“Úrágya” Furmint 2015 Szepsy Pince

Úrágya

In un commento su un post del suo profilo in Facebook a proposito di abbinamenti classici ed ”eretici” con un paté russo di fegato grasso d’anatra il compagno e amico Vignadelmar aveva espresso un parere piuttosto perentorio sui vini Tokaji scrivendo: “Szepsy, gli altri sono acqua fresca” e allora ho deciso di accontentarlo, visto che è dal 2003 che conosco molti eccellenti Tokaji, ma non ce n’è uno tra gli Aszú 6 puttonyos (i più dolci, oltre i 240 grammi/litro) che possa battere quello di István Szepsy senior.

Fino ad allora i vini bianchi dolci non mi piacevano proprio, ma da quel momento posso affermare senza tema di smentita che andare a Tokaj e non vedere István Szepsy senior è come andare a Roma e non vedere il Papa.

Più che a Mád, dove si trova la sua cantina ”Szepsy Pince”, le prime volte lo trovavo più facilmente al lavoro presso le antiche cantine reali ”Királyudvar” nel paese di Tarcal, dove per qualche anno è stato il deus ex machina di un meritato rilancio.

È famoso per la sua proverbiale pazienza (messa a dura prova anche dalle mie insistenti domande sul rapporto tra zuccheri residui e acidità, per ogni vino!), infatti è un eccellente maestro che sa spiegare in modo facilmente comprensibile tutto ciò che a un cliente comune risulta invece complicato, anzi direi che a Tokaj è il docente migliore in materia di vitivinicoltura.

Ormai è conosciuto in tutto il mondo per le mappe, le rocce e i sedimenti che mostra sempre ai visitatori mentre descrive le caratteristiche pedoclimatiche delle vigne, come si può ben vedere nelle foto.

Úrágya

Quando comincia a raccontare delle sue vigne e delle varie differenze che ciascuna trasmette al proprio vino si trova nel suo elemento e perde completamente la nozione del tempo. «Là dove la struttura del terreno è sottile e le radici della vite toccano le rocce che si aprono sui dirupi, le piante devono lottare per sopravvivere, mentre in un altro posto si svilupperebbero senza nessun ostacolo. Anche usando le uve della stessa varietà ottengo dei vini completamente diversi. Abbiamo 65 ettari di vigne situate in molti posti differenti di ben 6 comuni».

Et voilà: ecco le mappe, i sassi e le terre! Szepsy è soprattutto un sognatore. Anche se i suoi vini sono ben conosciuti negli Stati Uniti, in Cina, in Giappone, in tutta Europa e nonostante che raggiungano i prezzi più elevati di tutta la regione, il ”re dell’Aszú” (com’è ormai chiamato, dato che è il 17esimo discendente diretto dell’inventore del Tokaji) continua a lavorare senza sosta.

Szepsy vuole che il vino diventi perfetto sotto ogni aspetto e per questo fa da sempre una marea di vinificazioni separate nonostante che produca ben pochi vini in assemblaggio.

Un gran bell’esempio anche per suo figlio István junior che nel 2009 ha fondato, sempre in Mád, la ”Szent Tamás Szőlőbirtok és Pincészet” insieme con Géza Ipacs e Károly Kovács su 25 ettari sparsi però in 26 piccole vigne.

Bisogna sapere che la zona vitivinicola intorno a Tokaj, dove si fanno i vini Tokaji, si estende su basse colline molto dolci e arrotondate ai piedi dei monti Zemplén, una barriera efficace contro il freddo che scende a volte da Murmansk e altre volte dal Baltico.

I suoli sono di origine vulcanica: 50 milioni di anni fa qui c’erano 2.000 vulcani e geysers che sparavano vapore fino a 500 metri d’altezza e oggi, infatti, ci sono molte terme. Acqua e lava hanno triturato e macinato molto bene le rocce in piccoli sassolini di riolite brecciata che si trova adagiata su strati di andesite in compagnia di tufo (contenente anche dei grumi di gesso bianco), caolino, terre argillose e calcaree, mentre intorno al monte che domina la ridente Tokaj e in pochi altri posti c’è il loess.

I terreni sono poveri e ben sbriciolati, un vero paradiso per estrarre dalle uve delle composizioni aromatiche molto pronunciate, con delle sottili diversità che arricchiscono i profumi con le note proprie dei vari terroir.

A Tokaj c’è un microclima ideale per la vite, ma anche per la formazione della botrytis cinerea, quella muffa nobile che a settembre comincia a seccare gli acini e a concentrarne gli zuccheri. La leggenda narra che il signore di Tokaj era stato impegnato così a lungo nelle battaglie contro i Turchi che nel 1620 tornò troppo tardi per vendemmiare normalmente a settembre, perciò dovette rimandare la vendemmia al mese di novembre, proprio quando la preziosa muffa nobile aveva ormai essiccato una buona parte degli acini (da cui il termine aszú).

Il vino però venne molto buono a diversi gradi di dolcezza, contraddistinti dal numero di secchi (puttonyos) di uve botrytizzate recuperate aggiungendole ai barilotti (gónc) di vino fatto da uve sane. Da quel momento si abbandonò sempre più la produzione di vini secchi o abboccati per fare solo quelli dolci e il metodo fu perfezionato tra il 1630 e il 1650 da Máté Szepsy Laczkó (proprio l’avo di István).

Anche se attualmente il processo è un pochino diverso, a evidenziare il grado di dolcezza per comodità della clientela rimane il numero di puttonyos (massimo 6).

L’Aszú 6 puttonyos della Szepsy Pince è un crescendo di profumi e di sapori tra zagare, glicine, miele d’arancia, albicocca secca, pesca gialla matura, scorze di frutta candite, mandarino in mostarda, fichi, ananas sciroppato, con note appena percepibili di melone, banana, anche nocciola e tabacco dolce.

I livelli alcolici non sono molto alti, più o meno intorno all’11%, e gli zuccheri residui sono tanti, normalmente da 120 a 450 grammi per litro, ma è molto significativo l’alto tenore di acidità che equilibra la dolcezza.

Raggiunta la fama con questo Tokaji dolce, Szepsy ha intrapreso la strada di un’ulteriore modernizzazione dell’Aszú (che maturava in botte per 5 o 6 anni) per produrlo un po’ più fruttato e più vivace, riducendo la durata dell’invecchiamento in rovere fino a tentare di toglierlo dal legno.

Con una materia prima più buona, si raggiunge comunque l’equilibrio tra l’acidità, gli zuccheri e la mineralità. A mio modesto parere, le poche esperienze di degustazione che ho avuto dimostrano già che il suo Tokaji Cuvée1999 ”esplode” in bocca con una stupefacente vivacità.

È stato il primo Aszú impeccabile, prodotto in 6.000 bottigliette da mezzo litro da una cuvée di furmint e hárslevelű dotata di una setosità che ne ha fatto sicuramente uno dei migliori vini dolci del mondo (alcool 11%, zuccheri residui 163 g/l, acidità 9,65 g/l).

Non finisce qui. Szepsy ha continuato a sviluppare la conoscenza di terreni e cloni di furmint, hárslevelű e muskotály che a settembre danno vini ancora sani, non toccati dalla botrytis cinerea e quindi secchi o, al massimo, abboccati, com’erano i Tokaji prima della famosa vendemmia del 1620.

Il cosiddetto 2 + 2 = 4. Ed ecco Szepsy impegnato in un ambizioso ”ritorno al futuro”, una svolta storica impressa da questo scienziato contadino e sognatore. Si è sempre pensato che dal furmint non si potesse ricavare un vino secco buono, di alto livello qualitativo, ma alcune fra le tante vigne danno vini di buona struttura, vivace acidità e ricchezza aromatica.

Úrágya

Si sono curate particolarmente le vinificazioni separate di quelle vigne con i cloni che erano stati selezionati dopo la seconda guerra mondiale, perché questi grappoli sono più grandi e gli acini sono più aerati, quindi evitano anche la muffa nobile meglio degli altri.

Il miglioramento della qualità dei vini bianchi secchi non è facile, non c’è una tradizione già affermata e l’unico modo per ottenerla sempre di più è studiare i comportamenti delle viti in piccole parcelle con portainnesti e cloni di vitigni diversi a seconda dei terreni.

C’è molto lavoro ancora da fare. Posso confessare che nel 2003 ero convinto che i vini secchi di Tokaj fossero anche dei vini sinceri, puliti, con aromi di pane appena sfornato, birra, fiori di campo, fieno secco e agrumi, ma certamente non la fine del mondo e anche nelle trattorie sul fiume o in campagna avevo sempre pensato che invece di andare fino a Tokaj per degustare soltanto vini bianchi secchi forse conveniva… restare a casa.

Invece proprio Szepsy sta progredendo, a volte più velocemente, a volte più lentamente, ma sempre in avanti. Si è messo in testa di studiare quanto di meglio si può ricavare da un determinato vigneto.

Per questo è importante che molti clienti possano assaggiare i vini ed esprimere subito le loro critiche o i loro apprezzamenti. Non gli basta presentare le bottiglie all’estero e attendere a lungo il parere della critica mediatica.

Questo è l’uomo che ammiro a Tokaj, esattamente come Lajos Gál a Eger. La famiglia di Szepsy produce uve e vino fin dal 1500. Szepsy è nato a Bodrogkeresztúr nel 1951, dopo la laurea ha lavorato dal 1975 al 1991 nella cooperativa di Mád e dal 1990 al 1992 ha partecipato alla fondazione del Royal Tokaji Borászat.

Nel 1987 ha fondato la Szepsy Pince in cui però si dedica a tempo pieno solo dal 2005. Ha ricevuto diversi e prestigiosi riconoscimenti professionali e statali: ufficiale dell’Ordine al merito della Repubblica d’Ungheria nel 1999, miglior enologo di Tokaj nel 2001, gran croce dell’Ordine al merito della Repubblica d’Ungheria nel 2010, premio ”Seigneur du vin” ideato dalla Fondazione Bertarelli con Lalique durante il World Wine Symposium 2013 a Villa d’Este sul lago di Como.

Fa vini Tokaji Furmint secchi (szaras) da molte vigne (dűlő): Úrágya, Nyúlászó, Szént Tamas, Betsek, Birsalmás, Sarkád e Urbán nell’agro di Mád, Hasznos e Bányás a Tállya, Dorgó a Mezőzombor, Nyulas/Liliom e Thurzó a Tarcal, casa Szepsy a Bodrogkeresztúr.

Le attività in vigna e in cantina sono le stesse per tutti, con rese che non superano mai i 40 quintali per ettaro. A seconda dei suoli delle vigne (argilla, tufo giallo, riolite, marne gialle, quarzo, argilla rossa ecc.), dell’età dei ceppi (piantumati dal 1956 al 2008) e delle esposizioni al sole, i tenori alcolici variano dal 13,0 al 14,5%, i residui zuccherini variano da 1,4 a 6,4 g/l, gli estratti secchi variano da 19,4 a 22,1 g/l, le acidità variano da 5,1 a 6,8 g/l.

Mi è piaciuto l’Úrágya Furmint 2015, da viti di 60 anni di una vigna che quasi quasi casca dentro il centro di Mád. Sul posto la bottiglia da 0,75 l costava 13.000 fiorini (circa 40 €), una cifra che un ungherese spenderebbe più volentieri piuttosto per la bottiglietta da mezzo litro di Aszú 6 puttonyos invece che per quella intera di un bianco secco.

Uragya

Ma è dal 2003 che aspettavo qualcosa di diverso, di valido, di promettente, un carattere diverso da quelli che trovavo in Ungheria, in Cechia e in Slovacchia negli anni precedenti, che mostrano un fruttato molto più maturo dell’annata scritta in etichetta e che sono più adatti con le pietanze forti di cipolla e peperoni dell’Europa centrale, mentre noi italiani siamo abituati a vini più cristallini, floreali, profumati di fresco e per un altro tipo di cucina, molto mediterranea.

Questo è un vino già più facile da amare, perché più caldo e cremoso di altri Furmint. Dalle note aromatiche emergono pera matura, mela cotogna, agrumi, pesca gialla, albicocca, ma anche mais, burro di arachidi, spezie e confetto da sposa.

È leggermente e piacevolmente acidulo, ma con una potenza alcolica notevole che si avverte però soltanto quando ci si alza da tavola e diventa problematico reggersi su una sola gamba. È molto più complesso, più raffinato, più dinamico e più elegante dei precedenti, anche se è graffiante, di una crudezza che invita a fare una scorpacciata di trippa in rosso, ovviamente al peperoncino, tipica di questa zona e davvero succulenta. In una sfida a braccio di ferro è il vino che la spunta!

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