Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Dopo l’ingresso dell’Ungheria nell’Unione Europea, nella nostra penisola hanno fatto capolino molte bottiglie di quelle terre da fiabe zigane che da secoli producono vini di ottima qualità. Durante i cinquant’anni della cortina di ferro, la vitivinicoltura laggiù ha sofferto molto per poter soddisfare il mercato sovietico e quello dei satelliti del Comecon.

In quel periodo la direttiva di potenziare la produzione di massa aveva fatto letteralmente straripare nuovi vigneti nelle pianure e li aveva piegati alla coltivazione intensiva, mettendo all’angolo i migliori prodotti della terra, del sole e del genio dei vignaioli delle aree particolarmente vocate alla vitivinicoltura come Eger, Szekszárd e Tokaj, dove i re e i principi custodivano con cura le loro vigne e le loro cantine.

Negli ultimi vent’anni la vinificazione ungherese è stata fondamentalmente rinnovata professionalmente e tecnologicamente, tornando ai fasti di un tempo. La qualità dei vini corrisponde in pieno agli standard dell’Europa occidentale e anche la domanda dei consumatori si è sviluppata ed è cambiata molto.

Oggi in Ungheria si beve meno, ma meglio e si può cercare e trovare l’interessante e lo speciale, non soltanto vini finalmente sani, piacevoli ed equilibrati.

Certo, ci sono ancora milioni di bottiglie di Egri Bikavér e di Tokaji Szamorodni dal prezzo stracciato e di qualità effimera e bisognerà fare molta attenzione negli acquisti, ma ciò che si può degustare adesso in quel Paese molto bello, ricco di terme, di paesaggi bucolici e dalla cucina favolosa è già l’anticamera del paradiso e l’ingresso dell’Ungheria nell’Unione Europea ha spianato la strada anche ai vini molto floreali, fruttati, delicati e piacevoli della loro nuova enologia, che è riuscita a defenestrare i leccapiedi del passato regime.

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

A Szekszárd avevano investito, tra gli altri, anche Piero Antinori e Mazzei con Peter Zwack, Incisa della Rocchetta con Tibor Gál e con Bovensiepen, Giovanni e Uria Grassi della Rai-Vini, soltanto per citare i primi pionieri nostrani in quelle terre dal clima favoloso per dei vini stupendi.

E nella Tokaj Hegyalja, una regione che per conformazione del territorio assomiglia molto alla Nurra e al Sulcis della Sardegna (peccato che manca il mare…) hanno investito i francesi delle assicurazioni AXA e GAN, della Grands Millésimes e della CANA, oltre a Michel Rolland e a Jean Michel Arcaute, ma anche alcuni inglesi associati tra cui Hugh Johnson e gli spagnoli di Bodegas Vega Sicilia, sempre soltanto per citare i primi stranieri.

Buon naso non mente. I Tokaji bianchi e dolci della nuova generazione, che non sono più stucchevolmente aromatici e appesantiti da quelle note di caffè e di vodka che tanto piacevano ai russi, i quali ne approfittavano per allungarli ancora con distillati di nessun valore, a Milano e a Roma sono già arrivati da un pezzo e, sebbene i gusti della maggioranza degli italiani propendano per i vini bianchi secchi, con questi eccellenti vini da meditazione e da dessert l’approccio è affascinante, eccitante. Provare per credere!

La botrytis cinerea, la muffa nobile che a settembre comincia ad attaccare gli acini dell’uva quasi al termine della sua maturazione e ne provoca il rinsecchimento, concentrandone gli zuccheri e gli estratti, è la vera benedizione di quel territorio che ha imparato a beneficiarne da ben quattro secoli.

Dopo una lunga battaglia contro i Turchi sostenuta da soldati raccolti dall’imperatore nelle campagne che aveva costretto le loro famiglie a rinviare le vendemmie a novembre inoltrato, al loro ritorno c’erano da pigiare soltanto i grappoli già attaccati dalla muffa nobile.

Il mosto si era sorprendentemente rivelato più ricco di zuccheri naturali e il vino era più dolce e più profumato del solito. Da allora si producono diversi vini botrytizzati, tra cui il celebre Tokaji Aszú, con un metodo particolare messo a punto proprio allora da Máté Szepsy Laczkó.

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Al vino bianco ottenuto dalla vendemmia normale di uve sane furmint (poco meno di due terzi), hárslevelű (poco meno di un terzo) e una piccola parte di muscat lunel si aggiungevano alcune secchiate di acini rinsecchiti (aszù) dalla muffa nobile, raccolti da un mese a due dopo.

A seconda del numero di secchi (puttonyos) da circa 25 chili di questi acini dal colore violetto che venivano aggiunti al vino già fatto di un barilotto da 136 litri (gönc), si otteneva una pappetta (aszá) che macerava per lunghe ore e veniva poi pigiata per ottenere un mosto di tenore zuccherino naturale altissimo, il quale fermentava molto lentamente prima di essere messo a maturare almeno due anni in piccole botti di rovere locale di capacità da 200 fino a 230, anche 240 litri (lo spacco a mano non poteva essere più preciso) fino a diventare vino Tokaji Aszú, con zuccheri residui normalmente da oltre 120 fino a circa 450 grammi/litro.

Vi ho descritto questo antico processo soltanto per rendere l’idea, perché i metodi odierni seguono sì lo stesso principio, l’enologia e le attrezzature si sono affinate con la moderna tecnologia, che assicura adesso una maggiore igiene e delle doti organolettiche impareggiabili, in un crescendo di profumi e di sapori tra zagare, glicine, miele d’arancia, albicocca secca, pesca gialla matura, scorze di frutta candite, mandarino in mostarda, fichi, ananas sciroppato, con un tenore alcoolico moderato, intorno all’11%, anche meno, ma con un’acidità molto sostenuta che rende il dolce molto piacevole, mai stucchevole.

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

A queste doti varietali si aggiungono delle note appena percettibili provenienti dal terroir, che possono essere di melone, banana, nocciola, cioccolato bianco, ma anche tabacco, noci e lime. La zona infatti non è per niente omogenea, anzi i vigneti sono a macchia di leopardo fra le varie vallate che si affacciano sulla sponda destra del placido fiume Bodrog proveniente dalla montuosa e boscosa Slovacchia e i suoli su cui si estendono sono di origine vulcanica e differenziati da tufo, caolino, loess, argilla, calcare e brecciolino molto ben sbriciolati, triturati e macinati dalla lava e dal vapore di cinquanta milioni di anni fa.

La tenuta Disznókö è ai piedi del fianco meridionale di Király-erdő, l’ultima delle basse montagne dei Zemplén che smorzano i freddi venti settentrionali, sulla sinistra della strada statale 37 che arriva da Budapest e Miskolc e che va verso quell’angolo di Slovacchia subito confinante con l’Ucraina, in località Disznókö Dűlő tra il rondò di Mezőzombor e l’incrocio per Tokaj.

Disznókö nel dialetto locale significa muso del cinghiale, com’è chiamato il macigno roccioso che domina dall’alto tutta la proprietà e offre da lassù un vasto panorama. La gente del luogo identifica con la testa di questa fiera il simbolo della libertà, infatti la tenuta è completamente aperta e diversi sentieri in mezzo alle vigne conducono i numerosi visitatori proprio lassù, dove da un bianco padiglione si può posare lo sguardo sui 150 ettari del grande vigneto che già nel 1734 un decreto reale classificava come premier cru.

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Il vigneto è appartenuto a diverse famiglie nobili, dai Rákóczi ai Patay fino agli Asburgo e a Menyhért Lónyay che alla fine del XVIII secolo vi fece costruire Sárga Borház, la maison jaune du vin, la villa padronale in stile neoclassico che oggi è uno dei ristoranti più celebri di tutta la regione, molto frequentato per una cucina di ottimo livello e per via dei prezzi popolari, un binomio più unico che raro.

Nel 1992 la tenuta è stata acquistata dalla AXA Millésimes, filiale della compagnia francese di assicurazioni AXA, che possiede già, tra l’altro, Chateau Pichon-Longueville, Chateau Suduiraut e Quinta do Noval e che a Disznókö ha investito capitali notevoli e ha costruito una modernissima cantina sopra gli antichi tunnel in pietra per la maturazione e l’affinamento dei vini, dando una sua notevole impronta al nuovo stile dei Tokaji. Ma soprattutto (sembrava impossibile che il tocco di classe dei Francesi non lasciasse il segno…), tra tutti i buoni Tokaji finalmente rinnovati negli aromi e nei gusti che possiamo degustare finalmente alla faccia dei galoppini corrotti dai russi che si erano infiltrati perfino nell’istituto enologico OBB di Budapest, benedetto l’allora giovanissimo direttore Laszló Mészarós, c’è anche un ottimo… Sauternes d’Ungheria. Scusate se ho rubato il nome al più famoso vino dolce di Francia, ma questo di Mezőzombor lo fa una multinazionale francese e in quanto al rapporto qualità/prezzo conviene parecchio agli estimatori dei Sauternes.

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Il primo che Laszló Mészarós mi aveva offerto durante la visita che avevo effettuato nel 2004 con la delegazione di Collegium Vini di Cracovia mi aveva folgorato come Saulo sulla via di Damasco. Stavamo degustando diversi Tokaji e prendevamo diligentemente nota di tutto in un silenzio quasi perfetto, serviti uno dopo l’altro proprio dal direttore della cantina in persona. A un certo punto, con perfetta nonchalence, ecco che Laszló ha fatto il giro con alcune bottigliette da mezzo litro di un bianco da vendemmia tardiva di sole uve furmint.

Quando l’ho annusato sono rimasto impietrito e quando l’ho degustato ho impulsivamente rotto il silenzio e ho gridato in italiano «questo è vino!» mentre fra la meraviglia di tutti i polacchi s’è levata subito l’autorevole voce dello scrittore Wojciech Bońkowski «potwierdzam!» (”confermo!”).

Era un vino abboccato fermentato modernamente a bassa temperatura, vinificato con semplicità in acciaio inossidabile e, a differenza della versione secca subito pronta, affinato ancora per tre mesi in botticelle di rovere locale (anche se in cantina avevo notato alcune barrique francesi in prova delle tonnellerie Saury, Nadalie, Vicard e Demptos).

Fino a quel momento non avevamo affatto scherzato, a Laszló avevamo fatto usare qualche decina di volte la lunga pipetta per estrarre dalle damigiane e poi dalle botti i campioni dei migliori Eszencia, i cosiddetti nature, i nettari, cioè i mosti puliti di quelle uve botritizzate non usate per ottenere i Tokaji Aszú, dalla concentrazione zuccherina ben oltre 700 gr/litro, autentici tesori fatti solo nelle annate stupende e che non verranno mai messi in vendita perché andrebbero a peso d’oro.

Quello che ho assaggiato tutte le volte che ho visitato Disznókö e che mi ha sempre offerto Laszló dal suo frigorifero ha sempre avuto un gusto ricco e succoso di miele d’arancio purissimo, con profumo di lime, impercettibili note di buon sigaro cubano, cannella e gheriglio di noci fresche, di livello alcoolico praticamente zero perché fermenta forse in dieci anni.

Un cucchiaino l’ho anche dato col cucchiaino a mio figlio Michele quando aveva sei anni, mentre Laszló sorrideva poiché una volta si usava davvero come medicina e veniva venduto in farmacia, come concentrato di vitamine e di minerali dal notevole potere curativo.

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Tokaji Furmint vendemmia tardiva 2017 Disznókö

Ma torniamo al vino bianco Tokaji Furmint vendemmia tardiva (késői szüret in magiaro e late harvest in inglese) che ho degustato fino alla vendemmia 2017. Questo vino di colore giallo paglierino dai riflessi di vero fieno ha un bouquet delicatissimo di fiori di campo, narciso e miele millefiori, ma anche pere, melone e banana. In bocca è di buona acidità ed è armonioso nella sua leggera dolcezza, sensualissimo, infinitamente piacevole, alcool 13,5%. Stile francese, stoffa Sauternes. Una sola volta avevo provato la stessa emozione per un bianco abboccato capace di sfidare i vertici dell’enologia bordolese, infatti la memoria che ancora non mi tradisce ha ben registrato nei suoi angoli tortuosi gli stessi aromi e gli stessi sapori dell’Orvieto classico abboccato 1978 Castello della Sala di Antinori, uno dei primi vini del giovane Renzo Cotarella, il vino che ha fatto da padre al famoso Muffato.

Ideale servito a 12 °C con prosciutto e melone, crostini col paté fresco di milza, paté de foie gras, oca arrostita in salsa di prugne, pesci di fiume in salse d’agrumi, formaggi freschi di capra, panforte con l’uva passa, dessert non molto dolci e tutti quegli abbinamenti delicati e sfiziosi che sono l’anima della primavera in tavola, ma è anche un vino da meditazione sotto un bersò di olmi eleganti, sul lago, con una fisarmonica lontana e la bella époque che appare nei giardini con le ragazze in pizzo bianco e rapisce pian piano gli occhi.

Proprio fra queste vigne e con questi vini il granduca Giuseppe d’Asburgo dimenticava i salotti di Vienna, Disznókö è stata anche sua ma adesso è un po’ anche mia, che dalla roccia del cinghiale fra tutte quelle collinette arrotondate e pelate cercavo il mare di Sardegna, ma ho ritrovato in mente il castello della Sala in Ficulle. Com’è piccolo il mondo, com’è unito il mondo con un calice di vino capace di aprire le porte del cuore come questo Furmint dell’Europa orientale che spero sarà uno dei vostri, ma che è già diventato uno dei miei.

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