui vini, ha bisogno però di affinarsi a lungo in bottiglia, tanto che è uno dei pochi bianchi che consiglierei perfino di decantare anche quando sono giovani perché Ivo non ha le strutture sufficienti per farlo presso di sé. Con i Bratanov ha provato farne un taglio con l’uva tamianika e il risultato è stato un vino più equilibrato e interessante, con un gran successo all’estero, ma che non ha lo stesso successo in patria, non corrisponde al gusto locale.

Vigna di Marselan

Bisogna dire che la Bulgaria aveva sofferto di oltre mezzo secolo di produzioni dal livello qualitativo sicuramente molto basso. Erano stati i produttori privati a riprendere fra tante difficoltà a fare il vino, ma sono stati poi relegati al ruolo di osservatori passivi del dibattito sulla rinascita dell’enologia, nonostante che siano proprio loro ad avercela in mano. A far circolare nuove opinioni, a proporre nuovi modelli di vino diversi dalle bevande alcoliche dozzinali della seconda metà del secolo scorso sono attualmente gli scrittori, i critici, mentre i produttori rivestono un ruolo secondario e questo è fonte di grande confusione perché la realtà della vitivinicoltura non corrisponde affatto a concetti importati dagli stereotipi europei occidentali.

C’è un’evidente mancanza di comunicazione e un’effettiva discrepanza tra ciò che i produttori di vino possono offrire e la domanda effettiva. Non si può vendere ciò che non si ha e c’è bisogno quindi di una migliore comunicazione tra i vignaioli e i wine writers, altrimenti si crea un’aspettativa irreale per quello che il Paese può offrire, con requisiti che i vignaioli non possono soddisfare perché al momento non sono in grado di produrre i migliori vini soltanto da vitigni autoctoni, in quanto quelli bulgari di qualità sono rari e c’è stata una battuta d’arresto significativa nel lavoro ampelografico specificamente dedicato alla selezione clonale per mezzo secolo.

L’ossessione per le varietà locali è interessante, ma è soltanto una chimera. Al momento nel sud della Bulgaria non si è in grado di produrre i migliori vini solo da vitigni autoctoni e, se non lo si capisce, si rischia di spingere la vitivinicoltura in una direzione sbagliata. La qualità dovrebbe sempre venire per prima, indipendentemente dalla varietà. La specificità del terroir non riguarda solo la varietà, ma è una combinazione di molti elementi importanti. Si potranno produrre vini varietali puri, ma occorrono decenni di sangue e fatica per la ricostruzione della vitivinicoltura secondo la qualità percepita dal cliente per la sua soddisfazione e non più secondo il dogma della quantità per invadere i mercati dell’Europa orientale a sostituire la vodka.

La Bulgaria non è un Paese in cui coltivare solo vitigni autoctoni su terreni ancora da studiare con portainnesti e sistemi di coltivazione da abbandonare e altri da sperimentare, ma è un Paese scientificamente vergine dal punto di vista della viticoltura e bisogna poter lavorare con vitigni e impianti diversi. È questa la biodiversità che deve esprimersi, perché è questo il volto della Bulgaria odierna, con gente ingegnosa che ha la fortuna di lavorare su terre che non sono così colpite dalle malattie delle piante come in altri Paesi produttori di vino. Non so se Ivo Varbanov sarà del mio parere, ma penso di aver interpretato il suo lavoro come esemplare in questa direzione. Sa l’italiano e leggerà questo pezzo, che è nato gustando The Firebird del 2013, un suo Syrah in purezza, un’uva che ha già provato a fare anche in diverse cuvées con il mavrud (come i due vini Violet Spring e A Fly in a Jar), con il merlot (come i due vini Queen of the Night e Sheherazade) e con il viognier (come il vino Arabella).

The Firebird del 2013 è 100% syrah vinificato e maturato per 36 mesi in botti di rovere diverse, parte in barriques francesi da 225 litri e parte in botti bulgare da 500 litri. È un vino fatto in modo tradizionale da una raccolta selezionata e di bassa resa, quindi ha un’impronta di carattere regionale che si esprime nella concentrazione e nel tenore alcolico potente, ma anche nelle differenze del tutto naturali fra le varie annate. La struttura del vino, infatti, qui non viene mai pianificata né forzata, ma si lascia lavorare la materia prima naturale. Di colore rubino scuro, molto saturo, con riflessi viola. All’attacco è piacevolmente speziato e il fruttato gioca su toni balsamici ed è più intenso che dolce. Aromi di mora e liquerizia emergono fra note di erbe aromatiche e un leggero alito fumé. Succoso, di trama rotonda e potente, eccellente acidità e un bell’equilibrio con i tannini ben integrati, è molto vivace e lungo. Lo servirei a 16-18 °C e ne lascerei volentieri una bottiglia dimenticata in qualche angolo della cantina, perché sembra più longevo di quanto ci si aspetterebbe da uno Syrah dei climi caldi, tipo quelli dell’Etna, anche se è uno Syrah diverso da quelli dei climi freddi, tipo Valle del Rodano. Si abbina bene con carne rossa e scura brasata o in umido con funghi, selvaggina di pelo e di piuma in salse nobili.      

Ivo Varbanov Wines

tel. +44.7956.377705

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