Wojciech Bosak sulla rinascita dell’Egri Bikavér

Wojciech Bosak sulla rinascita dell’Egri Bikavér

Sinceramente, non posso fare altro che godere, nel pieno senso della parola, di tutte le buone notizie sul vino che ci arrivano oggi dall’Ungheria. In quanto alla zona vitivinicola di Eger, non posso non ricordare con profonda commozione l’amico Tibor Gál, che da presidente degli enologi ungheresi riuscì ad attivare i vignaioli di quel gran bel pezzo di terra sul fianco meridionale e ai piedi del monte Eged per farvi un vigneto alla pari con la Borgogna. Tibor è scomparso prematuramente in un incidente stradale in Sud Africa e non è riuscito perciò a vedere i meravigliosi frutti del suo gran lavoro. Sono i suoi figli e sua sorella Kinga che incrociano oggi la sua gloriosa spada in un mondo del vino magiaro che è tornato finalmente alla gloria come voleva lui. In tasca tengo sempre un sassolino grigio raccolto sotto una quercia di quella bella terrazza sull’Eged dove Tibor voleva costruire la sua casa. Mi aveva visto quando lo raccoglievo, ma non mi aveva chiesto perché avessi gli occhi lucidi. Non ce n’era bisogno. Bastava uno sguardo per capirci. Vi traduco perciò con molta fierezza questo articolo di Wojciech Bosak, ma seguirà una serie di altri interventi sulla rinascita dei vini di Eger, perché lo meritano, sebbene senza le saporite pietanze magiare si trovano davvero un po’ spaesati…

Il traduttore: Rolando Marcodini

Egri Bikavér: la rinascita

In Polonia conosciamo l’Egri Bikavér soprattutto nella sua versione da supermercato e da bottega rionale a più o meno un paio d’euro (eppure alcuni pensano che anche così è troppo caro!). Se dunque mi ostinassi qui a sostenere che può anche essere un vino ambizioso, che vale un prezzo dieci volte tanto, molti dei miei connazionali sicuramente mi metterebbero in croce. Non c’è dubbio che Eger sia una delle più importanti regioni vitivinicole dell’Ungheria e forse di tutta l’Europa centrale ed orientale. Non si può neanche dire che laggiù non sia successo proprio niente, anzi soprattutto nell’ultimo ventennio è cambiato moltissimo, si è fatta notare una decina di produttori degni di attenzione con centinaia di vini veramente interessanti. Ciononostante, questa regione aspetta ancora quella fama e quel prestigio che hanno già Tokaj o Villany, in quanto è opinione diffusa che la sua enologia sia rivolta piuttosto a prodotti di massa. E sebbene gli Egri Bikavér ambiziosi, prestigiosi o semplicemente ben fatti siano sempre più numerosi, è un fatto che non riescono a liberarsi dal discredito che accompagna quella paccottiglia da supermercato che viene però venduta con la stessa denominazione, specialmente all’estero. Dal 2003 comunque si è introdotta la nuova tipologia Egri Bikavér Superior con criteri di qualità molto più severi rispetto ai prodotti di base. Meglio affidarsi a questa.

Vicende alterne

In Ungheria è già da un quarto di secolo che si discute sulla rinascita del Bikavér, sia di quello di Eger che di quello della meno nota Szekszárd. Ed è anche in base a quello che scrive la stampa specializzata locale che si ricava l’impressione che i Magiari considerano evidentemente questo tradizionale uvaggio come la chiave di volta dell’enologia di Eger. Per la precisione: d’ora in poi non parliamo più di vini a poco prezzo, ma solo di Bikavér degli scaffali più alti. Agli inizi del secolo scorso l’Egri Bikavér era già senza dubbio un vino di prestigio e con questo nome di solito si distingueva il migliore uvaggio di ogni cantina. I vitigni di base di quel vino erano allora kékfrankos, kadarka, kékoportó e médoc noir (oggi chiamato menoire). A dire il vero negli anni tra le due guerre mondiali ci sono state anche delle versioni più “popolari” del Bikavér, però fino all’ultima guerra mondiale era ancora uno dei vini ungheresi più famosi ed apprezzati. Dopo questa guerra, a Eger la produzione di vino è stata monopolizzata dai grandi complessi statali, come l’Egervin sorto nel 1949 o l’Egri Csillagok (per molti anni il maggior esportatore di vini ungheresi in Polonia). Negli anni sessanta l’Egri Bikavér è diventato il principale vino ungherese da esportazione, ma sotto questo nome si nascondevano già dei pessimi miscugli senza carattere, spesso tagliati con i vini della grande pianura. E nel quarto di secolo successivo il marchio Bikavér è stato il sinonimo esclusivo del vino a poco prezzo.

Recuperare il tempo perduto

Ancora poco tempo fa ci era sembrato che il Pinot Noir potesse diventare il nuovo classico vino di Eger (specialmente dopo una serie di vini ben riusciti a Tibor Gál) e che la stella delle ultime vendemmie fosse lo Syrah, ma com’è curioso invece il gran ritorno a questo “sangue di toro”! Oggi i vignaioli di Eger sono tornati a vinificare gli antichi e quasi dimenticati vitigni autoctoni, come kadarka e menoire (médoc noir, kékmedoc), quelli che in purezza potrebbero diventare tuttalpiù una curiosità locale, ma che sono semplicemente insostituibili come componenti del Bikavér tradizionale. A Villany si può fare un buon vino rosso in qualsiasi modo e con qualunque stile, tanto diventa subito una stella mediatica. A Eger non basta più, qui bisogna fare un buon Bikavér! C’è soltanto da definire come, perché nessuno sa “che cosa” dev’essere. Se lo domandassimo agli stessi vignaioli, sentiremmo una dozzina di risposte diverse. La più semplice è quella di dimenticare i tempi infausti, quando lo standard era la produzione in serie della Egervin, per tornare ad usare gli antichi uvaggi con cui l’Egri Bikavér si è guadagnato la stima internazionale. Il fatto è che dei vitigni a suo tempo fondamentali per la produzione del Bikavér attualmente si coltiva su vasta scala soltanto il kékfrankos e un po’ di kékoportó. La kadarka, che un tempo a Eger dominava, è stata quasi totalmente estirpata (nel 2002 ce n’erano appena alcuni ettari) e malgrado i nuovi impianti degli ultimi anni ce n’è ormai soltanto una quantità medicinale. Al suo posto sono comparsi altri vitigni, come il generoso zweigelt, il blauburger, entrambe i cabernet ed il merlot. Invece a Szekszárd è il contrario, la base è di kadarka invece del kékfrankos. I vinificatori contemporanei di un grande Bikavér devono dunque cercare spesso una nuova formula del suo uvaggio, usando questi vitigni che sono appunto a disposizione.

Formule nuove

Oggi il vitigno più coltivato ad Eger è il kékfrankos (circa il 40% di tutti i vitigni rossi piantati) e le sue uve sono il componente principale della maggior parte degli attuali Bikavér. Ma sotto questo nome possono nascondersi altrettanto bene degli uvaggi basati sui vitigni bordolesi! Fino a pochi anni fa si esigeva soltanto che in uvaggio ci fossero almeno tre vitigni autorizzati diversi (quattro nel caso dei vini Egri Bikavér Superior) e che nessuno di essi superasse il 50%, oltre ad una maturazione di almeno un anno in botte di legno. Poi è entrato in vigore il nuovo disciplinare di produzione dell’Egri Bikavér che da una parte ha lo scopo di elevare la qualità dei vini di base e dall’altra di definire più esattamente quello che devono essere i vini Egri Bikavér Superior. Ai dieci vitigni fin qui autorizzati alla produzione (kékfrankos, kékoportó, kadarka, menoire, blauburger, zweigelt, cabernet sauvignon, cabernet franc, merlot e pinot noir) se ne aggiungono ora altri tre: biborkadarka, syrah e turán (quest’ultimo non oltre il 5% dell’uvaggio). Nelle norme per il vino di base, che d’ora in poi sarà denominato Egri Bikavér Klasszikus, si abbassa la resa di uve per ettaro da 100 fino a 90 ettolitri, mentre rimangono invariate le restanti regole che riguardano la maturazione delle uve (tenore alcolico minimo del 12,08% per ambedue i cabernet, merlot, pinot noit, menoire, syrah e del 10,60% per le altre).

Alte sfere

Nel caso dell’Egri Bikavér Superior rimane la stessa resa di vino per ettaro (60 ettolitri), ma si richiede una maggiore maturazione delle uve, aumentandone il tenore alcolico al 12,83% per tutti i vitigni. Il vino sarà ancora giudicato in degustazione da una commissione indipendente. Si sono definite anche nuove regole sulla composizione dell’uvaggio: eccetto il kékfrankos, la cui percentuale può variare dal 30 al 50%, nessun altro vitigno potrà superare il 30% (nel caso dei due cabernet, si specifica: insieme). Grazie a questo l’Egri Bikavér Superior dovrebbe diventare più prevedibile e stilisticamente omogeneo, perché fin qui potevano invece avere la stessa denominazione sia i vini completamente tradizionali, basati sui vitigni autoctoni, sia quelli dallo stile moderno, composizioni “internazionali” con l’impronta netta del cabernet. Dal 2010 si è fatta largo anche una nuova categoria di Bikavér: i crus (dûlõ) da singole vigne. Esclusivamente i vini Superior ottenuti da uve interamente provenienti da una data parcella potranno riportare in etichetta il nome del vigneto. Il fatto ha un grande significato, poiché Eger è uno dei pochi posti in questa parte d’Europa dove sono molto accentuate nei vari vini le biodiversità e la classe de singoli terroir. Basterebbe paragonare i vini di Nagy-Eged o di Sikhegy con quelli provenienti da vigne meno famose (perfino dello stesso produttore) per convincersi dell’immensa differenza.

Preoccupazioni e speranze

Il tempo ci dirà come verranno attuate in pratica queste nuove norme. Nel caso degli Egri Bikavér Klasszikus di base non sarà certo un cambiamento cosmetico della resa di uve per ettaro a correggere in modo radicale la loro qualità. Invece le regole per l’Egri Bikavér Superior in linea di massima non si differenziano da quelle già vigenti nelle più rinomate denominazioni europee. In questa tipologia ci si può aspettare di anno in anno dei vini sempre migliori, specialmente fra quelli provenienti da singole vigne. Questo non liquida però la maggior debolezza dei Bikavér ambiziosi e potenzialmente prestigiosi, che sta nella loro associazione semantica con vini molto, molto mediocri sotto la stessa denominazione. Risulta molto difficile credere che qualcuno che non conosca fin da piccolo la lingua magiara o non abbia buone conoscenze tra i vignaioli di Eger possa capire che cosa differenzi l’Egri Bikavér Védett Eredetű Klasszikus Bor” dall’Egri Bikavér Védett Eredetű Superior Bor”. Sospetto che perfino la grande maggioranza degli ungheresi non sappia poi molto di che cosa si tratta. Qualcuno dirà che anche Chianti o Rioja soffrono di una tale doppiezza nel marchio. D’accordo, ma quei vini forse non hanno mai sofferto nella loro storia di un’opinione tanto infangata, come è successo invece ai Bikavér di poco prezzo negli ultimi decenni. Il problema consiste pure nel fatto che una parte significativa di vignaioli di Eger (non escluso quelli di serie A) guadagna delle cifre abbastanza grandi anche producendo un Bikavér non troppo caro, popolare, spesso venduto separatamente ai grandi grossisti.

Non c’è comunque altra alternativa che quella di un prevedibile futuro di vini esclusivamente di classe superiore e il Bikavér diventerà un giorno l’equivalente ungherese del Barolo o del Pauillac. Una modifica essenziale può essere appunto il nuovo sistema di indicazione in etichetta del cru di provenienza, privilegio riservato esclusivamente ai Superior. Si può sperare che i migliori terroir di Eger (penso in particolare a Nagy-Eged) cominceranno col tempo a funzionare come delle sottodenominazioni indipendenti, sulla base di ciò che avviene con i grands crus de Bourgogne.

Wojciech Bosak Giornalista e critico enologico (collabora con Magazyn Wino i Czasem Wina), giudice di concorsi enologici internazionali. Da diversi anni si occupa di educazione al vino, conduce corsi e formazione, è autore di programmi di formazione e libri di testo. È docente di studi post-laurea in Enologia presso l’Università Jagellonica. Ideatore e co-fondatore dell’Istituto Polacco della Vite e del Vino. Fornisce consulenza per l’impianto di vigneti. Vincitore del Grand Prix di Wino Magazine 2013 come promotore della cultura del vino in Polonia. Si occupa, tra l’altro, della storia della vinificazione, del diritto del vino, dell’economia della vinificazione nonché l’influenza dell’habitat sulla viticoltura. Co-fondatore dell’Istituto della Vite e del Vino di Cracovia e della Fondazione Galicja Vitis per lo sviluppo e la promozione della vinificazione.

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