Vetrini colorati, specchietti, medaglie e fascette

Il marketing di molte cantine e perfino di alcuni Consorzi le studia tutte pur di affermare i propri vini indipendentemente dalle effettive qualità che possiedono.

Anche le fascette apposte sulla capsula delle bottiglie dei vini DOCG hanno assunto col tempo agli occhi del consumatore un ruolo diverso da quello per cui sono state concepite, assumendo quello di una garanzia che va ben oltre l’origine, dando quindi al vino un valore maggiore.

Si racconta che Cristoforo Colombo nel 1492 abbia conquistato una miriade d’isole e isolette del Nuovo Continente senza trovare resistenza da parte della popolazione indigena grazie a qualche manciata di vetrini colorati e di specchietti da lui donati in omaggio come se fossero degli autentici preziosi.

A dire la verità questa l’abbiamo davvero bevuta in pochi sui banchi di scuola, anche perché non si capisce come mai la Spagna e il Portogallo abbiano poi proseguito la conquista delle Americhe con le cannonate e le cariche della cavalleria, invece di consolidare ed espandere quell’iniziale e fruttuoso commercio di cristalleria varia, certamente meno sanguinoso, dando lavoro ai mastri vetrai per esempio di Murano piuttosto che ai becchini.

Ma la Storia insegnata, ahimè, colora troppo spesso di rosa quelle cruente carneficine che in realtà sono state alla base di molti avvenimenti un po’ troppo romanticamente raccontati. Come ben sanno i Siciliani e i Calabresi, dietro Garibaldi e il suo esercito di volontari infiammati dall’ideale dell’unità d’Italia si mossero subito nelle retrovie i vari Nino Bixio e poi i Bersaglieri del boia Cialdini per far piazza pulita degli insorti locali che cacciavano i servi locali dei Borboni reclamando l’applicazione del popolare Editto di Salemi firmato allo sbarco dall’eroe dei due mondi. Garibaldi avanzava e alle sue spalle s’impiccava, si stuprava e si fucilava senza pietà, come a Bronte, in Aspromonte e sul Volturno, mentre a Gaeta oltre 4.000 civili inermi sono stati assassinati da un improvviso bombardamento navale.

È passato tanto tempo, ma la politica degli specchietti per le allodole, per non parlare di veri e propri bidoni, continua purtroppo a fare vittime in tutti i campi, compreso quello del vino. Basta vestire bene una bottiglia, con della paglia, del sughero, una bella cravatta, un cartoncino appeso al collarino, qualche bel sigillo in ceralacca, e il consumatore poco attento si ritiene soddisfatto dell’acquisto qualunque sia il liquido che questa contiene e magari ne fa pure omaggio ai propri amici. Perfino un bollino con lo stemma di qualche Consorzio oppure l’evidenza grafica delle medaglie vinte a qualche esposizione da qualche parte del mondo possono servire allo scopo.

Da molti anni non è più obbligatoria la fascetta sui vini DOC, mentre è diventata obbligatoria solo la fascetta ministeriale sui vini DOCG. Questa fascetta rosa incollata sopra la capsula dei vini a Denominazione d’Origine Controllata e Garantita garantisce appunto che quel vino ha un’origine controllata e garantita, cioè è stato fatto in una certa regione vitivinicola secondo le regole stabilite dal disciplinare di produzione.

Ma non garantisce assolutamente la qualità intrinseca del vino, soltanto la sua origine territoriale e il rispetto del relativo disciplinare di produzione. Infatti, se andiamo a scavare un po’ più in profondità, ci rendiamo presto conto che quella stessa fascetta rosa è apposta sulla capsula di vini che hanno prezzi molto diversi (si va dai 3 euro fino a oltre i 120 euro e ad almeno uno sopra i 1.000), ma livelli di qualità assolutamente differenti. Questa benedetta, o maledetta, fascetta rosa accomuna dunque indistintamente dei vini che valgono poco e dei vini che valgono molto, marcandoli tutti allo stesso modo con quella ”G” che significa garantita e che all’occhio del consumatore meno informato sembra dare un valore aggiunto al vino che contiene.

Una bella fascetta è pur sempre un segno di distinzione, qualcosa che garantisce una dote in più rispetto alla stragrande maggioranza delle altre bottiglie che non ce l’ha. Il consumatore meno informato fa riferimento alla fascetta rosa come se questa garantisse anche la qualità del contenuto, attribuendo a essa un valore distintivo, come se fosse una medaglia, e ad avvantaggiarsi di questa sua erronea interpretazione sono proprio le cantine che producono i vini dal prezzo più basso. Perché comprare un Chianti Classico a 60 euro in enoteca quando lo si può compare a 3 euro al discount e a 4 al supermercato, tanto la confezione della bottiglia è simile e tutt’e due hanno la stessa fascetta di garanzia?

Quella fascetta in questo caso può essere usata dai geni del marketing di alcune aziende appunto come un vetrino colorato, uno specchietto per gli indiani, perché di fatto dà valore anche a un vino che non ne ha. In parole povere, perfino chi ha le mutande bucate e i calzini rattoppati, purché non si vedano, fa la sua bella figura se porta un Rolex al polso, magari comprato a 50 dollari in Tailandia, cioè falso. Ma da lontano chi lo distinguerebbe da quello vero? Lo sanno tutti che al giorno d’oggi si compra più la confezione esterna che non il contenuto, basta fargli una bella pubblicità.

Siamo arrivati al punto che anche alcuni Consorzi hanno voluto reintrodurre la fascetta, perfino con un altro colore purché fascetta sia, anche per i loro vini DOC senza ”G”, contando così di restituire a questi loro vini, con questo cravattino chic, un prestigio che anni di autentica incuria avevano minato. Ci hanno dato che ci hanno che ci hanno dato, ed ecco che hanno ottenuto un nuovo decreto attuativo del Testo Unico del Vino che prevede nuove regole per DOC e DOCG. Il provvedimento, firmato dal precedente ministro Teresa Bellanova ha descritto caratteristiche, diciture, modalità per la fabbricazione, l’uso, la distribuzione, il controllo e il costo dei contrassegni per i vini a Denominazione protetta, nonché le caratteristiche e le modalità applicative dei sistemi di controllo e tracciabilità alternativi. E, come è stato pomposamente dichiarato

Il Decreto, come ha spiegato Garantitaly – News su innovazione e qualità che si dedica ai temi della qualità e tutela del prodotto, con particolare attenzione al Made in Italy e all’innovazione, stabilisce le nuove caratteristiche della fascetta con il sigillo della Repubblica, apposta su molti vini a DOC e su tutti i vini a DOCG, ma specifica che ha la natura di contrassegno di Stato a ”garanzia delle produzioni di eccellenza nazionali”.

Ecco fatta la frittata, riportando confusione nel consumatore. Come possiamo non farci truffare? Cerchiamo di non farci ingannare immaginando in fase di acquisto e in tavola una bottiglia di vino senza fronzoli e concentriamoci invece sul contenuto.

Se vogliamo invece dare importanza agli elementi fondamentali piuttosto che a quelli secondari, potremmo regolarci come fa ogni automobilista. Anziché riferirci al bollo di circolazione, che tutte le auto possiedono per poter viaggiare su strada, dovremmo semmai riferirci in modo più evidente alla marca e al tipo d’auto. Cioè evidenziare in etichetta il nome del produttore e quello del vino a lettere cu bitali, il resto delle informazioni obbligatorie segua pure nel testo dell’etichetta e tutte le altre, facoltative, si aggiungano pure nell’eventuale retroetichetta o in un collarino pieghevole.

Al giorno d’oggi sono i nomi del produttore e del vino che costituiscono la vera garanzia del contenuto della bottiglia, non le fascette, non i bollini, non i vetrini colorati né gli specchietti. Sarei proprio curioso di vedere come faranno a vendere bene dei vini DOCG quelle cantine che si firmano con delle sigle intraducibili, come… Ci.Si.Ci.Si.Vi. o simile paccottiglia…

Ce ne sono troppe che approfittano della fascetta, che assume una funzione certamente qualificante almeno agli occhi del consumatore meno informato, per poi nascondersi dietro l’anonimato di una sigla che lo disorienta facilmente e inesorabilmente quando, una volta giunto a casa, comincia a leggere l’etichetta con gli occhiali buoni o con la lente d’ingrandimento per capire chi è che ha fatto quel vino e chi è che lo ha imbottigliato.

A scanso di equivoci, per non essere male interpretato, non è che sia contrario in linea di principio alle varie fascette, applicate per assicurare la tracciabilità, per ragioni fiscali o per altri nobilissimi motivi. Sono contrario ai berretti messi in testa a un asino, perché sotto quel berretto l’asino rimane tale anche se si dà arie da portinaio di un ente pubblico, da usciere del tribunale, da carabiniere o da militare. Ognuno metta pure il vestito, la cravatta, i polsini, il berretto e l’orologio che vuole, un senso queste cose ce l’avranno pure. Ma il re è re anche quando è nudo e l’abito non fa mai il monaco.

di Mario Crosta

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