La pizza con l’ananas fa male

La pizza con l'ananas fa male

Il titolo la pizza con l’ananas fa male vi avrà fatto correre a cliccare. Tranquilli! Non è tossica ne, tantomeno, cancerogena. Anzi, ma qui servirebbe il parere di un nutrizionista, probabilmente l’ananas finisce anche con il ridurre i grassi del latticino.

La pizza con l’ananas fa male perché è un vero attentato alla nostra cultura. Perché rischia  con il passare del tempo di schiavizzarci alle richieste dei turisti.

Faccio un esempio più chiaro. Chi pizzaiolo, secondo voi, ha piacere di fare una pizza “Panna, prosciutto e mais” o una “Wurstel e patatine”. La risposta è solo una: nessuno.

Sono le pizze più detestate dai pizzaioli e non per il tempo che richiedono come la 4 stagioni ormai scomparsa dai menu ma per i loro ingredienti.

Create nell’ignoranza degli anni ’80, periodo buio degli abbinamenti in pizzeria; sono rimaste piantate sui menu saldamente al punto tale che oggi il rischio, dopo circa un cinquantennio, è quello di trovarcele nell’elenco delle pizze storiche come si fa con una Panda 30 del 1980, lì accanto a Topolino e Balilla scintillanti.

Ma quando nasce e dove la pizza con l’ananas?

Chiamiamola con il suo vero nome tanto per cominciare: Pizza Hawaii.

Così si chiamava in Germania dove l’ho vista per la prima volta nel 1993. Sono tornato sui miei passi perché la mente mentre passavo dinanzi alla vetrina di un panificio mi aveva mandato un segnale di “anomalia”. C’era qualcosa che non conoscevo ma che soprattutto non andava. Era lei.

Sembrava uno scherzo di un bambino. Base rossa di pomodoro, fiordilatte, prosciutto cotto e “piastrellatura” di fette di ananas (sicuramente sciroppato). Una roba inguardabile.

E si faccia attenzione, non una pizza con la frutta come già dalla metà degli anni ’70 faceva Gennaro Del Buono al Corso Secondigliano. Lì erano pizze dolci. Qui era tutt’altro.

Il disgraziato abbinamento non era partito però da un abbinamento errato.

Così come prosciutto crudo e melone cantalupo stanno bene insieme, prosciutto cotto e ananas (anche maturo) non stanno assolutamente male insieme. Anzi è un abbinamento interessante.

La disgrazia vera è che questo abbinamento è stato riportato su una margherita e con l’ananas sciroppato.

Chi sia stato l’inventore non è ben chiaro. Ci sarebbe in Ontario (Canada) un canadese di origini greche, Sam Panoupolos che ne rivendicherebbe la creazione che farebbe risalire al 1962 nel ristorante dove lavorava all’epoca (The Satellite)

Spaghetti allo scoglio con parmigiano grattugiato e carne al ragù con cappuccino caldo

Queste due delle decine di richieste che i ristoratori napoletani si sono visti fare più di una volta da clienti stranieri. Qui, alle nostre latitudini non si è ceduto ma altrove da questa deriva si è passati pian piano, senza nemmeno accorgersene all’oblio della propria cultura.

Si pensi a città come Venezia, Milano o Firenze, aggredite prima di noi dal turismo. I luoghi che propongono una cucina tradizionale diventano sempre meno. E non solo perché le nuove generazioni sono cresciute meno nella tradizione ma soprattutto perché si è venduto al turista ciò che voleva.

Così da Venezia Santa Lucia (stazione) sino a Piazza San Marco è un fiorire di piadine arrotolate con la “qualunque” come farcitura e tristissimi tramezzini.

A Firenze non va meglio con pizzetterie e paninerie tarate sul gusto dei clienti. Così a Milano pian piano scompaiono le trattorie per far posto a fast food, anche locali magari.

Martedì pubblicheremo la ricetta originale dei Risi e Bisi veneziani, un piatto che, salvo nelle case non fa più nessuno. Ormai si cucinano carbonare e matriciana. La totale destituzione della cultura gastronomica locale, ormai divenuta quasi archeologia.

La pizza con l’ananas come la wurstel e patatine

Ecco, sulla scorta di questo mio personale ragionamento sono portato a pensare che la pizza con l’ananas non andrebbe non solo fatta ma nemmeno proposta. E questa non vuole essere un’accusa verso Sorbillo, Pepe o altri che hanno il merito di aver saputo fare marketing o se secondi cavalcare l’onda. La bontà di queste creazioni, dalle quali salvo solo quelle dolci, è indiscussa (non siamo in presenza di quella Hawaii).

E’ la pericolosa deriva che porta con se questa cosa che mi spaventa, il pericolo che sia uno dei primi colpi alla mia cultura gastronomica che al momento vive un suo rinascimento grazie alla grane presenza di turisti. L’invito a tutti i campani è quello di non cedere al fascino di facili guadagni con proposte oscene o accontentando richieste irricevibili.

La difesa della nostra cultura e tradizione, finanche gastronomica, passa attraverso lo “zero compromessi”. Qualunque mediazione ci spinge verso una deriva dalla quale non si fa più ritorno.

 

 

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