Terra Mia: Vinicola Palamà

Terra Mia: Vinicola Palamà

Da sempre l’uomo e il vino hanno avuto storie parallele ma negli ultimi anni fare il vignaiolo è divenuto un mestiere d’arte.

La nuova consapevolezza del rispetto per la natura e la tutela dell’ambiente impongono al produttore obblighi etici e morali. Oggi più che mai rispettare il ciclo di un ecosistema vitale tra vigna, uomo e territorio significa fare vino secondo natura ed essere custodi di un territorio. Fare vino è un lavoro di passione, sacrificio e attesa. 

Ecco alcuni esempi di produttori di sogni e di vino che abitano i luoghi a me più cari. 

 

L’azienda Vinicola Palamà è una storica cantina pugliese fondata da Arcangelo Palamà nel 1936. Negli anni ’90 il figlio Cosimo Palamà ha iniziato a imbottigliare la sua produzione. Grazie a questa scelta, l’azienda è diventata una delle più rinomate della Puglia. I loro vigneti si trovano principalmente a Cutrofiano e Matino, nel Salento, su terreni calcarei. Coltivano varietà autoctone come Malvasia, Verdeca, Negroamaro e Primitivo, preservando l’essenza del territorio. Oggi, la Vinicola Palamà è alla terza generazione ed è curata dall’enologo Michele Palamà, figlio di Ninì. I loro vini sono considerati simboli dell’alta qualità vinicola della Puglia e godono di grande successo tra i consumatori italiani ed esteri.

 

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Viticoltori si nasce o si diventa?

Nel mio caso, sono nato in questa realtà, ma il nostro lavoro è così appassionante che non posso escludere che qualcuno possa innamorarsene e decidere in seguito di diventare un viticoltore. Crescendo in una famiglia di produttori di vino, quasi senza via di scampo, il mio futuro era lavorare tra i vigneti. Tuttavia, la mia scelta è stata consapevole e determinata. Ho seguito un percorso di studi mirato fin dal liceo fino ad arrivare agli studi di enologia. Sin dalle medie, ho dedicato la mia tesina al vino dal titolo: In Vino Veritas, e al liceo ho approfondito Il vino nella storia. Mio padre è stato un genitore deciso e giustamente esigente: mi ha concesso tutto, ma a condizione che me lo guadagnassi. Anche durante le vacanze estive, il lavoro era una costante, così come lo era durante la vendemmia al mio ritorno da scuola. I miei ricordi d’infanzia non sono legati alle giornate al mare, ma a intere giornate trascorse con mio padre, a cui va il mio ringraziamento per avermi permesso di realizzare il mio lavoro e di costruire il mio futuro. Io sono nato viticoltore e oggi, oserei dire, anche cantiniere.

 

Secondo voi territorio e filosofia di produzione sono strettamente correlati?

Non credo, onestamente. Io sono strettamente legato al mio territorio. Ci vivo e ci lavoro ma la mia filosofia è un misto tra storia e vissuto, esperienze e prospettive. No, non credo siano due cose strettamente correlate.

 

La prima vendemmia non si scorda mai! La ricordate ancora? Qual è stato il vostro primo vino prodotto?

Non ricordo la mia prima vendemmia, ne ho viste tante da bambino con papà, ma ricordo benissimo il mio esordio alla guida della cantina: era il 2018. La ricorderei in ogni caso perché è stata la vendemmia peggiore di sempre, almeno a memoria mia e soprattutto di papà. In quell’anno mi sentivo come un bambino al luna park. Tutto era meraviglioso ed eccitante ma con tanta pressione e responsabilità. Nel 2018 fu prodotta la mia prima bottiglia: Ninì Palamà.

Si coltiva in biologico e poi in cantina che succede? Come viene trattata l’uva accuratamente allevata?

Non sono in bio, ma mi ritengo un buon viticoltore. Il discorso è troppo articolato e credo che la viticoltura, soprattutto in Italia, necessiterebbe una enorme rivoluzione. In primis per sradicare dei concetti bigotti e poco lungimiranti che danneggiano la viticoltura e il racconto che vi è intorno ad essa. Io credo che oggi si debba essere in grado di distinguere i produttori capaci e quelli incapaci. Tutto il resto non mi interessa.

 

Qual è l’etichetta aziendale che più vi rappresenta?

Senza ombra di dubbio Metiusco, il rosato nello specifico. È il figlio prediletto di mio padre e per quanto oggi è di mia produzione resterà sempre il fiore all’occhiello di Ninì Palamà.

 

Diamo i numeri: quanti ettari, quanti ettolitri, quante bottiglie prodotte ad oggi.

Lavoro su 15 ettari, circa 2000 quintali di uva annua, da cui produciamo 200.000 bottiglie più o meno. Inoltre acquisto uve e vino (totalmente controllato e selezionato). Non tutto ciò che imbottiglio è di mia proprietà (non sono nato in una famiglia di latifondisti) ma vi assicuro che in ciò che produciamo c’è il nostro impegno e la nostra fatica e tanta responsabilità.

 

Qual è ad oggi il vostro traguardo più grande? 

Personalmente è stato riportare il 50% del nostro fatturato in Italia e gran parte in Puglia. È bello fare export ma entrare in un ristorante e trovarci gente che beve il tuo vino è esaltante e celebra il tuo successo.

 

Con quale varietà d’uva che non allevate vi piacerebbe misurarvi?

Riesling: la mia varietà preferita in assoluto. In montagna però.

 

Che rapporto avete con gli altri produttori del vostro territorio? Esistono condivisioni e interessi comuni?

In questo sono stato molto fortunato perché papà Ninì è molto conosciuto e rispettato da tutti i produttori locali. Di conseguenza, i miei colleghi hanno sempre avuto un atteggiamento aperto e disponibile al dialogo con me. Inoltre molti coetanei e figli degli stessi produttori sono miei amici. Le nuove generazioni saranno determinanti per il futuro nel mondo del vino e nella comunicazione del territorio.

 

Molte aziende di vino con vigne e cantina si sono organizzate per l’accoglienza e il soggiorno oltre che per visite, tour e assaggi. C’è differenza tra turismo ed enoturismo per voi? La scelta di raccontare tutto ciò che gira intorno al vino e al servizio offerto a scapito del prodotto è giusta?

Due domande che meriterebbero una risposta da una pagina per ognuna. Anche noi siamo attrezzati per l’enoturismo ma esistono due modi di viaggiare differenti. La diversità sta nel fatto che se vado in vacanza con la famiglia e trovo una cantina nelle vicinanze vado a visitarla. Oppure viaggio solo per cantine. Per me l’enoturismo è oggi una risorsa e un’opportunità culturale per entrare in contatto le tradizioni del luogo visitato. Non solo le grandi aziende ma ci sono piccole realtà locali che stabiliscono una connessione tra vino, arte, musica, progetti e storia del territorio.  Per la seconda domanda: sarei felice se chi acquistasse il mio vino lo facesse perché sono io a produrlo, sperando che riconosca i miei meriti tecnici, il mio impegno nello studio e l’accuratezza dei miei prodotti. Troppo spesso, il problema è che la narrazione attorno al vino assume toni favolistici. Io credo nella sincerità e a volte ascolto storie davvero imbarazzanti

 

Per qualcuno il futuro del vino comincia dall’etichetta, passando per la comunicazione, la fidelizzazione e l’economia circolare (come la sostenibilità). Quanto sono importanti la divulgazione e l’uso dei social-media per il vostro lavoro? Il digital marketing è una nuova risorsa per il mercato o un costo aziendale in più?  Qual è il futuro del vostro vino?

Il futuro di tutto passa per il web. Mio figlio ha 7 anni e usa il telefono meglio di me. Come dovremmo comunicare con le generazioni future se non con il digital marketing? Il mio investimento sul futuro della informazione parte da questo presupposto. Per quanto riguarda l’immagine aziendale siamo fieri e orgogliosi delle nostre etichette che riflettono la qualità della nostra produzione ed esaltano le caratteristiche di tipicità del nostro Salento.

 

Si diventa vecchi ma mai quanto una vigna che ci sopravvive. Dove vi trovo tra 20 anni? 

Spero di trovarmi ancora qui, magari in una location diversa tra vigne e cantina, immerso in vigneti più estesi. Mi auguro di poter trasmettere tutta la mia cultura enologica, frutto di conoscenze acquisite e passione coltivata, a mio figlio. Spero che un giorno egli possa prendere in mano le redini dell’azienda e che io possa imparare da lui, diventando un maestro migliore di me stesso. Mi piacerebbe osservarlo fare, disfare, ricostruire, e vedere lui sradicare le mie convinzioni, proprio come è accaduto tra me e mio padre.

 

Non tutti sanno che…

Metiusco deriva da un verbo grico contaminato (lingua antica con radici in Magnagrecia). Custodito nella memoria della nonna materna, il termine era una espressione dei braccianti agricoli locali con cui manifestavano la loro felicità quando trovavano lavoro in vigna. Metiuscoi significa letteralmente: sto andando in osteria per festeggiare. Per questo il nostro Metiusco è un vino prodotto senza formalismi di sorta e con la ricerca della sola bevibilità. L’etichetta è nata nel 1996. Storicamente si usava la carta per imballaggi stampata e bloccata con sigilli in ceralacca. Ancora oggi i sigilli vengono realizzati regolarmente a mano e questo è per noi motivo di valore e di pregio. 

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Vinicola Palamà

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