Terra Mia: Azienda Vinicola Arpepe

Antonia Maria Papagno
la famiglia Pelizzatti Perego

Terra Mia: Azienda Vinicola Arpepe

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La famiglia Pelizzatti Perego coltiva da oltre 160 anni il Nebbiolo in Valtellina, un territorio straordinario dove il lavoro è ancora manuale e scandito dai ritmi della natura. Nel 1984 Arturo Pelizzatti Perego fonda l’azienda vinicola ARPEPE (acronimo del suo nome) ispirandosi alla tradizione di  famiglia e al principio del giusto tempo di attesa. In seguito i figli Isabella, Guido ed Emanuele raccolgono l’eredità del padre e guidano oggi la quinta generazione mantenendo viva la filosofia originaria: affinamenti lunghi, imbottigliamenti seguendo le fasi lunari, e vini che raccontano la storia delle vigne, delle annate e delle persone che le coltivano.

La Valtellina, valle alpina modellata dai ghiacciai e attraversata dal fiume Adda è un luogo unico: qui i vigneti terrazzati, sorretti da antichi muri a secco su suoli granitici, godono di un microclima favorevole e rappresentano un patrimonio culturale da preservare. Per Arpepe ogni scelta tecnica (dalla potatura alla raccolta, dalla cantina ipogea ai nuovi spazi ecosostenibili) nasce per migliorare la qualità, in armonia con l’ambiente. Il vino prodotto è espressione autentica del Nebbiolo delle Alpi: frutto di una paziente artigianalità, di ascolto delle annate e di una profonda connessione con il territorio: una visione che ogni anno si celebra negli Arpepe Days.

Azienda Vinicola Arpepe
Azienda Vinicola Arpepe

Qual è la ricetta giusta per ottenere un vino identitario? Quanto conta la storia del territorio e quanto lo stile di produzione?

Un vino identitario nasce da un profondo rispetto e comprensione del territorio sia dal punto di vista storico, sia geografico.
La storia e l’ambiente sono la base, mentre lo stile di produzione è il mezzo per esprimerne l’autenticità e garantirne la continuità.
Parlando di Valtellina, ricerchiamo uno stile che permetta al Nebbiolo delle Alpi di esprimersi pienamente nel tempo, adottando anche soluzioni innovative e di adattamento per preservare questa unicità in un contesto di cambiamenti climatici.
Il Nebbiolo della Valtellina ha una identità elegante, fresca, leggera e un grande potenziale di invecchiamento: lavoriamo per esaltare questi punti di forza.

Il cambiamento climatico ha reso obsolete le pratiche vitivinicole degli anni ’90, che producevano vini troppo alcolici e concentrati. Come gestire oggi la transizione verso tecniche più sostenibili e tradizionali, senza perdere identità e rispettando normative sempre più complesse?

La gestione della transizione implica un approccio proattivo e basato sulla conoscenza, che adatta le pratiche in vigneto e in cantina per affrontare le nuove condizioni climatiche, mantenendo l’attenzione sulla salvaguardia dell’identità intrinseca del vino legata al nostro territorio operando all’interno di un quadro normativo sempre più orientato alla sostenibilità e alla qualità. La capacità di innovare nel rispetto della tradizione è per noi la chiave per portare avanti una vitivinicoltura di qualità.

Parlando del nostro approccio, sono tanti gli accorgimenti adottati negli anni: ad esempio cerchiamo di aumentare la biodiversità nel vigneto, andando oltre la monocultura, per creare ecosistemi più resilienti e proteggere microrganismi, fauna e flora nativi: abbiamo una variabilità genetica intravarietale di Chiavennasca incredibile, con viti anche molto vecchie. Abbiamo applicato il metodo di potatura Simonit & Sirch (usato in tutta Italia e anche all’estero) adattandolo al nostro contesto, rispettando la cronologia del vigneto e riducendo i tagli di ritorno per consentire la naturale ramificazione della vitis vinifera e preservare il più possibile la longevità del vigneto.
Questi sono solo alcuni esempi, ma potremmo citarne molti altri.

Molte cantine hanno integrato tecniche come l’uso di anfore, cemento o macerazioni lunghe non più come tendenza ma come parte del proprio stile produttivo. Le pratiche che un tempo erano considerate alternative oggi sono diventate parte della normalità. Secondo voi, qual è la prossima frontiera nella vinificazione artigianale o di qualità? Dove si sta andando ora che l’alternativo è diventato quasi norma?

La Valtellina, con la sua viticoltura eroica sui terrazzamenti e un’identità già forte data dal Nebbiolo, è un territorio che continua a evolvere. La prossima frontiera in Valtellina non è tanto l’introduzione di tecniche alternative, quanto l’approfondimento della conoscenza del proprio territorio e del proprio vitigno, unito a un impegno sempre più radicale verso la sostenibilità e la purezza espressiva. L’obiettivo è produrre vini che siano ancora più autentici, riconoscibili e che raccontino in modo inequivocabile la loro origine eroica e alpina.

Pensiamo ad esempio a una consapevolezza sempre maggiore del territorio, con valorizzazione e mappatura ancora più precisa dei micro-terroir all’interno delle diverse sottozone storiche (Sassella, Grumello, Inferno, Valgella, Maroggia). O ancora, a nuove tecnologie al servizio dell’artigianalità: ad esempio l’utilizzo di sensori e droni per monitorare la salute delle viti, il suolo e il microclima, fornendo dati precisi che aiutino i produttori a prendere decisioni più informate e puntuali in vigna, e di conseguenza in cantina.

Si parla sempre più di vino come gesto creativo, quasi artistico. Quanto spazio lasciate alla sperimentazione e all’interpretazione personale nella vostra produzione? C’è ancora posto per il vino d’autore nel mercato attuale?

Se con autoriale intendiamo un vino che abbia una storia, un’identità e un’anima, crediamo proprio di sì. In un mercato globale dove l’omologazione e la standardizzazione sono sempre in agguato, il consumatore più attento e appassionato cerca esattamente l’opposto: vini che raccontino un territorio, una filosofia produttiva chiara. Per noi i concetti di sperimentazione e interpretazione personale non si traducono in una ricerca di novità fini a sé stesse o di stili effimeri: la vera sperimentazione e la nostra interpretazione personale nascono da una conoscenza profonda e quasi maniacale del nostro terroir, delle singole sfumature dei nostri vigneti.

Il nostro laboratorio è la vigna stessa, con i suoi terrazzamenti unici, le diverse altitudini ed esposizioni. Ogni decisione, dalla gestione della chioma alla data di vendemmia, è una forma di interpretazione che mira a esprimere al meglio le caratteristiche di quell’annata e di quella specifica parcella. È quindi un lavoro di fino, di ascolto e di rispetto, che ci porta a mettere a punto ogni dettaglio per esaltare la purezza e la longevità dei nostri vini. Non è una rincorsa alla moda, ma una ricerca di autenticità che si traduce in una profonda coerenza stilistica nel tempo.

La prima vendemmia non si scorda mai! La ricordate ancora? Qual è stato il vostro primo vino prodotto?

Ricordiamo molto bene quella vendemmia: fu l’annata 2003, un’annata particolarmente calda e difficile per la Valtellina. In quell’anno, le condizioni climatiche estreme non avrebbero permesso di produrre vini destinati a lunghi affinamenti e grande longevità, così valutammo con nostro padre una decisione innovativa e pragmatica: pensare a un vino più immediato, più giovane, fresco e facile da bere, capace di dare grandi soddisfazioni fin da subito.

Il nostro Rosso di Valtellina maturò da subito un carattere libero e spensierato. Questa scelta, nata per necessità da un’annata torrida, si rivelò strategica, trasformando il Rosso di Valtellina in un vero e proprio biglietto da visita per la nostra cantina. È una etichetta che cerchiamo di proporre ogni anno, con le uve dalle quote più basse dei nostri vigneti (siamo sui 350/400 m) come felice introduzione alla nostra filosofia produttiva: se ti piace quel tipo di approccio, amerai anche le sue sorelle e fratelli maggiori.

Qual è l’etichetta aziendale che più vi rappresenta?

Siamo legati a tutte le nostre etichette per tanti motivi e tante storie diverse, tutte altrettanto importanti. Se proprio dobbiamo indicarne una, forse il vino più rappresentativo è il Sassella Rocce Rosse, l’etichetta da cui nostro padre è ripartito nel 1984, facendo nascere ARPEPE e di cui abbiamo festeggiato i 40 anni proprio lo scorso anno. Per molte caratteristiche, questo vino rappresenta pienamente la nostra filosofia: rappresenta una delle sottozone storiche e più prestigiose della Valtellina, la Sassella, è un vino che nasce solo nelle annate straordinarie e che richiede anni di affinamento in botte e poi in bottiglia prima di uscire sul mercato: questo aspetto  era al centro della visione di nostro padre Arturo Pelizzatti Perego, che credeva nella capacità del Nebbiolo valtellinese di sfidare il tempo e di esprimere tutta la sua incredibile longevità e capacità evolutiva solo dopo un adeguato riposo.

Diamo i numeri: quanti ettari, quanti ettolitri, quante bottiglie prodotte ad oggi?

I nostri vigneti, per un totale di 15 ettari di proprietà, completamente inerbiti, sono posti nel cuore del Valtellina Superiore DOCG, distribuiti fra Sassella, Grumello e Inferno. Siamo intorno a una resa media di 60 quintali/ettaro, le bottiglie prodotte sono mediamente 110.000 all’anno, variabili in base alle annate.

Crisi energetica, conflitti bellici e aumento delle materie prime. Qual è l’impatto sul settore vitivinicolo e cosa vi preoccupa maggiormente?

Il tema energetico è fondamentale: ricollegandoci al tema dell’identità che si esprime attraverso la conoscenza del territorio, abbiamo studiato negli anni come beneficiare dalle potenzialità della nostra terrai: ad esempio in cantina, grazie all’acqua della falda che scorre sotto la struttura, sfruttiamo la geotermia e lo scambio termico per avere accumuli di caldo e di freddo e gestire gli spazi sia dal punto di vista della climatizzazione degli ambienti, sia della produzione, mantenendo all’interno una temperatura costante di 14-16 gradi tutto l’anno. Queste soluzioni, insieme all’utilizzo dell’energia solare tramite i pannelli, la copertura verde a giardino pensile, alla pavimentazione esterna fotocatalitica per abbattere le sostanze inquinanti presenti nell’atmosfera, concorrono tutte a dare un contributo in termini di impatto ambientale.

Certo, le sfide sono tante e il costante aumento dei costi di energia e materie prime coinvolge tutta la filiera, e non solo per il settore vitivinicolo. Crediamo che per la Valtellina la sfida sia mantenere la sostenibilità economica delle proprie produzioni di nicchia di alta qualità, a fronte di costi operativi in costante aumento, senza compromettere il valore percepito e la competitività sul mercato. L’equilibrio tra la necessità di preservare un metodo di produzione eroico e tradizionale e l’adattamento a un contesto economico globale sempre più volatile è la chiave per il futuro.

Stappiamo o svitiamo? La scelta di più produttori all’uso del tappo a vite fa discutere il mondo del vino. Che ne pensate? C’è differenza nel suo impiego tra vino bianco e vino rosso?

In generale, scelta del tappo è una decisione complessa che dipende dallo stile del vino, dal potenziale di invecchiamento, dal mercato di destinazione e dalla filosofia del produttore. Mentre il tappo a vite ha ormai superato molti pregiudizi per i vini bianchi, il dibattito sui rossi da invecchiamento è ancora aperto e in evoluzione. Come in tutte le nostre scelte, anche sulle chiusure non abbiamo preconcetti e adottiamo un approccio razionale: dopo anni di test, abbiamo adottato (non appena i disciplinari lo hanno consentito) i tappi Nomacorc Reserva di Vinventions, la prima chiusura al mondo certificata carbon neutral prodotta da origine vegetale da canna da zucchero.

È stata una rivoluzione, perché sono tappi completamente TCA-free (sostanza chimica responsabile del sapore/odore di tappo nel vino) e sono al 100% privi di colle, così da garantire l’assenza di alcun tipo di contaminazione o di sapore sgradevole derivante dalle chiusure: perfetti sia per i nostri vini più giovani, sia per le Riserve di lungo affinamento. Questo è un altro esempio di come l’innovazione possa esaltare la tradizione e dare ancora più identità ai vini.

L’aumento della domanda di vini low-alcohol o dealcolati sta cambiando il panorama del settore enologico?  Potrebbe offrire nuove opportunitàal mercato italiano del vino?

Il mercato dei dealcolati è in crescita a livello globale, e la legislazione (anche in Italia) sta iniziando a normare questi prodotti, forse più legati a una diversificazione di mercato proposta da cantine di dimensioni industriali. Considerato che in Valtellina, mettendo insieme tutti i produttori, arriviamo al massimo a 3 milioni di bottiglie e che un ettaro vitato richiede mediamente tra le 1.000 e le 1.500 ore di lavoro all’anno (in zone di pianura o collina con possibilità di meccanizzazione, le ore di lavoro per ettaro possono variare tra 50-60 ore fino a 300 ore annue), già si lavora su margini più stretti rispetto ad altre zone meno impervie.

Il nostro Nebbiolo delle Alpi (Chiavennasca) è rinomato per la struttura, la complessità e il potenziale di invecchiamento, caratteristiche strettamente legate alla gradazione alcolica e all’espressione del terroir. La dealcolazione, anche parziale, altererebbe profondamente il profilo sensoriale e l’identità di questi vini, rischiando di svilire il lavoro e banalizzare un po’ la tradizione centenaria.  Forse anche in Italia si arriverà a bevande a base di prodotti vitivinicoli dealcolati con un’identità e un posizionamento diversi, con un mercato di riferimento specifico, ma i vini della Valtellina si rivolgono a un mercato di nicchia, di consumatori consapevoli che ne apprezzano la complessità e l’autenticità.

Non tutti sanno che…

Dal 2011, ARPEPE organizza a dicembre gli Arpepe Days, due giornate aperte al pubblico per presentare le nuove annate e raccontare la propria filosofia. L’evento si svolge nella cantina nel cuore della montagna, sotto i vigneti ed è pensato come una festa che celebra il Nebbiolo delle Alpi e la Valtellina. Oltre ai propri vini, ARPEPE invita produttori locali (sia di vino sia di eccellenze gastronomiche) come lo Storico Ribelle, il Ristorante Trippi, la Distilleria Invitti, i Salumi Masa, il forno Dalla Grustina e altri. Un’occasione autentica per connettersi con il territorio e chi lo anima.

Arpepe
Arpepe

https://www.arpepe.com/

Photo Credit: Azienda Vinicola Arpepe

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Antonio Maria Papagno. Nel mondo dell’enogastronomia da sempre. Sommelier AIS, assaggiatrice ONAV, sommelier dell’olio FIS e tecnico assaggiatore di oli extravergini d’oliva. Ho diretto enoteche qualificate e curato wine & evo list per ristoranti e cantine. Mi occupo di vino, olio e parole. Racconto esperienze, luoghi e persone nel mio blog Ritratti di Gusto e attraverso collaborazioni con diverse testate giornalistiche. http://ritrattidigusto.blogspot.it/ https://www.facebook.com/tonia.papagno
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