Un classico della napoletanità: il ragù.

ragù

Come figlia del Vesuvio, non potevo non esordire con un cult della napoletanità:  Eduardo De Filippo, ma in veste di “poeta”. I suoi versi nascevano quando, drammaturgo durante la stesura di un testo teatrale, non riusciva a proseguire per mancanza di ispirazione. “Allora, per non alzarmi dal tavolino con un problema irrisolto, il che avrebbe significato non aver più voglia di riprendere il lavoro per chissà quanto tempo, mi mettevo davanti a un foglio bianco e buttavo giù versi che avessero attinenza con l’argomento e i personaggi del lavoro interrotto”.  La sua poesia fungeva da improvvisato epilogo ad ogni sua rappresentazione teatrale, in un copione variabile da sera a sera.  Siamo qui per parlare di “gola”, ebbene la più celebre poesia di Eduardo è ‘O rraù, il ragù napoletano, tipico piatto tradizionale della domenica, scritta nel 1947 e protagonista di una delle sue famose battute, nate dall’interazione con il pubblico, che qui mi piace riportare. Spettatore: – Eduà, ’o rraù! –  ed egli, senza scomporsi, “se volete, però è tardi, e a quest’ora ‘o rraù si mette sullo stomaco. Ma, contenti voi…” e  cominciò a declamarla in un coro di risate.

  ‘O rraù
 ‘O rraù ca me piace a me
m’ ‘o ffaceva sulo mammà.
A che m’aggio spusato a te,
ne parlammo pè ne parlà.
Io nun sogno difficultuso;
ma luvàmell’ ‘a miezo st’uso.
 
Sì, va buono: cumme vuò tu.
Mò ce avèssem’ appiccecà?
Tu che dice? Chest’è rraù?
E io m’a ‘o mmagno pè m’ ‘o mangià…
M’ ‘a faje dicere na parola?
Chesta è carne c’ ‘a pummarola.
Il ragù

Il ragù che a me piace
me lo faceva solo mamma.
Da quando ti ho sposato,
ne parliamo tanto per parlare.
Io non sono difficile;
Ma togliamoci quest’abitudine
Si, va bene: come vuoi tu.
Ora vorremmo pure litigare?
Tu che dici? Questo è ragù?
Ed io me lo mangio tanto per mangiare…
Ma me la fai dire una parola?…
Questa è carne col pomodoro.

Il ragù napoletano è sì, una salsa di carne e pomodoro ma, tanto per cominciare, necessita di 6 o 7 ore di cottura a fuoco dolce ed è diverso da tutti gli altri ragú di carne sia per gli ingredienti, sia per la lunga preparazione e per la fase detta del peppiare (peppïà: fare il rumore della pipa), cioè quando dal fondo della pentola in cui cuoce la salsa, affiorano in superficie delle bolle d’aria che si rompono, producendo un suono simile a quello di chi tira una boccata di fumo dalla pipa.
Il segreto per far “peppiare” la salsa sta nel tenere la fiamma molto bassa e nel poggiare il coperchio su di un lato della pentola mentre dall’altra esso graverà sul cucchiaio di legno posto di traverso, in modo che ci sia una circolazione d’aria.
La salsa “peppiarrà” fino a quando l’olio e lo strutto affioreranno in superficie, lasciando il sugo nel fondo della pentola. Solo allora il ragú sarà pronto.
Per il tipo di carne, la migliore da utilizzare è la carne di manzo sotto forma di brasciole, ossia di involti di carne ricavati tra la punta di petto e la clavicola della bestia (in napoletano lòcena).
Se si vuole usare carne di maiale, è consigliabile assieme alla carne di manzo e, tra i varî pezzi, vanno preferiti la gallinella (sopracoscia) o la tracchiolella, costina di vertebre del collo, piú morbida e succosa.
Per quanto riguarda ingredienti, dosi e preparazione, riporto la ricetta, tra le tante, da me preferita e riconducibile a Raffaele Bracale.

Preparazione (per 6 persone)

100 g. di prosciutto crudo grasso o di lardo di pancia
50 g. di pancetta tesa affumicata. Pepe q.b.

Lardellate la carne con il prosciutto, la pancetta e il pepe e legatela bene; imbottite le fette di lòcena con sale fino, pepe, cubetti di formaggio pecorino, aglio e prezzemolo tritati, uvetta e pinoli e legatele accuratamente.
Tritate grossolanamente su un tagliere di legno prima il lardo, poi la pancetta e le cipolle.
Ponete il trito nella casseruola, possibilmente di coccio o di rame, insieme allo strutto e all’olio e, a fuoco bassissimo, riscaldate fino a quando lo strutto non si sarà fuso e la cipolla comincerà appena a soffriggere. Aggiungete la carne, le brasciole ed eventualmente le tracchiolelle di maiale.
Coprite e lasciate rosolare, sempre a fuoco bassissimo, rivoltando frequentemente la carne.
Le puntine di maiale cuociono molto prima, quindi toglierle per qualche tempo dalla pentola.
Quando le cipolle cominciano a prendere colore mescolate e rivoltate la carne più spesso, aggiungendo poco per volta il vino che dovrà evaporare tutto. Fatto questo, le cipolle saranno ormai ben rosolate, ogni traccia di liquido sarà sparita e non rimarrà che il grasso che sobbolle lentamente.
Questa fase durerà circa due ore e mezzo e non è consigliabile allontanarsi dai fornelli.

1,5 Kg. in un sol pezzo di primo o secondo taglio di manzo meglio spalla (pezza a cannella) o meno magatello (lacerto)
1 Kg di brasciole ( imbottite con sale fino, pepe, cubetti di formaggio pecorino, aglio e prezzemolo tritati, uvetta e pinoli e legate)
3 tracchiolelle di maiale (facoltative)
700 g. di cipolle dorate
100 g. di strutto
50 g. di lardo di pancia
1 bicchiere e mezzo d’olio d’oliva extravergine
50 g. di pancetta tesa affumicata
300 ml di vino rosso secco
200 grammi di concentrato di pomodoro
1 litro e mezzo di passata di pomodoro (o 1 kg. e mezzo di pomodori San Marzano sbollentati, pelati e passati). Basilico e sale doppio q.b.

Aumentate di poco il fuoco, aggiungete due o tre cucchiai di concentrato di pomodoro e fatelo soffriggere, fino a quando non diventi scurissimo.
Solo a questo punto va aggiunto l’altro concentrato, sempre nelle stesse quantità, e con la stessa procedura, finché non l’avrete terminato.
Durante questa fase sicuramente le tracchiolelle di maiale saranno cotte e vanno tolte delicatamente.
Il tutto vi impegnerà per altre due o tre ore.
A questo punto aggiungete tutta la passata di pomodoro, un po’di sale, le foglie di basilico spezzettate a mano e non piú di un mestolo d’acqua; a pentola scoperta, lasciate prima cuocere per circa un’ora e poi lasciate peppiare (cuocere a fuoco bassissimo) per almeno un’ora e mezzo. Togliete la carne e disponetela in un piatto: la rimetterete nel sugo a fine cottura.
La salsa sarà cotta quando apparirà densa, scurissima ed untuosa.
Conviene preparare il ragú un giorno prima e conservarlo in una zuppiera di coccio o porcellana.
Il ragú si serve con la pasta grossa: “zite” spezzate a mano, rigatoni o paccheri, (600 o 700g) con abbondante pecorino grattugiato e pepe nero.

di Liliana Arena
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Vi saluto con l’acquolina in bocca!

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