Lo stappo: Susumaniello Archetipo 2021, rosato ma non troppo

susumaniello

I miei rapporti con il Susumaniello sono sempre stati saltuari, e… diciamocela tutta, sensorialmente non proprio memorabili.

In purezza o spalleggiati e puntellati dall’immancabile Negroamaro, gran parte dei vini figli di questo vitigno che ho incontrato sulla mia strada, oltre alla correttezza formale che oramai caratterizza (quasi…) anche l’ultima delle bottiglia in circolazione, non mi avevano mai esaltato sensorialmente.

Eppure, il Susumaniello ha tutte le carte in regola per regalare vini complessi e interessanti, e questo senza per forza trasfigurarlo suo malgrado in quei “vinoni” che tanti si aspettano da tutto quel che in grappoli arriva da quel lembo di Puglia Salentina dove, è di casa e si è acclimatato bene, arrivando chissà per quali traverse vie dalla sua natia Dalmazia.

Però una sorpresa, più bella ancora perché arrivata quando meno te le aspetti, era lì ad attendermi sugli scaffali di una piccola enoteca…

Come già detto dimenticate i “vinoni macchiatovaglie”: qui, siamo di fronte a un qualcosa… concedetemi la frase a effetto, elegante e molto originale.

Non il solito rosso scarico travestito da rosato da tanto al chilo…

Un bel rosa accennato chiazzato con qualche cangiante riflesso d’ambra e magenta è il benvenuto al calice.

susumaniello

Al naso è da subito un soffio di lievi sentori di rosa, ricordi di mirtillo, fiori di campo e accenni di timo, al palato invece si palesa sorprendentemente morbido e avvolgente, quanto basta.

Ma, lcarta vincente, è la delicata trama tannica, leggibile sottotraccia nella struttura complessiva che, si sposa perfettamente con la giusta acidità e l’alcol non esagerato, rendendo questo Susumaniello beverino e rinfrescante anche ai palati più distrattisenza però cadere nella trappola di trasformarlo in una banale “bibita” di succo d’uva con alcol ma, mantenendo riconoscibili tutte le caratteristiche del vitigno, il tutto senza l’ombra o l’accenno di difetto alcuno.

Il finale pur se non lunghissimo come i titoli di coda di Via col Vento o uno dei discorsi di Fidel Castroè lungo e piacevole quanto basta a farti mordere le mani per non averne sotto mano un’altra bottiglia.

Un vino fatto in egual misura di spigoli e carezze così ben distribuite che ti chiedi come hanno fatto quelli dell’Archetipo ad inventarsi questa piacevolissima “quadratura del cerchio”.

La quieta grandezza di un vino come questo mette tutti d’accordo, baroni e contadini, senza lasciar troppo spazio alle opinioni, e tutto questo lo si rintraccia in quell’etereo filo che partendo dalla vigna, dove gli insegnamenti di Masanobu Fukuoca sono pratica di tutti giorni, passa per la cantina collegando le mille storie diverse vissute da un solo protagonista, il vino, qui davvero nella sua essenza.

Masanobu Fukuoka

Vogliamo dire la parolina malefica?

Si, è un vino naturale (il termine è sbagliato, lo so…)

L’Archetipo
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