Wojciech Bosak: ”Eged: la montagna incantata”

Appena usciti dall’abitato di Eger dalla parte della sua moderna zona alberghiera e della piscina, si gira a sinistra all’ultimo casolare, si sale un po’ e davanti ai vostri occhi si apre uno spettacolo mozzafiato. Sono migliaia di ettari di vigneti che riempiono il panorama fino ai piedi del monte Eged, qualcuno anzi vi si arrampica terrazza dopo terrazza, un po’ come i ragazzi che da lassù praticano il parapendìo e riempiono di colori l’azzurro del cielo con le vele variopinte dei propri piccoli alianti. Ricordo che Wojciech Bońkowski provò a schizzarselo su un quadernetto per poterselo ricordare per sempre, mentre Tibor Gál ci indicava a una a una tutte le localizzazioni dei vigneti dei ”magnifici sette” vignaioli di questa magica zona. Disboscando le pendici di questa montagna incantata ricca di meli e di susini selvatici per farne altrettante vigne, si sono trovate perfino tracce degli Etruschi, come mi raccontava Tibor, che conosceva questo posto palmo a palmo. Di lassù ricordo che cercavo il mare, tanto assomigliava alla Sardegna, alla Nurra, alla zona del monte Doglia nell’agro di Alghero. Ma vi lascio ai ricordi ben più recenti di Wojciech Bosak.

 

Il traduttore: Rolando Marcodini

Eged: la montagna incantata

A nordovest di Eger, a non più di tre km dal centro storico della città, si eleva un monte possente, l’Eged, i cui fianchi meridionali per secoli erano noti come le migliori vigne dell’Ungheria e, allora, forse dell’intera Europa centrale. Dai tempi della sconfitta della fillossera questa montagna ha passato delle vicende alterne, è stata perfino totalmente abbandonata ed è soltanto da qualche anno che possiamo godere di nuovo dei vini di questo terroir eccezionale. Il Grande Eged (Nagy-Eged) ha una forma allungata e caratteristica con due sommità (a 536 e a 554 metri s.l.m.) ed è ben distinto dal Piccolo Eged (Kis-Eged, 302 metri s.l.m.) con cui condivide il nome che deriva probabilmente da Sant’Egidio (in magiaro Szent Egyed), il cui culto nel medioevo era molto diffuso in Ungheria, dato che tutti questi terreni sono stati per secoli di proprietà dei vescovi di Eger.

Le radici della sua gloria
L’Eged è il contrafforte sudoccidentale più estremo dei monti Bükk. La struttura della montagna è costruita da dure rocce calcaree e dolomitiche del triassico e del giurassico che affiorano in superficie nelle parti più alte del pendio, su cui si sono adagiati successivi depositi eocenici (calcari nummulitici). È dallo sbriciolamento di queste pietre che si sono formati i ghiaioni e le terre bianche sature di frammenti rocciosi che coprono la parte alta e media dei fianchi del monte, mentre le terre brune, meno ricche di minerali e di sassi, ne ammantano le pendici. Questi terreni differenziano decisamente l’Eged dal resto della regione, nella quale dominano argille vulcaniche relativamente fertili e sabbie sparse su tufo riolitico. Non è però questo l’unico fattore decisivo della rarità di questo terroir, altrettanto essenziale è anche l’ubicazione piuttosto elevata del pendio meridionale, che domina i terreni circostanti da duecento metri di altezza. Qui le vigne si trovano tra i 320 ed i 500 metri s.l.m. e si tratta di quelle più alte di tutta l’Europa centrale. Una volta la vite ricopriva tutto il fianco meridionale della montagna, da cima a fondo, come si vede anche in una stampa della fine del XVII secolo e in successive mappe catastali. Nel XVIII e XIX secolo Eged era famoso per i suoi vini rossi dolci (aszú) prodotti nelle annate migliori, più spesso da uve kadarka. La coltivazione di un pendio tanto erto e suscettibile di erosione ha richiesto però degli sforzi notevoli e degli interventi speciali (la costruzione di muriccioli di rinforzo, sbarramenti speciali, fossati di drenaggio, eccetera) per non permettere alla terra di franare dopo la pioggia a dirotto.

Salutiamo i tempi duri

È a causa di tali difficoltà che già a metà del XIX secolo sono state abbandonate le coltivazioni di quelle vigne situate più in alto e sulle parti più ripide del pendio. Una rovina completata dalla fillossera che è arrivata ad Eger nel 1886, distruggendo fino al 93% delle coltivazioni di vite della regione, comprese tutte le vigne sui versanti del Nagy-Eged. E per molto tempo non sono andate a buon fine neanche le prove per ripristinare queste vigne innestando i vitigni autoctoni su portainnesti resistenti a questo parassita, che probabilmente si adattavano male a questi terreni secchi, sassosi e fortemente calcarei. Agli inizi del XX secolo la montagna era quasi completamente deserta e soltanto su una mappa del 1930 si è ricominciato a disegnare alcune vigne allora esistenti, situate però nella parte più bassa del versante, più facile alla coltivazione. Una parte di queste vigne trascurate (e nel frattempo nazionalizzate) è stata ripristinata nel 1958 secondo le necessità dell’allora Borgazdasági Kombinát (dopo qualche anno rinominato Egervin), ma dopo una ventina d’anni si è abbandonata di nuovo la coltivazione. È in questo stato che la montagna ha raggiunto la fine dello scorso millennio. Malgrado il sopravvenuto cambiamento della situazione politica e l’interesse abbastanza grande dei potenziali investitori sul pendio dell’Eged, per tutto l’intero ultimo decennio del secolo scorso questi terreni giacevano incolti, perché per cause ancora poco chiare non si riusciva a risolvere la questione del ritorno alla privatizzazione. Soltanto dopo il 2000 qualche produttore è riuscito a comprare pezzo a pezzo questa terra e si sono mossi i primi investimenti seri.

La montagna della speranza

Il restauro delle vigne dell’Eged è una grande sfida per tutti quelli che l’hanno intrapresa. È senza dubbio un grande terroir (cosa che hanno già dimostrato i vini di alcune delle ultime annate) ma è anche un posto molto difficile da coltivare. Soltanto alcune di quelle parcelle possono sperare nella meccanizzazione di qualche lavoro, il resto dev’essere coltivato completamente a mano. Un problema rimane quello del pendio sempre suscettibile di erosione, che obbliga a grandi precauzioni sia nei lavori preparatori che nell’impianto delle vigne e più tardi a una conduzione molto accurata. A questo si aggiungano i periodi di forte stress idrico a causa della forte permeabilità dei suoli, che nel caso delle viti più vecchie favorisce certo la qualità dei vini, ma per le viti giovani ai primi anni di produzione possono essere micidiali, dunque bisogna irrigarle. Tutto questo provoca dei costi enormi d’impianto e di coltivazione delle vigne a fronte di rese che non ci si può aspettare certo straordinarie. Qui si raccoglie più o meno tre volte meno uva che nelle comuni vigne di Eger e c’è una dipendenza maggiore dai capricci del tempo. Ho domandato dunque a László Bukolyi (ndt: fondatore, direttore e socio principale della cantina Gróf Buttler), che attualmente possiede la maggiore esperienza nella coltivazione sui versanti dell’Eged (18 ettari su una quarantina in totale), se una vigna in un luogo del genere può essere remunerativa. Ha risposto senz’alcuna esitazione «No» e si vedeva perfino che non aveva affatto voglia di parlarne. Anche se i vini di questi luoghi sono tra i più cari d’Ungheria, sono però sempre molto lontani dai prezzi che spuntano i grands crus de Bourgogne o i principali vini spagnoli del Priorat, dunque queste due o tremila bottiglie per ettaro non ripagheranno proprio un tale investimento. «Spero che i nostri figli, che erediteranno tutto questo senza però subirne i costi, potranno guadagnarci forse qualcosa», ha tagliato corto.

Nuovi orizzonti

Dall’arrivo della fillossera, da quando cioè non si è più riusciti a coltivare come prima gli antichi ceppi sulle proprie radici, qualche volta si è pure provato a mettere il morso al Grande Eged, con vari effetti, come si vede. Non ci rimane altro che credere che questo secolo di prove e di errori non sia andato del tutto perduto. Anche  i pionieri contemporanei qui hanno sudato le cosiddette sette camicie, provando a scegliere dei vitigni, dei cloni e dei portainnesti più adatti e sperimentando diverse densità d’impianto, sistemi di allevamento e lavorazioni dei suoli. Non le tutte decisioni sono riuscite e parecchie volte si sono dovuti correggere dei lavori già avanzati o perfino reimpiantare daccapo intere parcelle. È anche difficile giudicare fino in fondo gli effetti di questo immenso lavoro, tanto più che questo è un pendio molto vasto e la frugalità dei fertili appezzamenti ai suoi piedi (dove qua e là si è conservata per generazioni la continuità della coltivazione della vite) li differenziano parecchio dal carattere dei ghiaioni calcarei situati più su e che sono stati piantumati di nuovo soltanto alcuni anni fa. Proprio il Nadas-oldal, questo frammento più sassoso del versante, dove l’inclinazione del pendio supera qua e là il 40%, suscita le massime emozioni ma anche le speranze e soltanto il tempo mostrerà come si comporteranno queste nuove vigne in condizioni così estreme. Soltanto alcune delle annate fin qui vinificate mostrano però distintamente che i vini rossi del Nagy-Eged sfiorano già adesso la vera grandezza e fra qualche anno alcuni potranno superare tutti i migliori vini precedenti, non soltanto di Eger, ma dell’intera Ungheria. Alcuni affermano che questo è un terroir altrettanto eccezionale per i vini bianchi, ma la cosa per me non è proprio così evidente. Lassù può avvenire ancora di tutto, perché una parte cospicua di quel pendio è ancora incolta, ma quei lotti di terreno, per delle cause ancora misteriose, per ora non sono da comprare (o almeno così dicono i locali).

 

Wojciech Bosak

Giornalista e critico enologico (collabora con Magazyn Wino i Czasem Wina), giudice di concorsi enologici internazionali. Da diversi anni si occupa di educazione al vino, conduce corsi e formazione, è autore di programmi di formazione e libri di testo. È docente di studi post-laurea in Enologia presso l’Università Jagellonica. Ideatore e co-fondatore dell’Istituto Polacco della Vite e del Vino. Fornisce consulenza per l’impianto di vigneti. Vincitore del Grand Prix di Wino Magazine 2013 come promotore della cultura del vino in Polonia. Si occupa, tra l’altro, della storia della vinificazione, del diritto del vino, dell’economia della vinificazione nonché l’influenza dell’habitat sulla viticoltura. Co-fondatore dell’Istituto della Vite e del Vino di Cracovia e della Fondazione Galicja Vitis per lo sviluppo e la promozione della vinificazione.

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