La carne non ha gusto e non sappiamo il perchè

Ci vantiamo della qualità dei nostri prodotti, delle nostre carni. Ma la ricerca non conosce ancora le molecole responsabili del gusto. Quindi, la qualità è un fatto casuale, che ritroviamo all’insaputa dei produttori e dei consumatori.

Normalmente, se posso, evito la carne, perché so che in Italia la stragrande maggioranza degli allevatori alimenta i bovini, i suini e il pollame con un grande quantità di mangimi, prodotti a loro volta in sistemi molto intensivi e che, nel caso dei bovini, la parte riservata all’erba, perché sono ruminanti, è rappresentata da paglia o da fieni scadenti.

Quindi, il risultato è scontato: flavour assente.

Mi rifaccio quando sono all’estero, dove c’è sempre la possibilità di scegliere una buona carne.

Mi trovo in Svezia e nei supermercati è un piacere osservare i reparti di carne, formaggi e latte.

Una variabilità che non ti aspetti sia di marchi e sia di livelli qualitativi.

Questa volta, al reparto carne, l’occhio si è fermato sul prezzo del petto di pollo: 30 euro al chilo.

L’ho comprato e il risultato è stato quello atteso, perché nell’etichetta veniva riportato che i polli pascolavano, che è una cosa ben diversa dall’essere allevati a terra.

 

 

Nel primo caso mangiano di tutto, nel secondo, i soliti mangimi.

Il pollo, arrostito sulla piastra, aveva un odore gradevole e un gusto non intenso ma abbastanza lungo.

22In Italia la macelleria è organizzata come un bar: c’è solo un tipo di carne o di caffè.

Non ne possiamo scegliere il livello qualitativo.

E però ci vantiamo di avere una buona carne e di essere il paese che ha inventato l’espresso.

Ma non conosciamo il caffè e tantomeno la carne.

Ma fosse solo questo il problema.

Purtroppo, la domanda a cui non c’è ancora risposta è un’altra: quali molecole determinano il gusto della carne e delle materie prime in generale?

Perché se non conosciamo queste molecole, non sappiamo nemmeno da cosa il gusto dipenda.

Chi ha avuto modo di leggere qualche mio articolo precedente saprà che mi porto dietro questo dilemma da almeno un quinquennio.

Continuamente provo a vedere se in bibliografia ci siano ricerche aggiornate su questo tema, ma non ho mai trovato granché.

 

Allora ho pensato di telefonare a Marcello Mele, professore all’Università di Pisa ma soprattutto uno studioso che ha molto lavorato su queste tematiche e che non disdegna il confronto, cosa non da poco in questo settore.

Gli chiedo: se una fetta di carne, di qualsiasi specie animale, ha un odore o non ce l’ha, noi sappiamo che il tutto è dovuto alle componenti volatili, sappiamo anche che il gusto dipende dalle componenti non volatili. In quest’ultimo caso, di cosa parliamo? Quali molecole entrano in gioco? “Indubbiamente”, risponde, “tra le molecole responsabili quelle idrosolubili come i polifenoli possono avere un ruolo, perché il 70 % della carne è rappresentata dall’acqua e i polifenoli sono solubili in acqua.  Poi ci possono essere anche altre molecole come aminoacidi e lipidi che si liberano in risposta al processo di frollatura e di conservazione”.

È vero, rispondo, che ci sono lipidi ossidati, come nel caso del prosciutto iberico, ma questi fenomeni intervengono dopo, durante la stagionatura.

In effetti”, mi dice, “se parliamo del gusto primario della carne, al di là delle molecole che si possono originare nel corso della frollatura, la tua ipotesi sui polifenoli quali responsabili del gusto è intrigante, anche perché queste molecole hanno un’origine vegetale, derivano dalle erbe che entrano a costituire la razione degli animali. Però di fatto, ne sappiamo poco, anche perché alcuni polifenoli non passano la barriera digestiva e altri possono essere metabolizzati nel rumine, quindi è anche difficile determinarli dal punto di vista analitico. Non si può escludere inoltre che altri metaboliti secondari delle piante possano partecipare alla definizione del gusto. In pratica non conosciamo le molecole responsabili di uno dei sensi che sono alla base della gastronomia e dell’alimentazione. D’altra parte, tutte le griglie che vengono utilizzate per pagare la carne in funzione della qualità, derivano da una logica merceologica, si basano su quanta carne si ricava da una carcassa”.

Ma non c’è al mondo un paese che utilizza modelli di pagamento basati sulla qualità aromatica?

Risponde: “che mi risulti, l’unico metodo più avanzato e vicino ad un approccio qualitativo è il MSA (Meat Standard Australia), che prevede 5 classi di qualità segnalate con altrettante stelle e che tengono conto non solo dei parametri relativi alla resa ma anche dell’accettabilità di parte dei consumatori”.

Prova a raccontarmelo, ma vedo che è abbastanza complicato, anche se interessante, per cui concordiamo che proverà a scrivere un articolo sull’argomento.

Riprendiamo il discorso sul gusto.

Ma allora, chiedo: se noi non conosciamo le molecole responsabili del gusto e se il gusto è uno dei componenti basi della gastronomia, concordi con me che chi fa qualità la fa a sua insaputa? “Purtroppo, è così, sento troppo spesso in giro persone che parlano solo di grasso e di frollatura e riducono il concetto di qualità della carne al solo parametro della tenerezza”.

Quindi, allo stato dei fatti, noi sappiamo che se gli animali vengono allevati al pascolo, l’odore del latte e della carne, che dipende dalle componenti volatili, ne risente, in quanto si ha un aumento del loro contenuto. Invece non sappiamo quali siano le molecole responsabili del gusto, anche se tutto lascia pensare che i polifenoli, presenti in grandi quantità nelle piante, diano il contributo più importante.

A onor del vero, tutti i testi dicono che il gusto sia dovuto a tutta una serie di molecole non volatili quali gli acidi organici, l’acido glutammico e i sali minerali, ecc., e che i polifenoli diano solo note fastidiose come astringenza, amaro e odore di stalla (cresoli).

Ma non ne vengono riportati i dati specifici e, infine, non si conoscono i fattori che determinano il livello gustativo di un prodotto. Insomma, se noi vogliamo ottenere una carne o anche qualsiasi altra materia prima che abbia un gusto lungo o cortissimo che metodo di produzione dobbiamo adottare?

Quindi, c’è molta confusione sotto il cielo della gastronomia e della ricerca.

Per adesso prendo questa intervista come un momento importante di questo lungo percorso iniziato qualche anno fa: c’è un altro studioso che non sorride quando sente parlare di polifenoli, anzi addirittura annuncia che a breve avvierà una ricerca molto puntuale su questa ipotesi.

Ed è già un grande risultato.

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