Vino de la Tierra Castilla y León reserva Dominus Yllera

Anche in Spagna certe denominazioni d’origine cominciano ad andare troppo strette ai vini di altissima qualità che rappresentano il vanto delle migliori aziende, i vini d’autore. Capita così che una delle aziende più importanti della vitivinicoltura della denominazione d’origine Ribera del Duero, il gruppo Yllera, debba scegliere l’indicazione geografica tipica Castilla y León per il suo miglior vino, selezionato dalle uve più belle delle sue vigne più vecchie. Alcune sono fuori però dalle mappe catastali che censiscono gli oltre 23.000 ettari del vigneto della Ribera del Duero e almeno in questi casi la legge è severissima, poco importa che questo vino sia sulla tavola della casa reale spagnola e che venga prodotto in tiratura limitata soltanto nelle annate migliori.

Anch’esso, come il nostro Sassicaia, era nato come Vino da Tavola (e doveva fregiarsi per parecchi anni dell’Indicazione Geografica Tipica finché non ci si è arrangiati in qualche maniera per uscire dai meandri del ridicolo legislativo creandogli una DOC da godere in perfetta solitudine) e anch’esso alla fine è diventato DOC Ribera del Duero, ma le affinità con l’eccelso vino di Bolgheri non sono limitate soltanto a questo aspetto. Il Dominus è una vera perla dell’enologia spagnola e il suo corredo organolettico è straordinario. La Yllera è inoltre riuscita, proprio come ha fatto Incisa della Rocchetta, a estenderne la superficie produttiva per la gioia degli appassionati stranieri dei vini spagnoli, che riescono però a recuperarne soltanto poche migliaia di bottiglie.

A dire la verità, è quello che capita a tutti i vini della Ribera del Duero, dei quali solamente il 10% riesce a lasciare il Paese, per via della forte domanda interna, un po’ quello che capita anche ai nostri vini sardi e in genere a tutti i vini di levatura eccezionale. Osservando la realtà odierna, riesce perfino difficile credere che ancora negli anni ’50 e ’60 del secolo appena passato siano state estirpate le viti per lasciare il posto alle più convenienti coltivazioni del grano e delle barbabietole da zucchero. Sul Duero, tra Madrid e la Rioja, la prima cantina è nata nel XIX secolo e la seconda soltanto cento anni più tardi…

Stiamo parlando della regione vinicola più giovane e più veloce a svilupparsi dell’intera Spagna (dalle 360.000 bottiglie nel 1982 e ben oltre 100 milioni al giorno d’oggi), grazie all’apporto del grande fiume che rende davvero favoloso il clima, assicurando una giusta dose di nebbie e di umidità ai suoli caldi e particolarmente prediletti dalla vite. Gli inverni qui sono molto rigidi e le estati sono veramente torride, un ambiente dove si trovano alla perfezione il rosso tempranillo (tinta fina o tinta del pais) e il bianco verdejo, sebbene non si sentano a disagio neanche il rosso garnacha e il bianco albariño.

Ma la vera rivoluzione è stata quella qualitativa. In precedenza, per fare il vino si pensava che bastava pigiare le uve, lasciar macerare i mosti e ficcare il tutto in botte finché se ne aveva voglia, col risultato di ottenere dei vini stanchi e concentrati, dal gusto bordoleggiante. Invece il tempranillo aveva bisogno di una maturazione più calibrata in botti di qualità migliore e di un affinamento in bottiglia più lungo e a temperature più fresche, in modo da distinguersi dal noioso gusto precedente e acquisire quella personalità fruttata che è letteralmente esplosa in pochi anni fra l’ammirazione degli intenditori.

Oggi i produttori del Duero sono un centinaio e le cantine sono tutte moderne e ben attrezzate. Tra le più interessanti sono Hermanos Sastre, SAT Los Curros, Dominio Pingus, Vega Sicilia, Carmelo Rodero, Abadia Retuerta, Arzuaga, Condado de Haza e Bodegas Valduero. Mi sono piaciuti molto alcuni vini delle Bodegas Avelino Vegas, il cui manager Fernando Daniel Vegas Arranz ha le idee molto chiare in fatto di rapporto tra qualità e prezzo e ha una mentalità moderna e vincente, tra l’altro somiglia in modo incredibile a quel Lusito Suárez che fece vincere l’Inter di don Helenio Herrera su tutti i campi del mondo e gli auguro perciò pari fortuna, almeno per il suo Fuentespina crianza Ribera del Duero. Fuentespina è una cantina sorta a Burgos nel 1960 che è passata alla famiglia Vegas nel 1994 con i suoi 385 ettari di allora (oggi 600) e aveva cominciato subito bene con una menzione d’onore all’International Wine Challenge di Londra per il suo Crianza 1997.

Dal vitigno tempranillo la famiglia Vegas ricava quattro tipi di vino e Fernando consiglia il Joven (giovane) alle nuove generazioni, in effetti è fresco e poco impegnativo. I clienti spagnoli amano di più il Cosecha, molto varietale e dal gusto piuttosto tipico. Lui preferisce personalmente il Reserva, si vede che ci mettono proprio un grande impegno, ma io sono rimasto invece ben impressionato dal Crianza, che costa la metà di quest’ultimo ed è più spigliato, meno possente ma rigoglioso, come una donna che lascia scoperte delle bellissime spalle pur indossando un abito elegante. È un vino fruttato, caldo, ampio e che non si lascia incantare dal legno, esattamente come questi enologi. Qui usano le botti in cicli di cinque anni, non tre, e soltanto per i vini rossi, lasciando i bianchi a deliziare per i loro profumi, secondo la tradizione spagnola che in legno non ce li vuole proprio mai. Se l’80% delle botti di questa cantina prima erano barrels americani, nei crianza di oggi questi sono soltanto meno di due terzi, quasi un terzo sono barrique francesi mentre c’ è già un 10% di piccole botti caucasiche, che sono in aumento e si sente, il vino ne ha guadagnato in tutto e per tutto: luminosità, freschezza, piacevolezza e, non ultimo, il prezzo.

Fuentespina Crianza Ribera del Duero manterrà i caratteri della gioventù per almeno dieci anni dalla vendemmia, con un colore rubino vivo e luminoso, trasparente, un bouquet di frutta rossa leggermente speziato e un sapore vellutato ma vispo e di ottima persistenza in bocca. È stato un bel confronto, non c’è che dire, con quell’autentico gioiellino del Dominus 1998 che era stato presentato da Sandrine Castets del Grupo Yllera agli amici di Cracovia in degustazione (tra cui il sottoscritto) e scaraffato per tempo sotto l’occhio attento e ammirato proprio di Fernando, che si vedeva emozionato pure lui, trattandosi di un vino da re del quale ha comunque voluto parlare, e con quale passione, per sottolineare ancora meglio quello che iniziava a descrivere Sandrine. Di fronte a vini così, e non è la prima volta che lo vedo, nasce un profondo rispetto reciproco (frutto dell’impegno che si sa riconoscere anche al buon vicino nel coltivare le stesse uve sulla stessa terra) capace perfino di unire cantine diverse e, se proprio vogliamo usare la parola, concorrenti. Yllera infatti è un’altra azienda della Ribera del Duero, giunta alla sesta generazione con l’enologo e proprietario Ramón Martinez Palacios, che è soltanto un ottimo collega dei Vegas e possiede ben tre diverse cantine. La prima, nata nel 1986, è nella zona di denominazione d’origine della Ribera del Duero, con i suoi vini Bracamonte, davvero buoni, Viña del Val e Boada.

La seconda, anch’essa moderna, è situata nell’adiacente zona di denominazione d’origine Rueda, in cui si producono degli ottimi bianchi da uve verdejo: Viña Cantosán e Tierra Buena. La terza è invece molto antica, risale al XIV secolo, si trova a più di 20 metri di profondità e viene utilizzata per lo spumante Cantosán e per l’affinamento delle riserve più importanti, tra cui appunto il Dominus che proviene da una rigorosa selezione di uve tempranillo raccolte nelle migliori vigne tra quelle più vecchie di tutta la zona della Valle del Duero (principalmente Ribera del Duero y Toro). Vi consiglio di non lasciarsi scappare le annate 2012 e 2015… ma io sogno ancora lla riserva 1998 prodotto da uve di viti che in quell’annata avevano un’età compresa tra i 50 e gli 80 anni, scelte per le rese più basse, non oltre un chilo e mezzo per ceppo. Dopo una fermentazione alcolica a temperatura controllata di 28°C con rimontaggi quotidiani e una macerazione prolungata, la maturazione in botte dell’annata 1998 era durata 671 giorni in barriques nuove di rovere francese di Allier (tonnelleries Radoux, Demptos, Magrenan ecc.) e l’affinamento in bottiglia era durato 24 mesi di cui 12 passati nell’antica cantina medioevale di Mudejar a una temperatura costante di 12°C. Tenore alcolico 13,5%.

Il colore era bello, limpido e brillante, rubino oscuro con tonalità amaranto e porpora, di stoffa molto fine. Aveva solo cinque anni, ma aperto per tempo e ben decantato libera un bouquet complesso di frutta matura, mora, mirtillo, prugna, confettura di prugne, ciclamino, chiodi di garofano, cacao, liquerizia, eucalipto e, secondo Fernando… schiuma di cappuccino italiano. Molto ampio in bocca, rotondo, soave, vellutato, con una buona acidità, tannini sapidi e una glicerina potente, tutti elementi molto ben equilibrati in una suadente armonia. Il finale era molto persistente, il retrogusto era saporito e ampio, senza nessuna asperità, ben amalgamato, avvolgente. Avrei voluto gustarlo anche sui 10 o 15 anni dalla vendemmia, mannaggia!

Un risultato eccellente per un vino da tempranillo, la varietà più coltivata e anche vituperata dell’intera penisola iberica, che si afferma così tra i grandi vini da lungo invecchiamento, che ancora consiglio in bottiglie coricate al fresco e al buio almeno per un altro decennio, il tempo necessario per acquisire la perfezione, un po’ come avviene per quei miracoli della terra di Spagna che sono gli irripetibili vini del Priorato. Quando entra in commercio è già pronto e, servito in calici molto grandi a 17-18°C, va d’accordissimo con salumi e succulente carni rosse arrosto, ma per gli stufati, gli intingoli, la cacciagione e per i grandi formaggi stagionati secondo me può soltanto guadagnare affinandosi ancora ulteriormente a lungo. È un grande vino che ravviva i sentimenti con la sua estrema sensualità ed è perciò da bere in compagnia del proprio migliore amico o della propria donna.

 

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